Il nuovo confessionale - Numero 59

Qual è il termometro del Paese? Un’indagine statistica, una relazione sociologica, interviste a campione condotta tra le diverse classi, i risultati elettorali? In parte sì, ma soprattutto la lettura dei social! Sì. Provate ad aprire la pagina Facebook, ad esempio. Uno spaccato dell’Italia contemporanea si presenterà ai vostri occhi. Non ci credete? Provate. Però appena aprite un interrogativo vi si presenta immediatamente e vi assale: “A cosa stai pensando Antonio”? Oddio, non stavo pensando a nulla di particolare. Mi sento subito sotto osservazione. Mi sembra come se un’entità suprema mi chiedesse a cosa stessi pensando per controllarmi (meno male che non mi chiede cosa stessi facendo, non avrei saputo da dove incominciare). Chiedermi a cosa stessi pensando, beh un po’ mi turba: si entra nel mio pensiero, nel mio cervello; certo posso anche non rispondere, ma sapere che quello che penso potrebbe interessare altri … da una parte mi lusinga, ma dall’altra mi fa sorgere la domanda: a chi importa? E così se per il grande filosofo tedesco Hegel la lettura del giornale era la nuova preghiera dell’uomo moderno, oggi aprire la finestra sul mondo, all’inizio della giornata, è connettersi con i social, con Facebook principalmente. Così scorrendo la mia pagina Facebook leggo una serie di notizie. Certo, con attenzione, cercando di scoprire notizie interessanti -  magari non riportate dalla stampa cartacea - distinguendole dalle fake news. Ma come si fa? Cercando, investigando, confrontando più fonti, ma di solito non hai il tempo per farlo. E allora ti soffermi sulla galassia degli inviti, delle notizie, degli appelli, delle confidenze, ecc. ecc. C’è chi ti mette in guardia dal fidarti degli altri, chi ti chiede di condividere il suo post sul politico del momento, chi vuole una tua scelta a proposito dei temi politico-sociali più scottanti. Insomma una folla di persone che vuole “condividere”. E forse è questo il segno della nostra epoca: ci si sente sempre più soli e sui social si cerca qualcuno che la pensi come te. E che dire degli appelli vagamente ricattatori: “vediamo quanti dicono mi piace”, “se sei d’accordo metti un mi piace”, “proviamo a contarci”? E poi ci sono quelli che “postano” filmati sugli animali (che sono i più belli, i più teneri…); quelli che mettono la foto della pizzata con gli amici (ma a chi dovrebbe interessare?); quelli che dispensano pillole di saggezza sul comportamento d’avere con i genitori, a scuola, in ufficio, ecc. ecc. Un vero e proprio manuale, in quest’ultimo caso, del perfetto cittadino. Perché abbiamo dimenticato come ci si comporta; abbiamo dimenticato di dire “grazie”, “permesso”, “per favore”. Ed anche questo ci viene ricordato da amorevoli persone che nulla hanno di meglio da fare che fare i moralisti da tastiera. E quelli che ci ricordano “come eravamo”? I nati negli anni Cinquanta, quando non c’erano cellulari, ma nessuno si preoccupava di sentirti ogni cinque minuti; quando si giocava a pallone nel cortile; quando ti sbucciavi un ginocchio e non andavi dal pediatra; quando l’insegnante ti rimproverava e tua madre non correva a scuola per avere spiegazioni aggredendo il docente ma ti mollava due sberle. Insomma su Facebook appare una umanità variopinta ma triste; una folla di persone sole che cercano conforto, adesione di altri, sostegno per le proprie affermazioni, scelte di vita.
Un mondo di solitari che si scioglie nel gran mare dell’umanità.
Giosafatte