Marzio Tremaglia - Numero 12

"Credo nei valori del radicamento,
della identità e della libertà;
nei valori che nascono dalla tutela
della dignità personale.
Credo in una dimensione etica della vita,
che si riassume nel senso dell’onore,
nel rispetto fondamentale verso se stessi,
nel rifiuto del compromesso sistematico
e nella certezza che esistono beni
superiori alla vita e alla libertà
per i quali a volte è giusto
sacrificare vita e libertà".
Marzio Tremaglia



Apriamo questo articolo citando un brano del "credo" di Marzio Tremaglia, il giovane assessore alla Cultura della Regione Lombardia (figlio dell’attuale Ministro per gli Italiani all’estero); scomparso meno di due anni fa dopo aver lasciato una traccia indelebile nelle politiche culturali, non solo della Lombardia, ma di tutta Italia. Marzio Tremaglia è stato l’uomo che ha "inventato" un modo nuovo di fare cultura in maniera non ingessata, non conformista, sempre qualitativamente elevata; rivalutando la storia dimenticata, salvaguardando valori profondi e antichissimi, riscoprendo il senso sacro del bello, mostrando - per la prima volta in maniera qualificata e qualificante - ad un pubblico eteroclito opere e idee di grandissimi autori fino a ieri "emarginati".

Lo citiamo perché ora che il centrodestra è al Governo, pur tra mille difficoltà e insidie, da più parti si è sentita l’esigenza di dare a questa coalizione una sua credibilità culturale e, nel contempo, di utilizzare la forza derivante dal nuovo ruolo istituzionale per porre fine ad un’egemonia dogmatica e settaria che ha avvelenato tre generazioni di italiani. Purtroppo però, fino ad ora, abbiamo assistito solo alle "adunate" di intellettuali - convocate da dell’Utri (Forza Italia) o da Gasparri (AN) - che, al di là delle buone intenzioni, sono servite forse solo a creare nuove liste di futuri (improbabili) beneficiari del nuovo corso e di sicuri (attuali) ostracizzati dal potere culturale ancora saldamente in mano alla sinistra. Si tratta, certamente, solo di un primo passo ed è sempre meglio "sbagliare" che non far nulla oppure criticare come fa, purtroppo, la maggior parte dei politici e degli intellettuali che dovrebbe, invece, lavorare attivamente per "rovesciare" gli oligopoli della kultura (ma sì, scriviamola con la k così si capisce subito cosa non è) dominati da una sinistra sempre più becera e nostalgica.

Se realmente si volesse abbattere il monopolio di questa kultura "catto-comunista" (in Italia, come si sa, è consentita una sola "dialettica" quella tra le dottrine materialiste di derivazione marxista e quella populista-progressista della sinistra cattolica); se -dicevamo - si volesse davvero costruire una cultura libera e plurale (prima ancora che pluralista) capace di accompagnare e guidare il profondo rinnovamento politico, economico e sociale che il governo di centrodestra sta tentando di attuare, allora bisognerà costruire un’articolata strategia di rinnovamento, penetrazione e gestione, accompagnata dal sostegno alla creatività e alla professionalità degli operatori culturali non conformisti, identitari, liberi…

Dunque una strategia su due livelli di cui il primo parte dal presupposto che non bisogna "inseguire la moda", ma educare alla libertà, alla scelta, all’anticonformismo… insomma una politica esattamente all’opposto di quella tenuta fin’ora dalla Mediaset di Berlusconi (o, meglio, di Confalonieri). Sì, perché non è esempio di "pluralismo" infarcirsi di persone di sinistra (dai telegiornali alla satira, dall’intrattenimento ai programmi musicali) con la scusa che questo fa "audience" o che è "di moda"… è solo un esempio di stupidità o, quanto meno, di mancanza di lungimiranza e di un proprio, originale progetto culturale.

Non si può far finta di non sapere che "le mode" non sono fenomeni spontanei ma sono costruite a tavolino, pianificate e imposte grazie al controllo dei media (quello, per intenderci, che Berlusconi NON ha). Sono i ristretti oligopoli di attempati ex-sessantottini che si annidano nelle case discografiche, nelle case editrici, nelle principali radio, nelle stanze dei palinsesti televisivi, negli uffici creativi delle grandi agenzie pubblicitarie che dettano queste "mode", che impongono (il termine è esatto) ai ragazzi di vestirsi come Jovanotti, di ascoltare Manu Chao, di parlare come la Dandini. Un esempio? Fra i tantissimi è la recente campagna pubblicitaria della compagnia aerea Meridiana (di proprietà di Agnelli…) che propone (impone) l’immagine di un Che Guevera moderno, bello, affidabile ma, naturalmente, sempre "rivoluzionario" e, quindi, comunista.

Ancora oggi sono i vecchi "conquistadores" della sinistra, che hanno invaso le tv e le radio pubbliche e private, ad imporre i programmi di satira o di intrattenimento gestiti sempre e soltanto da gente di sinistra, per poi dire che "la satira non si tocca". E non parliamo di Luttazzi (il quale - poverino - dopo essere stato usato è stato sepolto); ma proprio delle porcherie di casa Mediaset: dalle Jene alla Gialappas, dal continuo foraggiamento al covo marxista dello Zelig, fino ai più demenziali programmi musicali che hanno come ospiti sempre e solo "artisti" allineati al vecchio regime. Ma il discorso vale, naturalmente, anche per le case editrici (la berlusconiana Mondadori in testa) presso le quali è tutt’ora impossibile pubblicare un "Libro nero sul comunismo italiano" o la storia di Sergio Ramelli ucciso dagli sprangatori di Avanguardia Operaia, per non parlare di un testo scolastico di storia con una visione non marxista (come quello scritto dal professor Cardini).

Il rinnovamento culturale dell’Italia, il nuovo Rinascimento che le menti libere sognano, parte proprio dallo scardinamento del potere di "fare moda", di imporre modelli culturali deviati, di precludere - a monte - ogni possibilità di crescita, affermazione, successo o anche solo conoscenza per chiunque non sia "politically correct" secondo gli stereotipi ormai consolidati della sinistra. Questa dovrebbe essere la "mission" della classe politica ed economica di centro-destra in ogni contesto decisionale sia centrale che periferico. Si tratta di un’operazione di "riapproprazione del territorio" che ha già almeno un esempio (anche se non proprio positivo, perché molto settario e quindi non talmente libero e plurale) in ciò che ha fatto e sta facendo Comunione e Liberazione in Lombardia, riuscendo a far interagire in maniera sinergica il potere politico con quello economico al fine, anche, di imporre modelli culturali, sociali e persino morali originali.

Naturalmente, però, il riappropriarsi "dall’alto" dei centri di programmazione e divulgazione della cultura deve andare di pari passo con la ideazione e realizzazione di nuovi progetti culturali credibili e qualitativamente ineccepibili. Ma qui, per fortuna, bisogna dire che già esiste una vivace attività creativa da parte di operatori culturali storicamente o recentemente legati all’area del centrodestra i quali, tuttavia, il più delle volte, producono solo iniziative spontanee e locali, quindi poco conosciute, che meriterebbero invece di essere più diffuse. Esiste già, insomma, un ricco e qualificato fermento operativo, una nuova, seria e differenziata offerta di mostre, libri, convegni, rassegne, iniziative di studio, teatro, musica… Non esistono, invece, strutture di collegamento, coordinamento, distribuzione e, soprattutto, di promozione, pubblicizzazione e diffusione.

A questo punto la grande sfida per il centrodestra sarebbe quella di creare un "Network della cultura identitaria", capace di mettere in contatto domanda e offerta di nuovi progetti culturali fuori dal conformismo e dal monopolio costruito in oltre mezzo secolo di omogeneo regime culturale catto-comunista senza, nel contempo, cedere alla tentazione di creare nuovi oligopoli di partito; offrendo agli operatori culturali maggiori possibilità e quindi maggiore libertà e garantendo, nel contempo, un utile servizio a quegli amministratori locali di centrodestra (dal presidente di circoscrizione fino all’assessore regionale) i quali, avendo la possibilità e persino la necessità di realizzare iniziative culturali, vorrebbero dare ad esse una connotazione identitaria ben precisa, ma… non hanno idee o non sanno a chi rivolgersi.

Si tratterebbe, in definitiva, di censire, raccogliere, valutare e proporre tutte le iniziative realizzate o realizzabili dalle centinaia di associazioni, Enti, Fondazioni, Istituti e società specializzate (non tutte necessariamente appartenenti all’area del centrodestra, sia chiaro); che siano riconducibili a quel disegno culturale che Marzio Tremaglia identificò chiaramente nel suo "credo". Quindi progetti culturali che promuovano:

  1. i valori del radicamento, dell’identità e della libertà
  2. il senso sacro del bello in una dimensione etica delle arti
  3. la conoscenza della storia come pluralità di memorie e testimonianze
  4. la riscoperta delle radici culturali e delle tradizioni nazionali ed europee
  5. la massima divulgazione della cultura, anche attraverso l’uso di nuove tecnologie, per coinvolgere strati di popolazione più ampia e più giovane.


E’ un grande sogno, un grande progetto, ma è anch’esso una "priorità", non meno importante del risanamento economico, della riforma scolastica, del rinnovamento infrastrutturale, dello sviluppo delle telecomunicazioni, della salvaguardia dell’agricoltura, del federalismo, del presidenzialismo… Troppe sfide per un governo solo? Bene, allora rimbocchiamoci tutti le maniche… e ognuno faccia la sua parte.

Guido Giraudo