Alla vigilia della pausa estiva, ormai veramente prossima, esce questo numero del Barbarossaonline. Ne è passata di acqua sotto i ponti in questi pochi mesi, dopo la pubblicazione dell’ultimo numero! Il successo del Movimento 5 stelle e della Lega alle ultime elezioni ha sparigliato il gioco politico; unitamente alla débâcle della sinistra e al declino di Forza Italia. Una folla di “gufi” si attendeva il fallimento della formazione del governo, che invece – pur con un parto lungo e doloroso – c’è stata. E’ stata poi la volta di chi gufava, e gufa, sulla mancata tenuta dei grillini con i leghisti; sulla insanabile rivalità tra Di Maio e Salvini; sulla mancanza di dati certi, di numeri su cui discutere, a proposito delle riforme annunciate già in campagna elettorale. E in quest’ultimo caso, a dire il vero, una fondata ragione c’è. Intanto Salvini continua a bloccare l’ondata migratoria e per chi lo accusava di isolare l’Italia nel consesso internazionale c’è stata la risposta europea di sostanziale comprensione della situazione italiana e ammissione che bisognerà porvi rimedio. La cosiddetta “prova muscolare” non ha sortito quegli effetti negativi che si temeva. E così la Lega nei sondaggi veleggia verso percentuali di tutto interesse, inimmaginabili al tempo di Bossi. Salvini ha compiuto l’impresa, il “miracolo” di trasformare la Lega da movimento territoriale, fondamentalmente del Nord Italia, in movimento nazionale, espugnando anche roccaforti rosse da sempre. Ha incontrato lo stesso successo dei 5 stelle, ma da parte di un elettorato diverso. Gli analisti ormai hanno rovesciato come un guanto i dati elettorali e sappiamo ormai chi ha votato per Salvini e chi per Di Maio: il popolo degli scontenti, dei delusi dai vecchi partiti, dei precari, di chi ha paura per la propria sicurezza, di chi vuole arginare l’immigrazione. Eppure sono così diversi Salvini e Di Maio: il primo si presenta spesso senza cravatta, anche senza giacca, magari con la camicia fuori dai pantaloni, in un atteggiamento casual, immediato, da uomo pratico; l’altro perennemente in camicia bianca, cravatta e giacca che gli danno sempre un tono impeccabile. Eppure il primo si rivolge alla piccola e media borghesia, a quella industriale, che magari mette il doppiopetto; l’altro al popolo dei precari, di coloro che faticano a sbarcare il lunario, a chi spera nel reddito di cittadinanza per tirare a campare. Mi sarei aspettato, in una scenografia politica immaginaria, un Di Maio vestito in modo meno formale e un Salvini più “istituzionale”. E invece no. Ma non ha importanza.
Questo giornale, che è nato come giornale di Destra, a questo punto si dovrà porre ancora una volta la domanda che, come un mantra, ci poniamo da anni: dov’è la Destra? C’è ancora una Destra? Ed ora: Salvini rappresenta la Destra? E’ la nuova Destra? E Fratelli d’Italia? Da molti anni, sì anni, ormai andiamo dicendo che non c’è più una destra e una sinistra, ma ce lo continuiamo a chiedere, perché la risposta non ci convince. O non la vogliamo ammettere o accettare. Anche perché è più facile usare schemi vecchi ma di facile comunicazione. Indubbiamente la “destra” di oggi, se proprio vogliamo usare questa categoria, non è più quella di ieri. E forse proprio per questo Fratelli d’Italia, che alle ultime elezioni ha segnato un buon successo, pur tuttavia non decolla. Siamo stati per anni, tanti anni, vicini alle posizioni che oggi sono di Fratelli d’Italia e tra le sue fila annoveriamo ancora tanti amici con i quali abbiamo condiviso valori, ideali, battaglie politiche. Ma il tempo passa e le situazioni, come i valori e gli ideali, si presentano in modo diverso, si trasformano, parlano un altro linguaggio. Parlare oggi di Patria, di patrioti, probabilmente non raccoglie una grande platea, non si è più capiti. Lo vediamo a scuola, dove quando parli di “Patria” sembra che stia parlando un marziano. Piuttosto è più facilmente comprensibile e accettato parlare di identità. Un tema, questo dell’identità politica, culturale, religiosa, sempre più sentito a causa del fenomeno migratorio. Ma sull’identità, prima del Nord ed ora di tutto il Paese, la Lega ha seminato prima e forse meglio. Allora è la Lega la nuova Destra? Fermo restando che i termini, destra e sinistra, come detto, sono ormai logori, forse sì. Certo non basta un’affermazione, uno slogan, un riferimento per fare una corrente politica, ma aiuta… A sinistra, come noto, le cose non vanno meglio. La sinistra classica risulta sempre più divisa, con scissioni e frammentazioni ma anche con incomprensioni e divisioni al suo interno. La gente è sempre più confusa, comprende sempre meno il linguaggio della politica e, soprattutto, tutti i tecnicismi che vengono adoperati per spiegare il sistema elettorale come le scelte economiche, come tutte le quotidiane questioni sociali e civili. Una volta era stato coniato il termine “politichese” con il quale tutti ci mettevamo l’anima in pace per spiegare che il linguaggio politico è incomprensibile (chi può dimenticare le “convergenze parallele”?). Oggi non più, non cerchiamo neppure l’alibi del linguaggio tecnico: facciamo spallucce e ce ne disinteressiamo.
Allora? Non possiamo spostare le lancette dell’orologio, non possiamo tornare indietro. Dobbiamo, però, avere il coraggio di rivedere certe posizioni, certi atteggiamenti che si vanno sempre più affermando al giorno d’oggi. In nome di un nuovo modo di pensare, che sembra legittimare tutto, stiamo deviando a volte da principi irrinunciabili, non negoziabili come si usa dire. Il compito della nuova Destra, se proprio vogliamo continuare ad usare questa espressione, sarà quello di prendere atto del mutamento della situazione e, in nome di “antichi” ma eterni valori dare risposte, nuove ma non stravolgenti, per il terzo millennio.
L’emigrazione è un fenomeno epocale che investe tutto il mondo e che non si può trascurare. Chiudersi a riccio non è la risposta ma invece, come ormai si va predicando da tempo, aiutare quei popoli a restare a casa propria mettendoli in condizioni di vivere meglio. L’accoglienza, infatti, è un valore non solo cristiano ma dell’essere umano in quanto tale; non può scontrarsi però con un’apertura indiscriminata portatrice di danni maggiori del rimedio. Essere di destra, oggi, vorrà dire anche questo. E non vergogniamoci di dire che queste sono scelte dettate dal “buon senso”, senza essere ammantate da ideologismi.
C’è buon senso, ci deve essere buon senso, anche nell’ aiutare chi è in difficoltà, ma deve essere compatibile con le risorse, sempre più scarse, del Paese e evitando speculazioni.
C’è buon senso nel rivedere l’educazione dei nostri figli, dei giovani, cui è stata tolta la speranza di un futuro, ma anche non è stata data loro quell’educazione civica, quella volontà di diventare cittadini, di sentirsi comunità.
C’è buon senso nel riscoprire la nostra identità, la nostra storia, la nostra cultura, perché è la base su cui costruiamo il nostro futuro.
Diceva Bernardo di Chartres che “siamo nani sulle spalle di giganti”; la nostra cultura, cioè, si basa su quella classica, sulla tradizione. Se non la seguiamo, se la dimentichiamo, saremo solo dei nani, ma sulle spalle di nessuno.
Antonio F. Vinci