Il personaggio

Era un sabato - come quest’anno - quel 29 marzo del 1997 quando una carreggiata ignorante portò via Nicola Pasetto, deputato di Alleanza Nazionale. Scrivo con un nodo strettissimo alla gola mentre ricordo quel che accadde in un attimo. Un lampo quella notizia: Nicola era volato via. Ero giovanissimo quando conobbi, perché volli conoscere, quel politico così diverso dagli altri. Lui era, come me, diciamo così, di scuola rautiana, ribelle e goliardico. Viveva la politica con uno spirito che molti non conoscono e nemmeno comprenderebbero. Lo vidi alcune volte e m’interessai subito a lui, m’incuriosiva anche banalmente per il cognome simile al mio, per il suo fare spavaldo ma bonario. Con simpatia ascoltava le elucubrazioni che gli sottoponevo, mi diceva sempre qualcosa che mi convinceva, mi rassicurava. Con lui mi è capitato di discutere di calcio, lui del Verona, io dell’Inter, con le rispettive tifoserie al tempo amiche. Insomma era uno come me, più grande, più bravo, ma alla fine molto simile a me. Banalizzando, pur avendolo frequentato sporadicamente, era un fratello maggiore. Poi un viaggio interrotto da uno schianto. A Nicola Pasetto la Compagnia dell’Anello ha dedicato una dolcissima canzone che si chiede "dove vai, ma dove stai correndo?" e ricorda "quel tuo sguardo fiero". Una canzone che riassume in maniera straordinaria la sua filosofia di vita: "C’è un modo solo per non morire mai e quel modo è vivere davvero….". Per questo faccio mie le parole di Mario della Compagnia, anche oggi a sei anni da quel 29 marzo: "Grazie Nicola".

Fabio Pasini

LA STORIA DI ETTORE MUTI
LA FINE DI "GIM DAGLI OCCHI VERDI"? UN ASSASSINIO FIRMATO BADOGLIO


Avrebbe riso, grassamente, alla sua maniera Ettore Muti da Ravenna nell’ascoltare "Vita spericolata" di Vasco Rossi da Zocca. Sì, perché per lui il pericolo era un fatto naturale, il condimento dell’azione per cui ha vissuto fin dai primi passi mossi in un’esistenza che nemmeno la più forzata fantasia cinematografica potrebbe mai pensare. Altro che canzonette. Ettore Muti fu un personaggio assolutamente unico, figlio di quella Romagna che partorì anche Benito Mussolini e Italo Balbo. Fu fascista ancora prima che il fascismo nascesse, lui che la storia ci consegna come uno dei più illustri uomini che vestirono la camicia nera. Ecco, a questo punto, dinnanzi ad una simile prosa Muti sarebbe già andato su tutte le furie e avrebbe investito chi scrive quantomeno delle peggiori contumelie che il vernacolo romagnolo fornisce. Già, Muti detestava le celebrazioni, le esaltazioni, gli ossequi sinceri e non. Odiava tutto ciò che il regime fascista, sotto la regia di Achille Starace, propugnava agli italiani fino alla nausea. Lui era un uomo di fatti (non pugnette, aggiungerebbe oggi un comico suo corregionale), un uomo di quel fascismo puro e irrazionale che si perdette nel regime delle parate e dei privilegi. L’audacia nell’avventura era la sua ragione di vita, al di là di ogni ideologia e di ogni morale. La guerra era il suo destino di maschio bello, forte spavaldo, ma anche sciovinista, violento, spaccone. Un soggetto da film, dicevamo, un soggetto raccontato mirabilmente da Arrigo Petacco, autore di "Ammazzate quel fascista! Vita intrepida di Ettore Muti" (Mondatori, euro 16,40). Con il suo stile gradevole e non accademico, che qualcuno definirebbe "romanzato", Petacco racconta la vita del ragazzo di Ravenna rimasto tale anche quando, quarantenne, una morte misteriosa, il 24 agosto 1943, lo tolse di mezzo. Il libro comincia proprio da "quella notte a Fregene", in cui fu prelevato dalla sua abitazione dai carabinieri del maresciallo Pietro Badoglio. La fine di Ettore Muti è sempre stata avvolta da un fitto mistero, ma l’autore ci aiuta a capire qualcosa di più, soprattutto circa le responsabilità del regio "galantuomo" poi artefice dell’"ignobil 8 di settembre". Gente squallida in modo meschino avrebbe posto fine all’esistenza ricca e affascinante dell’ex segretario del Pnf. Un’esistenza che lo ha visto appena quattordicenne fare, nel senso letterale del termine, carte false per potersi arruolare tra gli Arditi che combattevano sul Piave, il fiume fatale che lui attraversò a nuoto nottetempo per attaccare di sorpresa gli austriaci. Per quell’azione partirono in 800, tornarono in 22: l’imberbe Muti era tra quelli. Solo due anni più tardi era a Fiume con i legionari di D’Annunzio per un’altra avventura. Anche lì si distinse per coraggio e audacia. Il Vate non poté fare a meno di notarlo e di esserne entusiasta. E il giovanissimo Ettore - che amava farsi chiamare Gim, dal suo eroe dei fumetti - per il Poeta-soldato divenne "Gim dagli occhi verdi" cui dedicò persino dei versi. Poco dopo verrà il fascismo e per Muti sarà l’ennesimo appuntamento con la storia. Si distinse come durissimo squadrista nella sua città, quindi volle andare a conoscere Mussolini nel covo milanese di via Paolo da Cannobio e non fu che l’inizio. Dopo la marcia su Roma si distinse come intrepido e vincente aviatore in Abissinia, non resistette al richiamo della guerra di Spagna, fino alla partecipazione al secondo conflitto mondiale, in cui si guadagnò una quarantina di decorazioni, tra cui due medaglie d’oro e dieci d’argento. Ma Ettore "Gim" Muti degli onori "se ne fregava". Vinta una battaglia, non chiedeva altro che affrontarne una nuova: non era matto era semplicemente il "fascista perfetto". Così nel 1939 il duce lo volle nominare segretario del partito al posto di Starace. E fu un autentico terremoto, in quanto lui non era fatto per il regime e il regime non era fatto per lui. Mettere dietro una scrivania un "guerriero dell’Alto Medioevo", come lo definì lo stesso Mussolini, non fu una mossa molto azzeccata. Muti faceva a pugni con la burocrazia come era stato abituato a fare con i suoi avversari, detestava i rituali e i vizi della politica, che non capiva. Era un combattente duro, spietato sì, però era onesto e questo era un limite anche allora, purtroppo. Il segretario Muti avrebbe voluto rivoltare ogni singola federazione come un calzino e memorabili furono le sue ispezioni veramente a sorpresa (non come quelle precedenti che lo erano solo nelle parole di Starace) a cui giungeva a bordo del suo aeroplano e che si concludevano spesso con cicchetti e rimozioni di federali un po’ troppo cialtroni.

Tutto questo fu Ettore Muti da Ravenna: bambino discolo, giovane ribelle, stupendo combattente, fascista sui generis, forsennato amatore latino. Ma per averne un’idea davvero precisa non si può prescindere dalla lettura del libro di Arrigo Petacco.

Fabio Pasini

LUTTO PER LA DESTRA LEGNANESE: E’ MORTO FRANCO COLOMBO

Mercoledì 2 ottobre è morto Franco Colombo. Ex Assessore alla Polizia municipale nella prima Giunta Cozzi a Legnano, Franco Colombo é stato da sempre la bandiera della Destra cittadina. Consigliere comunale del MSI dal 1961 al 1990, nel 1997 aveva ricoperto la carica di Assessore alla polizia urbana per AN fino a quando, nel dicembre del 2000, si era dimesso per il sopraggiungere di guai giudiziari che lo avevano travolto. Da quel momento Franco Colombo si era ritirato dalla scena della vita politica. Eppure la sera in cui AN celebrava il suo trionfo, quando negli Uffici comunali lo spoglio delle ultime amministrative dava ad AN un incremento del 75% dei voti, non aveva potuto esimersi dal farsi vedere tra i corridoi, tra i vecchi camerati. Gli sarà costato muoversi tra la folla che assiepava i corridoi, sentirsi silenziosamente additato, ma quella vittoria, ora che si era messo in disparte e non aveva più alcuna carica, era anche la sua vittoria. E gli avrà addolcito un po’ il cuore dalle tante amarezze che stava subendo. Franco Colombo è stato amato dai legnanesi, per il suo carattere schietto, sempre disponibile : un uomo buono. Il sindaco Cozzi ha ricordato con affetto Colombo, sottolineandone con passione la sua generosità. Il giorno dei suoi funerali la chiesa di Santa Maria delle Grazie era gremita sino al sagrato. Erano presenti quasi tutti i Consiglieri comunali insieme alle massime cariche della città e molta, molta gente. Commovente la partecipazione dei contradaioli di San Martino che, con il Gran Priore Sandro Gregori e il capitano, tutti con il foulard con i colori della Contrada, facevano ala alla folla. Presso l’altare sostavano il gonfalone del Comune e della Contrada di San Martino, listati a lutto. Non un segno di Alleanza Nazionale, né una bandiera tricolore. L’uomo che per quarant’anni ha rappresentato il partito se n’andava con il saluto dei suoi contradaioli e del suo Comune, non dei suoi camerati. Non un saluto, neppure la breve cerimonia dell’appello con la risposta "Presente!". All’uscita dalla chiesa un drappello di vigili urbani gli rendeva gli onori, mentre a tumulazione avvenuta il Gran Priore di San Martino, Sandro Gregori, si staccava dalla folla e deponeva sulla sua bara il foulard della Contrada. I suoi camerati sostavano distanti, imbarazzati.

Barbarossa

MARZIO: QUEL RAGAZZO A "CAMPO HOBBIT"

"Come un’aquila ora vola lui
sorridendo alle stelle e ancor più su
e il suo flauto suonando ci guiderà
verso l’alba che sicura è già".

In pochi ambiti come nella politica è necessario tenere lo sguardo sempre fisso in avanti, proteso al domani, alle nuove sfide che il futuro propone continuamente. Guai a lasciarsi distrarre troppo dal passato, da qualche cosa che anche solo assomigli a un ricordo, ad un rimpianto, ad una nostalgia. Così, le memorie e le testimonianze vengono spesso frettolosamente affidate agli storici ché ne facciano merce di analisi e discussione, lasciando libera la mente per affrontare le quotidiane incombenze e il continuo, incalzante contraddittorio. Dunque la politica "dimentica" facilmente anche i suoi figli migliori, cercando poi - magari - di rimediare con cerimonie che "istituzionalizzino" la memoria, la codifichino, costringano in qualche modo a rievocare nomi e volti in maniera "ufficiale".

La Destra che oggi è al governo della Nazione, invece, è una delle poche formazioni politiche che, avendo alle spalle una lunga storia fatta anche di sacrifici, di sofferenze e di lutti che hanno lasciato un’impronta indelebile nel suo carattere e nel suo orgoglio, non si vergogna di fermarsi ogni tanto per lanciare un sguardo a quel passato, duro ma temprante, rendendo così onore ai tanti (troppi) nomi di uomini eccezionali che l’hanno caratterizzata o che hanno apportato un tassello determinante alla sua crescita, alla sua maturazione, alla sua affermazione.

Uno di quegli uomini - il cui ricordo vorremmo meno "istituzionalizzato" proprio perché lo sentiamo fraterno e vicino - fu Marzio Tremaglia, il giovane figlio dell’attuale Ministro per gli Italiani all’Estero, che fu - nell’ultimo periodo della sua vita - indimenticato e rimpianto Assessore alla Cultura della Regione Lombardia. Oggi il nome di Marzio è ormai associato, nell’immaginario collettivo di tutti coloro che lo hanno conosciuto o solo sentito citare, al concetto stesso di cultura. Marzio è l’uomo che ha inventato un modo nuovo di promuovere i valori del radicamento, dell’identità e della libertà; la conoscenza della storia; il senso sacro del bello; la riscoperta delle radici culturali nazionali ed europee. E’ l’uomo che ha saputo far conoscere e apprezzare - per la prima volta in maniera qualificata e qualificante - ad un pubblico eteroclito opere, autori e idee non conformi all’appiattimento intellettuale, frutto di oltre cinquant’anni di omogeneo e forzato monopolio culturale.

Tuttavia, se si volesse davvero conoscere e capire la Destra di governo, bisognerebbe fare un passo indietro, alla metà degli anni Settanta, ad un periodo oscuro e tragico della storia del nostro Paese, percorso da una guerra civile strisciante che seminava lutti e distruzioni sociali. Bisognerebbe tornare indietro al 1977 per ritrovare Fini, Gasparri, Alemanno e tanti altri… molto più giovani, insieme ad un ragazzino, persino un po’ più giovane di loro: alto, magro, con gli occhiali e con un eterno sorriso sornione. Un ragazzino che era già un "pozzo di scienza" perché aveva letto di tutto e citava a memoria anche autori pressoché sconosciuti agli altri. Un ragazzino dal cognome impegnativo, perché comunque era figlio di un deputato già allora conosciuto in tutto il mondo per il suo impegno per gli italiani all’estero: Marzio Tremaglia.

Eccoci allora, nel 1977, a Benevento, a "Campo Hobbit 1", il primo grande raduno libero (cioè non organizzato dal partito) dei giovani di destra. Per la prima volta, in un’Italia che bruciava, in cui troppi loro coetanei li volevano emarginati o morti, centinata di giovani di destra di tutta Italia si trovano per parlare, cantare e scambiarsi esperienze. Nascono così, in quei pochi giorni frenetici e ansiosi: nuovi slogan, nuove immagini, nuove parole d’ordine, nuovi simboli, nuove canzoni, nuove bandiere. Nessuno di noi lo sapeva, ma quel giorno era un intero mondo che stava cambiando, un’era nuova che stava iniziando. Non lo sapevamo, ma da quei fermenti culturali sarebbero nati libri e case editrici, giornali e radio libere, nuovi strumenti di comunicazione e di espressione. Non lo sapevamo, ma da quelle prime canzoni strimpellate la sera sarebbe nato un movimento musicale trentennale. Non lo sapevamo, ma a Campo Hobbit nasceva una Destra giovane, innovativa e libera; nasceva una generazione che avrebbe condotto la Destra del passato lungo un nuovo percorso in cui tradizione e identità si possono coniugare con innovazione e cambiamento.

E Marzio era protagonista di quelle giornate. Sulla sua tenda sventolava la bandiera con l’albero e le sette stelle: "è il simbolo di Gondor, la bianca fortezza che si oppone al Signore del Male e alle sue orde di orchetti", ci spiegava con orgoglio essendo - confessiamolo - uno dei pochi che aveva letto tutto Tolkien e ne aveva compreso a pieno il valore mitico. Così, nei pomeriggi assolati, all’ombra del palco, Marzio ci raccontava la saga tolkiniana chiarendone i significati e, quando calava la notte, noi tutti diventavamo, in sogno, indomiti guerrieri di Gondor dietro alle bianche mura o coraggiosi hobbit che non avrebbero mai lasciato cadere l’anello nelle mani di Mordor, mentre le canzoni che avevamo appena ascoltato altro non erano che dolci canti elfici, gli slogan urlati sembravano roche invocazioni di Nani… e le parole di Marzio erano i saggi insegnamenti di Gandalf.

Così, mentre la Destra e l’Italia tutta, vivevano uno dei periodi più bui e dolorosi, in cui ogni giorno c’era da attendersi un attentato o un agguato omicida; quel branco di giovani idealisti e sognatori nutriva il cuore e la mente di emozioni. In quei giorni una nuova "Compagnia dell’Anello" si era messa in marcia: tutti diversi tra noi, ma uniti contro il regno del Male.

Non credo che oggi quella marcia sia terminata. Forse si è vinta la prima grande battaglia e Mordor è stato ricacciato. Oggi Aragorn è re e la lama che fu spezzata è stata finalmente saldata. Ma l’anello non è ancora stato distrutto. Il Potere, il Male, non sono ancora stati sconfitti. Frodo è ancora in marcia e noi tutti dobbiamo ancora aiutarlo… Se ci voltiamo indietro vediamo quanta strada è stata percorsa dal quel lontano 1977. Ma vediamo anche il prezzo che è stato pagato dalla "Compagnia". Di quei giovani che, con noi, in quelle notti cantarono e sognarono, qualcuno s’è perso, altri si sono fermati, pochi si sono arresi… troppi, invece, sono morti stroncati dalla violenza del nemico o dal fato.

E Gandalf? Anche lui non marcia più al nostro fianco. Tutti pensano che sia precipitato nell’abisso, là nel buio delle miniere di Morìa. Tutti lo abbiamo pianto e rimpianto. Eppure quando si tratterà di affrontare l’ultima, definitiva battaglia lui tornerà sulle ali del Re delle Aquile…

Questo ci raccontava Marzio e questo è il senso del nostro "culto della memoria": la certezza della trionfo ultimo dello spirito sulla materia; del trascendente sull’immanente; della tradizione sul progresso; della civiltà sulla barbarie… della vita sulla morte. Perché le anime grandi non muoiono mai e, quindi, ne sono certo, Gandalf tornerà tra noi e avrà ancora le parole sagge e il sorriso dolce di Marzio.

Guido Giraudo

E’ morto Pasquale Bandiera.

Ci sono persone che, pur non essendoti particolarmente vicine dal punto di vista politico o ideologico, condividono o hanno condiviso battaglie, ideali, concezioni di vita. Un passato che li ha visti su sponde diverse o antitetiche alle tue non ha ostacolato un cammino comune, un tratto significativo della tua esistenza. Così è stato per Pasquale Bandiera. L’ho conosciuto pochi anni fa, ma la sua tempra di repubblicano storico, passato attraverso mille esperienze, la sua tempra di combattente per la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, mi è stato d’esempio come se lo avessi conosciuto da tantissimo. Bandiera era animato, questo "giovanotto" di 78 anni, da un dinamismo, una voglia di fare, da patriota risorgimentale. Nonostante la non più giovane età era sempre in giro per il mondo e per l’Italia ad organizzare convegni, a presenziare a riunioni, a costituire comitati, per difendere gli oppressi, gli ultimi della terra, i diseredati, gli esuli politici. Uno dei suoi crucci era che Milano e la sua provincia non decollassero nella costituzione di un Comitato operativo per la Lega dei Diritti dell’Uomo ed aveva affidato proprio a me questo compito verso la fine dello scorso anno. Pur conoscendo le mie idee, mi aveva affidato l’incarico, consapevole che la difesa dell’Uomo, della sua dignità, non può conoscere barriere ideologiche. Non mi ha fatto gli esami Pasquale Bandiera, non ha contato i globuli democratici del mio sangue : ha dato una lezione di tolleranza e di autentica democrazia molto più pratica e realistica dei tanti Soloni sputasentenze che si aggirano nell’universo mondo. Per ricostruirne la figura riportiamo il ricordo che il sito della FIDH , http://www.fidhlegaitaliana.org, gli ha dedicato.

Antonio F. Vinci


3.5.2002 - E’ scomparso il 3.5.2002 il Presidente della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo On. Pasquale Bandiera di anni 78, nato il 14.2.1924 a Siracusa, Laureato in scienze politiche è stato il Presidente della Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo, Sezione Italiana della Federazione Internazionale delle Leghe dei Diritti dell’Uomo, ONG delle nazioni Unite e del Consiglio d’Europa di cui è stato anche il Vicepresidente internazionale. L’On. Bandiera ha rappresentato la FIDH nelle Commissioni delle Nazioni Unite. Egli è anche stato Presidente del Centro Studi e Ricerche Parlamento. Giornalista professionista è stato direttore delle riviste "Parlamento", mensile di vita politica e parlamentare e del mensile "Le Nuove Libertà" Organo di stampa della lega italiana dei Diritti dell’Uomo. Egli è stato anche Presidente della struttura editoriale "Parlamento Multimedia", è stato direttore dei quotidiani "La Regione Siciliana" e "La voce Repubblicana". E’ stato anche Presidente dell’Associazione dei Giornalisti Europei e presidente dell’Associazione Nazionale Volontari e Reduci Garibaldini, l’organizzazione dei reduci della divisione partigiana italiana Garibaldi, che ha combattuto in Yugoslavia. Deputato in quattro legislature con il Partito Repubblicano è stato per due legislature Presidente della Giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera dei Deputati e quindi membro del Governo come sottosegretario alla difesa. Esperto di problemi Internazionali è stato consulente dell’Assemblea Parlamentare della Nato e membro delle maggiori Istituzioni Internazionali di politica estera e della difesa. Parlamentare in quattro legislature, Sottosegretario di Stato. I funerali nella Chiesa S. Maria in Portico di Piazza Campitelli Roma si sono svolti il 6.5.2002 con picchetto d’onore del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e con la corona del Presidente della Camera Casini alla presenza dei membri del Comitato Centrale della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo e delle Commissioni.

La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo - FIDH è ora rappresentata ufficialmente secondo statuto dal Vicepresidente On. Alfredo Arpaia. Le commissioni della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo - FIDH sono coordinate dall’Avvocato Gianmarco Cesari.

Il Terrorismo colpisce il mondo del lavoro

Un tempo, in quel drammatico periodo storico della nostra Italia che ci si illudeva fosse ormai retaggio di un passato remoto denominato "anni di piombo" o "emergenza terrorismo", venivano barbaramente trucidate varie tipologie di persone: carabinieri, poliziotti, studenti di una parte o dell’ altra, giornalisti, militari, molti innocenti, qualche politico.
Oggi, in questo inizio millennio tutt’altro che pacifico, la "tendenza" è cambiata e non di poco: non si uccide più un semplice simbolo ma un diretto interessato, anche se conosciuto da pochi ma di certo strategicamente interessante e di una certa utilità.
I simboli, infatti, possono essere suggestivi ma fondamentalmente poco utili per la "causa" e oggi il gioco non vale la candela: meglio qualcuno che si muova sul serio, che non dorma seduto sulla poltrona agognata, che abbia la capacità e l’intelligenza necessarie ad un possibile cambiamento loro sgradito e ben poco auspicato.
E’ il caso di Marco Biagi, è il caso del mondo del lavoro.
In queste ore numerosi esperti o presunti tali stanno cercando di stabilire un "come " e un "perché" partendo dagli estremisti palestinesi e finendo all ’Area 51 tra UFO e X-File e questo senza contare gli "ovvi" riferimenti al terrorismo nostrano legato ad alcune frange dell’estrema sinistra che già hanno dato prova di omicide capacità nel delitto D’Antona ma che di certo non erano nemmeno estranee alla vicenda del G8 a Genova lo scorso luglio o all’oscura permanenza italica del leader curdo del Pkk, Ochalan.
Eppure questo omicidio ci riporta ad un problema direttamente legato ad una realtà che non è mai cessata di essere tale ma che è semplicemente mutata rispetto ai tempi, ereditata da terzi che altri non sono che i figli illusi dell’odio sparso a piene mani e che ora si ritorce contro determinate aree politiche che l’hanno sempre cercato di fomentare per patetiche velleità rivoluzionarie o per calcolo elettorale.
Le pìe illusioni di chi credeva che il terrorismo fosse un momento di "passaggio" nella storia italica ha, in quest’ occasione, possibilità di ulteriore analisi e riflessione ma in una nuova ottica; è un dato di fatto che la perdita del monopolio della cultura che contraddistingueva l’ex mondo operaio e proletario ha messo in certa crisi quei partiti che si arrogavano il diritto alla loro tutela con lo stesso piglio stalinista di un dittatore dei "bei tempi che furono" e questo dramma si è trasformato in un drammatico trauma elettorale che ha portato al governo il centro-destra di Berlusconi. La scomparsa di molte realtà loro legate, l’attuale priorità legata alla guerra al terrorismo islamico dopo l’attentato alle Twin Tower, il disinteresse delle moltitudini alla passione politica ha portato gli estremisti ad una nuova versione della vecchia lotta armata e cioè le nuove risoluzioni strategiche: dato che il popolo dorme, o sonnecchia, in una buona dose di benessere materiale, cerchiamo di risvegliarne le pulsioni o possibili necessità con atti legati ai temi più cari e cioè il benessere materiale ovverosia il mondo del lavoro.
E’ un po’ come quando i C.A.R.C. ( Comitati Appoggio alla Resistenza per il Comunismo) appiccicano i loro manifesti con le immagini rubate alla propaganda dei Soviet e con i caratteri e le tematiche tipiche della Rivoluzione d’ Ottobre.
La vicenda legata all’Art. 18 ha poi, in verità non del tutto ingiustamente, motivato tali gruppi nell’ambito di una strategia armata che nell’atto terroristico dimostri il cambio del bersaglio, la sottolineatura delle priorità, la possibilità di colpire nei termini operativi più professionali possibili e con la sicurezza dell’acquisizione del bersaglio al di là dei margini di errore.
Operazioni del genere, di qualunque matrice esse siano, sono pianificate in termini interessanti vuoi per il monitoraggio dell’area operativa, vuoi per la particolareggiata conoscenza del bersaglio e delle proprie abitudini ( orari, spostamenti ,mezzi, identikit etc.) ma soprattutto nell’attuazione del gruppo di fuoco e delle vie di fuga.
Lo stessa valga per l’oculata scelta dei tempi e del luogo. Il Terrorismo, quello con l’"T" maiuscola è morto, però i suoi eredi hanno imparato bene una lezione che pur fallimentare, potrà ancora portare alle estreme conseguenze la rabbia di ieri.

Fabrizio Bucciarelli

L’italiano emigrato in Argentina
Questa volta il nostro personaggio non ha tratti ben precisi, carta d’identità che lo riporti ad un individuo particolare, ma è l’italiano o il figlio di italiani, senza volto, che si trova - come tutti gli altri Argentini in questo momento - in gravi difficoltà economiche, a causa della situazione del Paese. C’è chi, comunque, nella nostra Italia non dimentica questi italiani lontani e lancia un appello di solidarietà.

In Argentina vivono quasi 12 milioni di italiani, in massima parte piemontesi, veneti, campani e siciliani. Persone che hanno cercato, e spesso anche trovato, un nuovo modello di vita a migliaia di chilometri dalle loro case, un modello di vita fatto di lavoro e di benessere. L’Argentina del primo Novecento, ma ancora fino agli anni ’50 e ’60, è stata per gli italiani una vera rivincita storica: venivano dal Paese più bello del mondo, ma venivano spesso anche dalla povertà e dalla miseria; sono arrivati un un Paese poco popolato fatto solo da grandissime e sconfinate distese di terra, e lo hanno fatto diventare il Paese dei campi di grano di Santa Fe, del porto di Buenos Aires, delle vigne sui colli di Mendoza, il Paese del Mar de la Plata. Italiana fu la cultura, la ricerca, la sperimentazione, italiane furono le opere pubbliche, l’industria, le belle arti, la marina mercantile, italiano fu l’estro creativo. E pensare che si cantava "Partono i bastimenti, pe’ terre assai luntane...", partendo con le valigie di cartone legate con lo spago... Oggi l’Argentina vive un momento di difficoltà politica ed economica. La scelte delle Banche di stabilire un equilibrio forzato fra il peso argentino e il dollaro americano ha affogato il Paese nel debito pubblico. Chi è stato a Buenos Aries, o Rosario o nell’ultimo "pueblo" dell’entroterra non avrà potuto non notare di tanto in tanto, una piccola bandiera italiana nelle case, o non avrà potuto non sentire nelle strade qualcuno canticchiare un canzone italiana. Addirittura, nelle città, avrà visto i club di tifosi della Juventus o del Genoa. Nel campionati di calcio dilettatistico argentini sono frequentissime le squadre con nomi di paesi italiani. Come si poteva non sentirsi vicini ai nostri connazionali di un ’altra Italia? La Regione Veneto ha già disposto sportelli informativi con l’America del Sud e specie dall’Argentina arrivano migliaia di contatti di emigrati italiani che vogliono rimpatriare. In Campania, al momento, non siamo in grado di garantire, dopo un eventuale rimpatrio, una possibilità di occupazione. Così, d’intesa con dei movimenti d’opinione italiani e contando sull’aiuto del Ministero degli Italiani nel Mondo è nata la voglia di lanciare una gara di generosità. Aiuteremo un associazione no-profit di Buenos Aires nella realizzazione di un asilo. Sperando che nelle nuove generazioni cresca un po’ più di fiducia e di speranza. Ci sarà, se ci riusciremo, un altro tricolore in terra d’Argentina, un altro tricolore di generosità e di fratellanza. E speriamo che questo tricolore potrà sempre sventolare fra le melodie di un tango di Astor Piazzola e di uno stridente "’O Sole Mio", anziché fra la sofferenza che oggi affligge quel popolo.

"SOLIDARIETA’ SENZA FRONTIERE"
conto corrente num. 202442
c/o Banca Popolare dell’Irpinia
Centro Direzionale - Collina Liguorini Avellino
Causale: Fondi per gli Italiani in Argentina

Ettore de Conciliis

INTERVISTA A BUCCIARELLI

Fabrizio Bucciarelli non solo è un nostro collaboratore, praticamente dalla nascita del periodico, ma ha tutte le caratteristiche per essere considerato un "personaggio". Le sue prese di posizione per quanto riguarda la politica della Destra italiana, sia quella istituzionale che quella espressa dai vari gruppi e movimenti, lo mettono spesso in condizioni di essere fortemente contestato. E chi visita la mailing list di Azione giovani lo sa fin troppo bene. A Bucciarelli il "Barbarossaonline" ha posto alcune domande.

Barbarossaonline: Chi è Fabrizio Bucciarelli? Di cosa ti occupi?
- Sono un giornalista e mi occupo di tematiche giovanili e di questioni militari e geopolitiche per quotidiani, settimanali e mensili.

Ritieni sia giusto collocare il tuo pensiero in un’ottica di Destra?
- Se per Destra si intende la valorizzazione del proprio popolo e della sua cultura, del concetto di "Patria" quale "Terra dei Padri" e di un suo fondamentale ruolo europeo e mondiale; se si crede che tale ruolo implichi l’accettazione di una civiltà e di percorsi straordinari; se si intende per Destra l’antitesi dell’anacronismo della Sinistra e delle sue forme più estreme...allora sì, credo proprio di identificarmi in una Destra democratica come quella di Alleanza Nazionale.

Una Destra che però non è composta solo da AN ma anche da numerose aree più o meno vicine ad essa.
- Certo ma con le dovute differenze: non si può paragonare la Destra moderna e democratica di AN con gruppuscoli e movimenti anacronistici e legati in termini eccessivamente nostalgici ad un passato che va affrontato con maturità ma che non va innalzato a qualcosa di assolutamente positivo.

Ti riferisci al Ventennio?
- Anche , ma soprattutto alla R.S.I. . Il Fascismo è stato un fenomeno certo interessante ma con aspetti negativi e contraddittori che dovrebbero anche inquietare chi li affronta in chiavi irreali o dogmatiche. Per fare un esempio, se si può ammirare il Mussolini degli anni ’20 e ’30 non credo sia possibile farlo a partire dalle leggi razziali e l’alleanza con Hitler.

Ma la Destra basa molto sul proprio passato...
- Certo, ma una Destra costruttiva dovrebbe farlo solo nei termini di critica costruttiva, senza divinizzare chicchessia e soprattutto senza cadere nei tranelli che l’hanno costretta ai ghetti della politica per quasi mezzo secolo.

Eppure esistono numerosi aspetti che la, o "le", Destra potrebbero intendere come "comuni"...
- Giustissimo! Le guerre intestine non giovano che agli avversari e contribuiscono a creare climi nefasti di carattere interno e sconcerto nella gente che a un certo punto non si raccapezza più sul "Chi è chi? ".

Prendiamo ad esempio i rapporti tra questa tua concezione e quelle di Forza Nuova o Fiamma Tricolore o altre similari...
- Esistono alcuni punti che mi interessano particolarmente e che in certa misura condivido, quali l’attenzione alla questione extracomunitaria soprattutto di matrice islamica; l’interesse per un’ Europa forte e autonoma militarmente; l’allargamento della NATO alla Russia; la valorizzazione del ruolo familiare; la lotta senza quartiere alla malavita organizzata e alla corruzione. Altre questioni mi trovano invece dissenziente quali i rapporti con le realtà del Vicino Oriente nel ruolo di Israele e un ’ eccessiva ostilità circa la questione dell’ aborto; l’eccessiva glorificazione del Fascismo e soprattutto certe vicinanze con movimenti o gruppuscoli neo-nazisti e loro derivazioni. Fenomeni come questi non devono essere tollerati nelle loro forme estreme.

A proposito di Vicino Oriente e di Israele qual è il tuo parere?
- Ha torto chi mi definisce un accanito difensore di Israele e un odioso nemico dei Palestinesi perché semplicemente non dice la verità: ritengo che questa complessa situazione sia solo la punta di un iceberg che dovrebbe far maggiormente riflettere l’Europa e in questo caso l’Italia.

Pro o contro Israele? Pro o contro i Palestinesi?
- Israele è una realtà, uno Stato sovrano con tutti i diritti e i limiti del caso: è formato dalle miriadi di esperienze che dalla Diaspora mondiale hanno contribuito a creare uno Stato forte e temprato da anni di guerre e di tensione terroristica: a mio avviso, e se si eliminano i soliti pregiudizi razziali e di religione, lo ritengo una diretta emanazione della nostra cultura e quindi dell’Europa. Ritengo sia un popolo che desideri la Pace come pochi altri ma dopo le vicende storiche e note a tutti è certo di essere in realtà solo, con alleati che lo ritengono comunque possibilmente sacrificabile ai propri interessi, con l’odio dell’Islam e l’insofferenza di molti. Ma è facile fare cattedra in un’Italia dove i giovani tentano il suicidio o l’ipocrisia dell’obiezione di coscienza per non affrontare il "trauma" del servizio militare e dove la stragrande maggioranza vive con drammatico impegno il dubbio su quale discoteca andare a tirare tardi al venerdì sera tra una droga e un’ altra. La questione palestinese mi vede schierato principalmente con le loro giuste richieste e con la consapevolezza di vederli essi stessi nazione, ma sono loro ostile in quanto emanazione diretta di quell’aggressione islamica che io ritengo realtà occulta, a cui occorre accennare con la massima circospezione per la stupidità del politically correct. Hamas o Al Fatah, Hetzbollah e i loro alleati siriani o iracheni non sono certo amici dell’Italia come di Israele. Insomma difendo chi credo subisca il torto del terrorismo indiscriminato e capisco le legittime aspirazioni di chi vuole conquistarsi la propria Patria e null’altro perché in eventi e contrapposizioni come queste non esistono mai né eroi né martiri ma solo la tragica realtà della morte e dell’inutilità.

Una visione quindi "razzista" dell’Islam? Non è certo questa una corretta interpretazione della legge italiana, della nostra cultura e di quella svolta di Fiuggi che vide nascere Alleanza Nazionale...
- Per me esistono due forme differenti di "razzismo": negativa e positiva. Quella positiva è quella cui facevo e faccio riferimento e che si basa sul rispetto delle diversità. Un cittadino italiano di religione islamica non mi spaventa né preoccupa in alcun modo fino a che questi si integra socialmente, accetta parte della nostra cultura e tutte le leggi pur mantenendo contatto e consapevolezza con le sue radici; se invece decide di inserirsi in un tessuto sociale eccessivamente libertario e ne sfrutta le possibilità e le tutele per fini illeciti o per espandersi, la cosa non mi garba affatto.

Un po’ come dice Forza Nuova?
- Sì, certo. Ma anche come dice il Cardinal Biffi e molti altri che vedono un Islam in preoccupante fase di espansione sia sociale che politica che religiosa. E con l’Islam non si scherza quando assume le sue forme più estreme...

Ti riferisci a Bin Laden?
- Mi riferisco a due parallelismi: uno ideologico e l’altro religioso. Il comunismo, che da sempre supporta il mondo arabo nelle guerre contro Israele, ha avuto la sua massima espressione non tanto in Russia o in Cina ma nella Cambogia di Pol Pot o nella Korea del Nord con l’incubo sterminatore del comunismo reale. Dall’altra parte c’è un Islam che non accetta la nostra cultura e che non si integra nella speranza di diventare una "società nella società" e che si inserisce poco a poco in tutto il tessuto della nazione per poi forse un giorno sovvertirlo. E con il supporto di quelle sinistre che lo coccolano, lo vezzeggiano senza farlo progredire o limitare e con la speranza di sfruttarne le rabbie e le frustrazioni per scopi elettorali..

In che senso?
- In senso tattico ma sbagliando strategia. Il conflitto tra le classi è alla base del comunismo, della lotta proletaria contro un ’ agiatezza che presumibilmente esclude i poveri dagli stessi diritti: il problema è che non ci sono più poveri "veri", che non esistono più le classi realmente disagiate e quindi nessun senso per le teorie marxiste- leniniste o maoiste! Per la sopravvivenza del comunismo devono essere quindi creati disagi tali da giustificarne gli atti: una nuova classe di poveri di origine extracomunitaria che porti al collasso e quindi alla tensione e al germogliare di nuove guerre sociali. Il problema che, purtroppo per loro, l’Islam li strumentalizzerà e poi li combatterà: comunismo e Islam non sono compatibili.

Fantapolitica?
- No: fantarealtà possibile, eccome! Limitarne assolutamente l’entrata in Italia se non per reali motivazioni e necessità credo sia una priorità di difesa e tutela nazionale: il rischio di un incubo possibile è troppo grande. Aiutiamo invece i Paesi in difficoltà sul loro territorio e, tanto per parafrasare una citazione di Mao " Non dare un pesce a un uomo ma insegnagli a pescare"; facciamolo nel loro laghetto e non nel nostro.

Allora chi dice che la Spada dell’Islam e le SS islamiche di Hitler fossero segnali di vicinanza a certe concezioni di Destra?
- E’ un illuso e un visionario ben fuori dalla realtà stessa: l’Islam è una teocrazia che rifiuta l’influenza ideologica umana e quindi politica. No, nessuna speranza che non sia quella della strumentalizzazione da parte loro delle nostre debolezze....civili!

Allora Fn e gli altri movimenti che cosa realmente valutano di questioni come queste?
- Il mondo del "Nazional-Popolare" è un grosso calderone dove vorticano numerose energie che spesso sono in contraddizione tra loro. Faccio un esempio sintetico ma reale: i Palestinesi sono supportati da chi odia Israele nella vecchia logica che chi è a Destra o è anti-semita o è ostile a Gerusalemme, ma questa è la stessa cosa che dicono i comunisti di ieri, di oggi e di domani nonché quelli dei Centri Sociali che però si gloriano della loro liberazione da parte dei loro kompagni dell’ Armata Rossa contro i tedeschi mentre dichiarano entusiasti di essere ora e sempre resistenti antifascisti. Un bel caos, non è vero? Purtroppo il mio confronto con queste realtà minori e di carattere giovanile si sono sempre ridotte a uno sterile scambio di opinioni basate sulla solita retorica, da parte loro, della solitissima teoria della congiura delle pluto-giudaiche- democrazie a carattere massonico. E allora ho tagliato corto...

Chissà quando avrai affrontato temi revisionisti...
- E’ capitato, certo, ma la questione era più semplice: ho vari parenti ancora in vita che hanno visto due o tre cosette che forse i padri del revisionismo non hanno avuto occasione di vivere in prima persona. E i miei parenti non erano esattamente di sinistra...

Un messaggio per questi Movimenti?
- Tanti e uno solo, anche se non mi interessano i gruppi di per sé ma i loro singoli componenti e militanti: non richiudetevi nei dogmi di cattivi insegnanti in balìa dei propri demoni e odii interiori; cercate di pensare con la vostra testa e di vagliare il tutto attraverso la ragione anche se vi accuseranno di progressismo giacobino. Una Destra intelligente si costruisce anche ribellandosi ai propri dei.

Chi è Barbarossa?

L'ombra di Federico I di Hohenstaufen, il Barbarossa, appunto, si aggira tra le nostre contrade , da quando a Legnano venne sconfitto dalle truppe dei Comuni alleatisi nella Lega lombarda. L'imperatore aveva cercato di difendere le sue terre da quei Comuni che volevano la libertà, aveva cercato di tenere saldo l'Impero, ma non poteva andare contro la storia. Aveva accarezzato il lungo sogno di restaurare il... Continua >>

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