Editoriale - Numero 01

Che succede a Legnano? La città in questi ultimi tempi è apparsa prepotentemente sui mass media, sulle pagine della stampa nazionale, in televisione: l’emergenza immigrati con una serie di risvolti drammatici, l’improvvisa prospettiva di assunzione di 1500 lavoratori alla Franco Tosi, il furto di mille fascicoli dalla Cancelleria civile dell’ex pretura, la scoperta del caporalato per l’assunzione di braccia, per lo più di immigrati, specialmente nel settore edile. Sembra che ogni giorno ce ne sia una nuova. Ma, a ben guardare, tre su quattro delle notizie appena riferite hanno a che fare con il problema del lavoro e quindi con il mondo anche, o soprattutto, dell’immigrazione. E’ necessario che su questo punto ci si interroghi e si diano delle risposte. Non emotive, ma razionali. Senza aspettarsi soluzioni definitive (e come si potrebbe); ma riflessioni. L’immigrazione di uomini da paesi poveri è una realtà che bisogna avere l’onestà di guardare in faccia. Non possiamo fermare la fiumana di chi fugge dal suo paese, dove lascia casa, affetti, cultura, il proprio mondo insomma, per cercare fortuna altrove, una fortuna che molte volte vuol dire pura sopravvivenza. E’ un fenomeno che la storia ci ha sempre presentato e proprio noi italiani, popolo di emigranti, non possiamo fingere di non conoscere. Che vada fermata l’avanzata disordinata, illegale, clandestina, questo è talmente ovvio che non vale più la pena ribadire. Bisogna solo avere la volontà politica di volerlo. Ciò che, invece, deve essere oggetto di riflessione è il fenomeno della presenza degli immigrati, il trovarsi con loro per strada, nei negozi, in scuola. L’Italia non è ancora un paese del tutto abituato a vedere per le sue strade gente di colore, uomini che parlano altri idiomi, praticano religioni diverse dalla propria, ma la società del nuovo millennio deve abituarsi a ciò, che piaccia o no. Risulta inutile, patetico celebrare l’arrivo del nuovo millennio, enfatizzare una nuova epoca, quando poi si evocano fantasmi del passato, atteggiamenti razzisti e quindi, solo proprio per questo, stupidi. Il popolo italiano, d’altra parte, neppure in epoca fascista fu veramente razzista, se escludiamo - al di là delle leggi razziali del 1938 - fenomeni in buona sostanza circoscritti, come è praticamente in modo unanime riconosciuto. Eppure nell’ambito della destra, dei simpatizzanti, dei militanti, ci si rimprovera sempre più frequentemente d’essersi fatto sfuggire il tema dell’ immigrazione, che andava affrontato con più decisione: un fenomeno che altri stanno cavalcando anche duramente. La destra non deve percorrere questa strada, anche se rischia di perdere voti, consensi. C’è un modo etico di fare politica, che non consente di fare qualsiasi cosa pur di ottenere il maggior numero di suffragi. E per favore non chiamiamolo buonismo, che è tutt’altra cosa. Diverso discorso è, invece, quello della difesa della propria identità. Credo che la destra debba incamminarsi sempre più decisamente su questa strada. Ma l’identità non è solo la propria: è anche quella degli altri. Difendere la propria identità non vuol dire schiacciare quella degli altri: se Casa delle libertà deve essere che sia prima di tutto in nome della tolleranza, che non vuol dire sopportazione dell’altro ma accettazione, anche senza condivisione, della lingua, della cultura, della religione dell’altro. L’identità va difesa anche avendo coscienza che non si può cercare per forza l’integrazione dell’ altra cultura, ma non per mantenere "puri" i caratteri propri, ma anche per rispetto nei confronti dell’altro che, forse, non desidera per nulla integrarsi. Ha scritto recentemente Stefano Zecchi: "Si deve piuttosto lavorare per rafforzare la propria tradizione, innanzi tutto insegnando ad amare la propria identità, non odiando quella di altri popoli".

Antonio F. Vinci