Esodi da Fiume e Pola: una storia da non dimenticare - Numero 51

 

Dopo quelle dalmate, dove la tragedia era già iniziata nel 1944, Fiume fu la prima città ad essere sconvolta dai delitti compiuti dai partigiani subito dopo l’occupazione (maggio 1945) e dalle tante uccisioni indiscriminate. Fra i Caduti più noti si ricordano i senatori Riccardo Gigante ed Icilio Bacci, ma anche i maggiori esponenti dell’autonomismo, tra cui Nevio Skull e Mario Blasich, assassinato nel proprio letto di invalido per essersi rifiutato di riconoscere che l’Olocausta potesse diventare jugoslava. I fiumani, quando appresero che l’Italia di Alcide DeGasperi aveva rinunciato aprioristicamente alla loro difesa, proponendo per confine la vecchia linea Wilson, non ebbero alternativa all’Esodo e partirono in massa: chi col permesso di espatrio, chi clandestinamente, chi alla luce dell’opzione consentita dal Trattato di pace del 1947. A fronte di una popolazione nell’ordine delle 60 mila unità, furono almeno 54 mila i cittadini profughi. Pola ebbe un destino analogo, maturato attraverso circostanze diverse. Dopo i quaranta giorni dell’occupazione titoista, caratterizzati da tragedie analoghe a quelle avutesi altrove, che culminarono nell’affondamento della moto-cisterna "Lina Campanella" con circa 350 prigionieri a bordo (la maggioranza scomparve nel naufragio avvenuto il 21 maggio, mentre i superstiti furono nuovamente arrestati dai partigiani ed avviati ai famigerati campi di detenzione); la città, assieme ad un piccolo circondario, era stata inclusa nella Zona anglo-americana della Venezia Giulia: quanto bastava per suffragare la speranza che col Trattato di pace almeno Pola non sarebbe stata trasferita alla Jugoslavia. Un anno dopo, quando in luglio si diffuse la notizia che la Conferenza di Parigi aveva deciso in senso contrario, la sorpresa fu pari alla disperazione. Il colpo di grazia alle attese dei cittadini di Pola sopravvenne il 18 agosto 1946 col terribile eccidio di Vergarolla ordito dall’OZNA, la polizia politica di Tito, allo scopo di azzerare le ultime resipiscenze, come autorevoli esponenti del regime, quali Edvard Kardelj e Milovan Gilas avrebbero ammesso in tempi successivi. Sulla spiaggia di Vergarolla, contigua a Pola, dove erano convenute centinaia di persone per la Giornata della "Pietas Julia", vennero fatte esplodere 29 mine contenenti nove tonnellate di esplosivo: le vittime, molte delle quali non poterono essere nemmeno identificate, furono oltre cento, in maggioranza donne e bambini, con un’età media di 26 anni. Nessuno ebbe dubbi sulla matrice dell’atto terroristico, anche se la conferma ufficiale sarebbe giunta mezzo secolo più tardi con l’apertura degli Archivi britannici di Kew Gardens. Al pari degli altri, anche l’Esodo da Pola ebbe carattere plebiscitario, completandosi entro il marzo 1947: partirono 28 mila persone su 30 mila abitanti, in larga maggioranza via mare, con destinazioni articolate fra Venezia, Ancona e Trieste. Carattere distintivo di questo Esodo fu la concentrazione in viaggi collettivi, con accoglienze negative tanto più sorprendenti in quanto gli istriani avevano dovuto abbandonare tutto e sbarcavano, al massimo, con qualche povero bagaglio: i comunisti, sobillati dalla loro stampa, non perdonavano a quegli infelici di avere rifiutato il "paradiso di Tito". A Bologna i "treni dei profughi" non poterono sostare in stazione per qualche assistenza minima perché i ferrovieri rossi avevano minacciato lo sciopero; a Venezia furono oltraggiate persino le spoglie di Nazario Sauro; a Genova, durante la campagna elettorale del 1948 i candidati del Fronte Popolare avrebbero paragonato i "banditi giuliani" a quelli che infestavano la Sicilia. I campi di raccolta frettolosamente predisposti in Italia furono 109: generalmente privi di ogni conforto sia pure ridotto all’essenziale, non furono estranei alla frequente decisione di emigrare in Paesi lontani. A fronte di un Esodo complessivo che alla fine avrebbe interessato 350 mila persone (compresi i profughi dalmati e quelli dalla Zona "B" del cosiddetto Territorio Libero di Trieste); furono circa un quarto coloro che partirono per l’Estero: più spesso verso Paesi oltremare, dove molti avrebbero affermato la dignità umana e civile della loro scelta con l’impegno nel lavoro e nella vita sociale. A proposito di Pola, si deve ricordare che il 10 febbraio 1947, mentre a Parigi veniva sottoscritto il Trattato di pace imposto dagli Alleati, la patriota italiana Maria Pasquinelli uccise con tre colpi di pistola il Gen. Robert De Winton, Comandante della piazzaforte locale, per esprimere l’estrema, disperata protesta nei confronti dell’iniqua condanna freddamente pianificata dai vincitori, in ossequio alle pretese della Jugoslavia avallate dall’Unione Sovietica. Maria, che era stata crocerossina sul fronte africano e poi insegnante in Dalmazia dove aveva collaborato alacremente alle onoranze per i Caduti italiani, si era distinta nel Comitato per l’assistenza ai profughi di Pola con grande disponibilità ed altruismo, ed aveva confidato di compiere un gesto di risonanza mondiale, nella consapevolezza di compiere un sacrificio totale. In effetti, due mesi più tardi, il processo celebrato a Trieste davanti ad una Corte Alleata si concluse con la condanna a morte, poi commutata in quella dell’ergastolo. Maria Pasquinelli, affidata alla giustizia italiana per l’espiazione della pena, sarebbe stata graziata nel 1964, dopo 17 anni di detenzione. Oggi, ospite di un pensionato, vive a Bergamo.

C.M.