GUERRA DEL PESCE IN ADRIATICO: LATRATI ALLA LUNA - Numero 44

 

Il primo gennaio 2008, con un provvedimento unilaterale di rinnovata prepotenza e presunzione, la Croazia ha istituito una "zona ecologica e di pesca protetta" nelle acque dell’Adriatico. Nella sostanza delle cose, l’atto, al di là della formulazione vagamente ambientalista, equivale ad un ampliamento immotivato e certamente illegittimo della sovranità di Zagabria, che si traduce nel divieto d’accesso ai pescherecci con bandiera diversa da quella croata, in una fascia di acque territoriali ben più ampia di quella consentita dalla normativa internazionale. L’Italia, ancora una volta, è stata a guardare, confidando nell’intervento europeo come era già accaduto nel 2003 in occasione di analogo "pronunciamento", poi sospeso a seguito di accordi con l’Unione che ora sono diventati carta straccia. Evidentemente, la trattativa avviata per l’ingresso in Europa ha importanza secondaria, per il Governo nazionalista di Ivo Sanader, rispetto alle questioni di politica interna. I danni per l’economia italiana sono gravi perché il valore della pesca in Adriatico effettuata dalle flottiglie venete, marchigiane, abruzzesi e pugliesi è di oltre 630 milioni annui, destinati a ridursi drasticamente a vantaggio della Croazia grazie al suo "ukase", messo subito in pratica, visto che appena tre giorni dopo, le sue solerti motovedette hanno provveduto a sequestrare un peschereccio di Manfredonia ed a processare per direttissima il malcapitato equipaggio, condannandolo al pagamento di una forte multa ed al sequestro del pescato. Può darsi che il "proclama" di Zagabria sia destinato a rientrare perché in sede europea è stato già detto che bisogna "trovare una soluzione a tutti i costi", ma intanto i limiti delle acque territoriali croate sono stati estesi in deroga all’ordinamento giuridico internazionale, e la Marina italiana, come ha scritto la stessa stampa di sinistra, "non ha avuto ordini particolari circa la protezione delle nostre imbarcazioni". Si deve aggiungere che la questione riguarda anche i rapporti fra Croazia e Slovenia, in misura ovviamente ridotta; e che Lubiana sembra attendere le mosse dell’Italia e dell’Europa, pur avendo manifestato ben altra insofferenza, a fronte dell’atteggiamento governativo croato. A parte la "guerra del pesce" che dura da decenni e che ha avuto le sue incolpevoli vittime, come quel Bruno Zerbin che negli anni Ottanta venne ucciso nel Golfo di Trieste dai "graniciari" di turno, ciò che preme sottolineare è che ancora una volta il lupo ha perso il pelo ma non il vizio. Nello stesso tempo, l’agnello italico è diventato paradossalmente ancora più sacrificale limitandosi a cedere alla violenza ed a confidare in aiuti esterni sollecitati da compassionevoli belati di circostanza. Attendersi da questa Croazia e soprattutto da questa Italia soluzioni organiche e ragionevoli dei problemi in essere, non esclusi quelli dei beni sottratti agli esuli istriani e dalmati, e della doverosa tutela delle tombe avite, sembra piuttosto velleitario. Se non si cambia registro, cosa improbabile ma pur sempre fattibile, le possibilità di successo sono pari a quelle del cane che latra all’indirizzo della luna.

Carlo Montani