La Carta del Carnaro - NUMERO 62

Nei mesi rivoluzionari della presenza di d’Annunzio e dei Legionari a Fiume venne pubblicata il 27 agosto del 1920 la Carta del Carnaro. Fu un documento rivoluzionario. Era stata redatta da Alceste De Ambris, figura di socialista,  attivissimo sindacalista rivoluzionario, volontario nella I Guerra mondiale, che aveva partecipato anche alla redazione del “Manifesto dei fasci di combattimento “di Mussolini, elaborando la parte economica. Giunto a Fiume diventò Capo di Gabinetto, dando così una svolta di sinistra all’impresa fiumana. De Ambris sperava di estendere la rivoluzione fiumana, letta in un’ottica sindacalista, a tutta l’Italia. L’occasione per dare le basi ideali a questo progetto fu la Carta del Carnaro, redatta da De Ambris e che D’Annunzio rivestì di alate parole.

Ma perché “rivoluzionaria” la Carta del Carnaro? In essa all’art. 2 si diceva :”La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali.

Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra per quanto è possibile i poteri dello Stato, onde assicurare l’armonica convivenza degli elementi che la compongono”. Già queste parole suonavano fortemente innovative per la cultura politica dell’epoca, con la proclamazione della democrazia diretta e di un’uguaglianza che rivestiva tutti gli aspetti. La sottolineatura del lavoro produttivo verrà ripresa con forza nell’articolo 6, dove è scritto :”La Repubblica considera la proprietà come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale. Perciò il solo titolo legittimo di proprietà su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro che rende la proprietà stessa fruttifera a beneficio dell’economia generale.” Come non ricordare che anche la nostra Costituzione repubblicana dichiara sin dall’art.1: ”L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” ?.

L’uguaglianza di tutti davanti alla legge veniva sancita con l’ art. 4 : “ Tutti i cittadini della Repubblica senza distinzione di sesso sono uguali davanti alla legge. Nessuno può essere menomato o privato dell’esercizio dei diritti riconosciuti dalla Costituzione se non dietro regolare giudizio e sentenza di condanna.

La Costituzione garantisce a tutti i cittadini l’esercizio delle fondamentali libertà di pensiero, di parola, di stampa, di riunione e di associazione. Tutti i culti religiosi sono ammessi; ma le opinioni religiose non possono essere invocate per sottrarsi all’adempimento dei doveri prescritti dalla legge”. E così, nell’art. 5 si garantiva “ a tutti i cittadini senza distinzione di sesso l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’uso dei beni legittimamente acquistati, l’inviolabilità del domicilio, l’habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere.” E qui si riprendeva quanto presente nel “Manifesto dei Fasci di combattimento” di pochi mesi primi, di quel 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro :

“Noi vogliamo:

  1. La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro.
  2. I minimi di paga.
  3. La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria.
  4. L'affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici.
  5. La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti.
  6. Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni”.

Uno degli aspetti più interessanti della Carta del Carnaro è certamente  rappresentato dall’art.13 :”I cittadini che concorrono alla prosperità materiale ed allo sviluppo civile della Repubblica con un continuativo lavoro manuale ed intellettuale sono considerati cittadini produttivi e sono obbligatoriamente inscritti in una delle seguenti categorie, che costituiscono altrettante corporazioni, e cioè...” E qui si elencavano sette Corporazioni.

Si prefigurava quindi quella partecipazione alla gestione del lavoro, già presente – come si è visto - in Piazza San Sepolcro, e che non si attuerà né a Fiume, a causa della fine dell’Impresa, ma neppure durante la RSI a causa del conflitto. Una terza via tra capitalismo e comunismo vagheggiata in quegli anni di grande fervore rivoluzionario e che si voleva realizzare con le Corporazioni.

A.V.