DALLA PARTE DELLA CATTEDRA: RIFLESSIONI SULLA RIFORMA - Numero 14

 

Il 13 novembre il Senato ha licenziato la legge delega di riordino dei cicli scolastici e ora si attende il vaglio della Camera. Finalmente (speriamo!) la scuola italiana avrà quella riforma che ormai da tempo si definisce urgente, che si è tentato di realizzare, ma che poi qualche intoppo ha sempre fermato. Si tratta di una riforma importante, che prende in considerazione l’intero percorso, che non rivoluziona la scuola rispetto all’impianto vigente, non propone nessun salto nel buio , ma introduce molte novità sostanziali, che rispettano la nostra tradizione culturale, anzi la rafforzano rispetto al lassismo a cui da troppi anni stiamo assistendo. Fermiamoci su alcuni punti particolarmente qualificanti: innanzitutto il diritto- dovere di seguire corsi di istruzione per almeno 12 anni, e la creazione di un doppio canale di istruzione e formazione che sia flessibile e, quasi, intercambiabile. L’innalzamento dell’obbligo scolastico è una necessità non solo perché la società chiede ai nostri giovani di essere sempre meglio attrezzati per far fronte ai rapidi cambiamenti istituzionali, economici, culturali e scientifici in essere, ma perché considera tutte le dimensioni della personalità e pone come prioritaria l’attenzione al valore del singolo individuo nella sua unicità e specificità. E’ da sottolineare come vi sia una particolare attenzione ai diritti della scuola democratica, a partire dalla rivalutazione della scuola dell’infanzia e della scuola elementare nella linea della continuità e del raccordo con la scuola media e la scuola superiore, tentando così di porre fine a inutili e dannosi steccati. La formazione della persona come capitale umano è presente in molti punti della riforma, fermiamoci in modo esemplificativo su alcune proposizioni dell’articolo 2. " E’ promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita", condizione imprescindibile per poter " assicurare a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità generali e specifiche." Inoltre " sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea." Sempre all’articolo 2 possiamo leggere che il diritto alla formazione e all’istruzione è assicurato per almeno 12 anni e che "l’attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su basi nazionali." E’ questa la seconda novità altamente qualificante, è la forte scommessa della Riforma Moratti: creare un doppio canale che sia flessibile e quasi intercambiabile, si tratta di riqualificare l’istruzione professionale, creando anche una possibile osmosi con il canale dell’istruzione. Questo significa che si dovrà operare per ridurre al minimo il dislivello culturale oggi esistente per permettere ai ragazzi che vorranno cambiare di poter esercitare concretamente un diritto previsto dalla legge. I due sistemi avranno infatti un nucleo di materie di base comune in modo che, come spiega il senatore Franco Asciutti, sia possibile "garantire maggiore comunicazione fra i due percorsi, per evitare che non si possa nei fatti tornare indietro su una scelta fatta a 13 anni e rivelatasi sbagliata." Si supera quindi la legittima preoccupazione dell’on. Acciarini, capogruppo ds in commissione istruzione a palazzo Madama che pur giudicando positivo il fatto che vi sia un nucleo comune di materie da studiare fino a 15 anni, sottolinea " i rischi e i problemi di una canalizzazione precoce". Mi sembra a questo punto da docente di dover mettere in rilievo il fatto che compete a noi insegnanti elevare il livello culturale, rendere l’istruzione a tutti i gradi più forte, più qualificata più dignitosa, compete a tutti coloro che non solo si ritengono, ma effettivamente sono dei professionisti dell’educazione e non semplici impiegati dello stato come da anni una sciagurata politica sta tentando di farci diventare, e purtroppo ci sta riuscendo se non la si ferma in tempo. Vi è però anche un punto che mi sembra particolarmente inquietante nella riforma: la valutazione sarà biennale e, in caso di bocciatura, si dovrà ripetere solo l’ultimo anno. Mi pare che chi ha formulato questa proposta sia lontano da troppo tempo dalle aule scolastiche o non ci sia mai entrato da docente. Forse questa logica può essere accettata alle scuole elementari, ma è azzardata alle medie inferiori e assolutamente improponibile alle scuole superiori. Secondo quali dettami pedagogici si può pensare di garantire la promozione dal primo al secondo anno di un ciclo? Non bastano i guasti provocati dai debiti formativi e il conseguente abbassamento del livello di apprendimento? Come non capire che eliminare qualsiasi deterrente non farà che favorire la deresponsabilizzazione degli studenti in una fase così delicata del loro processo di maturazione? Il voto può essere anche un elemento di pressione, uno strumento di responsabilizzazione, di richiamo al dovere, perché eliminarne di fatto il valore? E infine che senso ha recuperare il secondo anno lasciando di fatto un vuoto culturale sulle conoscenze dell’anno precedente? Promuovere senza merito, senza che ci sia stata una reale crescita culturale è una truffa. Speriamo che qualcuno se ne accorga, perché certi errori rischiano di compromettere irrimediabilmente un impianto che, almeno per quanto si può vedere, è senz’altro positivo.

Pierangela Bianco