EDITORIALE - NUMERO 61

Nel 1989 ebbe un ottimo successo una canzone di Raf “Cosa resterà degli anni ’80”. Furono anni densi di avvenimenti, quelli, che cambiarono il mondo. Cosa resterà invece di questo 2020, dell’anno della pandemia? In questi mesi in cui s’è detto di tutto, tutto e il contrario di tutto, abbiamo assistito ad uno sconvolgimento delle nostre certezze, all’apparire della grande paura della morte, una morte insidiosa quanto invisibile dovuta ad un virus. Le nostre sicurezze sono scomparse, probabilmente in modo ancora più evidente che di fronte alla paura degli attacchi terroristici. Non dimenticheremo facilmente le file dei camion militari che trasportavano le bare dei defunti pressi altri cimiteri, essendo al collasso quelli in cui erano avvenuti i decessi; non dimenticheremo facilmente i volti stanchi, spaventati, tesissimi di infermieri e medici di fronte ad un’emergenza mai vista; non dimenticheremo le restrizioni, i divieti ad uscire di casa, la necessità del distanziamento, delle file fuori i negozi come al tempo della guerra; non dimenticheremo le mascherine, il gel, i ripetuti dai mass media - quante volte al giorno – inviti a lavarsi le mani, ad indossare le mascherine; non dimenticheremo un fare scuola sconvolto dalla necessità di attuare una didattica a distanza. Non dimenticheremo tutto ciò. Rimarrà la certezza dello scoprirci più precari, dell’essere veramente in balia degli eventi, impotenti a combattere. Possiamo solo evitare, scansare o cercare di scansare il pericolo, non lo possiamo affrontare. Una pandemia che in Italia sembra stia piano piano scomparendo, mentre nel resto del mondo si mostra ancora in tutta la sua virulenza. Siamo stati tra i primissimi paesi ad essere travolti da questa tragedia e ne stiamo uscendo fuori. Grandi lodi vengono rivolte al governo su come ha affrontato questa situazione, ed in effetti furono presi – pur con le incertezze iniziali – drastici provvedimenti che hanno salvato delle vite umane. Gli italiani si sono subito adeguati, in modo encomiabile, tanto da suscitare meraviglia anche all’estero, mostrando senso civico, senso di responsabilità. La paura ha fatto il miracolo. Forse è vero quello che diceva qualcuno, che noi italiani osserviamo veramente solo un avviso che compariva una volta sulle cabine elettriche :”Chi tocca i fili muore”. Eh sì, perché se siamo capaci di mostrare senso civico in questa occasione drammatica, perché non lo mostriamo anche in altre occasioni? Ad esempio di fronte al fisco, eliminando quella piaga che si chiama evasione fiscale? Comunque sta di fatto che in questo modo si è evitata una catastrofe. Sì, ma a che prezzo? E’ stato facile chiudere le attività commerciali e industriali per evitare il peggio, ma ora siamo in una situazione forse anche più drammatica. Forse, e senza forse, si potevano lasciare aperte tante attività con le dovute cautele, rispettando le precauzioni, i divieti. Ora abbiamo creato il deserto lavorativo, la chiusura di tante attività che sono rimaste chiuse e senza aiuti per troppi mesi. Peggio. Alla riapertura abbiamo perso quote di mercato internazionale, mentre altri Paesi continuavano a produrre. Venivamo già da una situazione di difficoltà; ora stiamo precipitando. Gli aiuti dell’ Europa, si sa, inutile ricordarlo, arriveranno a “babbo morto”, a situazioni ormai irrecuperabili, fra mesi e a fronte di una dimostrata capacità italiana di saper spendere quei denari. Una capacità in cui certo non abbiamo mai brillato …Ma soprattutto il governo e le forze che lo formano hanno mostrato la loro inadeguatezza. Certo, non è facile affrontare una situazione mai vista, ma da un governo si richiederebbe proprio la capacità di saper affrontare soprattutto le situazioni di emergenza, non la normale amministrazione. Non dimentichiamo le inadempienze, i ritardi, per tutte le calamità che si abbattono periodicamente sul nostro Paese! E così abbiamo assistito al valzer delle ipotesi su come riaprire le scuole, ai provvedimenti ipotizzati, alle misure (intendo in centimetri…) da adottare in classe, alla riscoperta del plexiglas, sino all’ultima perla: i banchi a rotelle. La scuola italiana trasformata in una specie di luna park, dove le aule diventano spazi per l’autoscontro! Ma ve li immaginate gli studenti su questi seggioloni, come quelli che si usano per i bimbi piccoli per dare loro la pappa, seduti per cinque o sei ore al giorno? E il distanziamento? Proprio per il fatto di avere delle rotelle, e quindi soggetti ad essere facilmente spostabili, come si potrà mantenere il distanziamento? Sarà un ricercare la giusta distanza dopo ogni spostamento. Come si potrà fare scuola con una semplice ribaltina sulle gambe, sostenuta da un braccio metallico della poltroncina? C’è chi ha misurato lo spazio che occupa questo tipo di sedia e l’ha trovato superiore a quello di un semplice banco… ma c’è chi ha evidenziato come in meno di un mese nessuna azienda italiana sia capace di produrre tanti banchi. Ci rivolgeremo all’estero? Il pressapochismo con il quale – pur con tutte le possibili scusanti, possibili, comprensibili, ma non accettabili – ci si muova in diversi settori (la scuola è forse quello che appare più visibile) non può non destare preoccupazione. Spaventa l’atteggiamento del PD, che sembra sempre più al traino del M5stelle, dimentico della sua tradizione. Non spaventa, non meraviglia, invece, l’atteggiamento dei 5 Stelle: sono quelli della “decrescita felice”, in un Paese che è inserito in un’economia liberale e capitalista, piaccia o non piaccia. Sono coloro che sono giunti al governo con una volontà giacobina di distruggere non di cambiare; di fare piazza pulita non di risolvere le ingiustizie sociali. Perché è facile dire no a molte scelte strutturali; è facile dire di “abolire la povertà”; poi i fatti ti presentano il conto, amaro. Il nostro Paese ha imboccato la via della decadenza, non facciamoci illusioni; e non da ora. In Europa non hanno fiducia in noi. E come dare loro torto? Non siamo gli unici al mondo con delle criticità, ma noi siamo specialisti …E non parlo solo della burocrazia asfissiante, della corruzione, della malavita organizzata, ma anche della mancanza di una vera classe dirigente, di una classe dirigente che mostri in Europa autorevolezza. Forse ci meritiamo questi politici; forse all’orizzonte non ci sono più i De Gasperi, Nenni, Togliatti, Moro, Berlinguer, La Malfa; tutti coloro che in modi diversi e con idee diverse hanno costruito il Paese Italia. Ma non possiamo farcene una ragione. All’opposizione di centrodestra si richiede di riscoprire quel pathos civile, quel senso della comunità, dello Stato che guarda al di là del proprio particulare. Non possiamo, non dobbiamo, consentire che la decadenza civile e morale del nostro Paese sia la normalità.

Antonio F. Vinci