DAL LONTANO PARAGUAY - Numero 50

 

DAL LONTANO PARAGUAY

Da Fiume a Rijeka: la storia di un tragico Ribaltone

Dalla lontana Asuncion, Paraguay, ho ricevuto un disco CD, inviatomi dall’autore, Luciano Benzan, con "la storia inedita del ribaltone del settembre 1943 a Fiume e zone adiacenti, in cui più di 400.000 militari italiani furono coinvolti in una grande tragedia umana"; o ancora più sinteticamente: "Una cronaca inedita dell’armistizio dell’8 settembre 1943 a Fiume e zone adiacenti". Gli avvenimenti trattati comprendono, ci spiega Benzan,"pure la storia inedita di 500.000 civili italiani della Venezia Giulia abbandonati dallo Stato italiano a se stessi e sottoposti nel settembre del 1943 alle rapine, alle spoliazioni dei propri beni ed alla morte per foiba per parte dei titini." Questa sofferta opera di ricostruzione storica è di un grande interesse per la ricchezza della trattazione e delle analisi, rivelanti spesso una conoscenza diretta di fatti, di luoghi, di personaggi. La bibliografia che l’autore include nello scritto dimostra l’approfondimento delle fonti documentarie sui temi trattati. A questo proposito, essendo io di Pisino, ho constatato con soddisfazione la precisione dell’analisi e la pertinenza delle fonti su cui Benzan si è basato, tra cui lo scritto di Nerina Feresini "Quel terribile settembre". Le parti più valide sono quando l’autore, grazie alla conoscenza diretta dei fatti o attraverso la testimonianza fornitagli da amici e conoscenti, presenti in quel tempo sui luoghi, rende il lettore edotto di avvenimenti presentati forse per la prima volta. Ma l’autore non si limita ai fatti, poiché continuamente allude ad una regia prestabilita da cui essi discenderebbero. Il suo è un vero leitmotiv: "Niente fu casuale. Niente fu improvvisato. Tutto era stato organizzato... Qui è cieco solo chi non vuole vedere. I fatti sono sempre testardi. Dopo di noi nessuno, dopo di noi il nulla." Nello scritto di Luciano Benzan vi è una costante allusione a piani prestabiliti "a monte". Piani che restano elusivi e come fantomatici, e che mai divengono oggetto di un’indagine concreta perché l’autore, dato il loro numero e la loro concordanza, li ritiene una prova in sé circa la reale presenza di una regia occulta. Degna di grande encomio è quest’opera, almeno per il mio sentire, a motivo della straordinaria passione che la anima dall’inizio alla fine, e senza la quale le ricerche ch’essa presuppone non sarebbero state mai condotte a termine. Essa quindi merita una diffusione quanto più ampia possibile, in primo luogo tra i giuliano-dalmati. E fortunatamente l’autore ci annuncia che il contenuto del CD verrà edito, entro breve, in un libro: "Il testo è composto da 85 capitoli ed occupa circa 300 pagine-libro." Questa ricostruzione storica è basata sull’esperienza personale dell’autore, e su testimonianze fornitegli da chi visse quegli avvenimenti, e su ricerche e letture di libri, articoli, documenti. Ma cediamo la parola all’autore: "Questa storia del R43 [Ribaltone del 1943], in quell’area geografica, è praticamente e volutamente sconosciuta e questa mia cronaca è il frutto di una ricerca iniziata più di 40 anni fa. Moltissimi documenti, che avrebbero potuto aiutare in questo lavoro da certosino, sono stati distrutti già prima dell’8 Sett. del 1943, la sera dell’8 Sett. stesso e nei giorni immediatamente successivi. Naturalmente le tracce più o meno evidenti non poterono essere cancellate tutte, a parte il fatto che la preparazione del Ribaltone italiano del Sett.1943 ebbe inizio diversi anni prima e quindi le dette tracce, sia pure mimetizzate, sono moltissime. Il lavoro più arduo fu quello di trovare i fili conduttori e metterli insieme. Ho avuto però la fortuna di poter accedere a diversi diari personali di ufficiali italiani che avevano vissuto in carne propria il R43 [Ribaltone del 1943] fiumano o quello delle zone adiacenti, il che mi hanno permesso di riunire i diversi indizi e le stranissime coincidenze e giungere a conclusioni logiche." Fiume, città amatissima, occupa il centro di quest’opera. Anzi ne è il cuore. Un cuore sanguinante, se mi si permette quest’immagine che non è teorica e romantica, ma semplicemente veritiera per la tragica sorte toccata a Fiume, da città di D’Annunzio divenuta Rijeka paesone slavo. "La città adagiata sulla sponda settentrionale del Golfo del Quarnero è il porto naturale dell’Europa Centrale. Fiume situata in un punto di incontri e di scontri tra popoli e culture diverse era una città molto civile, dotata di grande spirito autonomistico, dove regnava la tolleranza e la comprensione." "Il suo carattere era veneto-latino e mitteleuropeo e così la sua cultura. Da sempre la lingua in uso era il latino (prima) e quindi l’italiano. Vi convivevano italiani, croati, tedeschi, ungheresi, sloveni, ceco-slovacchi, greci, cattolici, protestanti, ortodossi ed ebrei." E ancora: "Fiume, una piccola città... situata nel punto più a Nord del Mare Adriatico orientale, ha vissuto nei tempi un drammatico travaglio storico di opulenze e saccheggi, di servaggio e di ribellione, di passioni politiche e di gloria, di dolori e di sangue, di bombe, di distruzioni e di genocidio. La storia recente di Fiume in generale, e quella degli anni della II Guerra Mondiale è coperta oggi in Italia da poderosi coni d’ombra. I motivi di tanta oscurità sono innumeri. Uno di questi è dovuto al fatto che è stata vittima della pulizia etnica jugoslava, un altro al fatto che dopo la fine della II Guerra Mondiale il 90% dei fiumani scelsero la via dolorosa dell’esodo piuttosto che accettare l’oppressione titina. Con l’esodo i fiumani, gli istriani ed gli zaratini persero tutte le loro proprietà che vennero ‘nazionalizzate’ da Tito." L’8 settembre 1943: data fatidica dell’armistizio dell’Italia con le potenze fino allora sue nemiche, e del capovolgimento nei confronti anche dei tedeschi, fino allora nostri alleati e tramutatisi istantaneamente in nemici. È il "Ribaltone" come l’hanno sempre chiamato i miei genitori, profughi istriani, e come lo chiama anche Luciano Benzan. L’8 settembre 1943 e le altre date ben note dell’"Italia nata dalla Resistenza" indicano giorni che non significano assolutamente la stessa cosa per il presidente degli italiani Giorgio Napolitano, installato tra i velluti del Quirinale a Roma, e per l’esule Luciano Benzan, che vive ad Assuncion nella lontana Paraguay. Benzan, 81 anni, è un "italiano all’estero" per usare la terminologia consacrata. In realtà - se mi permettete - Benzan è qualcosa di più: è un esule fiumano. È un figlio di quella città, Fiume, la cui identità storica italiana di cultura, di passione, di destino è stata spazzata via per sempre - come per le altre terre cedute alla Jugoslavia - a causa delle tremende vicende della seconda guerra mondiale di cui l’8 settembre appare l’epitome cupa e dolorosa. Data quest’ultima quindi non degna certo di proclamazioni trionfalistiche e di celebrazioni, perché bandiera listata a lutto di una guerra civile e di una sconfitta militare che si tradussero nella perdita del bene più prezioso che possa esistere per i Benzan e per gli altri italianissimi abitanti di quelle terre, privati per sempre della loro piccola patria e andati esuli per il mondo. Piccola sì, geograficamente, la nostra terra natale, ma grande, immensamente grande, perché essa ci ha fatti quali noi siamo... Giorgio Napolitano, dopo gli abbagli causatigli dall’adesione ad un comunismo internazionalista e nei fatti filosovietico ed antitaliano, ha finalmente ritrovato il sentimento di una profonda italianità. Questo gentiluomo napoletano è certamente una persona degna. Inoltre, quale presidente della Repubblica egli rappresenta tutti gli italiani, esuli giuliano-dalmati inclusi. Ma comunque si interpretino i passati avvenimenti, ossia l’Armistizio e la Liberazione, le parole di Napolitano, celebranti ogni volta quelle date, risvegliano in molti di noi un senso di lutto e di perdita, poiché esaltano le tragica guerra civile da cui l’Italia intera uscì sconfitta, ed evocano la disfatta militare, subita con disonore, da cui uscì amputata delle terre del confine nord-orientale. Particolare, quest’ultimo, eternamente assente nei bollettini con cui l’Italia, sommersa dal marasma, dalla corruzione e dalla criminalità mafiosa, celebra ogni anno, con esultanza, quei tragici giorni. Immaginate ora l’eco funesto che tali celebrazioni possono suscitare in un uomo come Benzan, rimasto, dopo tanti anni, vigile sull’ultima trincea dell’amor patrio, col cuore, con la memoria, con lo spasmodico desiderio che tutti sappiano dell’iniquo tradimento, del "Ribaltone", che apportò a noi esuli di quelle terre tanti lutti. L’editorialista-scrittore-politologo Ernesto Galli della Loggia, reagendo alla vulgata resistenziale trionfante in Italia che periodicamente esalta il ricordo della guerra civile ed inneggia alla sconfitta militare con la conseguente perdita di una parte del territorio nazionale, si è sentito in dovere di scrivere un saggio profondo e doloroso dal titolo quanto mai eloquente: "La morte della Patria". Noi esuli non gli saremo mai abbastanza grati per la sua interpretazione storica che mostra la normalità del nostro senso di lutto per quei tragici avvenimenti, oggetto invece di celebrazioni da parte dell’Italia ufficiale, Napolitano in testa. Sarà più facile per certuni capire adesso la passione con cui Luciano Benzan ha trattato gli avvenimenti che si svolsero a Fiume, e nelle terre della Venezia Giulia e Dalmazia, a ridosso dell’8 settembre, questa data fatidica per lui e per tanti altri poiché spesso segnò la morte dei loro cari, la fuga l’esilio e l’inizio di un eterno rimpianto. Sarà allora anche più facile capire una certa ossessione di Benzan per la ricerca delle cause "a monte"; come se tutto fosse stato preparato a tavolino - non giorni ma mesi e addirittura anni prima - da eminenze occulte, e quindi attuato nei minimi particolari, giunto il momento, da stuoli di fedeli esecutori. Se a questo aspetto, diciamo così, di cospirazione è più difficile talvolta aderire, è altrettanto difficile escludere a priori la validità di certe nuove piste da lui tracciate. In quest’opera, Luciano Benzan all’inizio non è stato solo. Ma adesso lo è, poiché gli altri che lo avevano accompagnato nell’arduo lavoro sono tutti morti. Lo scritto contenuto nel CD, come egli ci spiega "è il frutto di una ricerca effettuata da 8 esuli nel giro di 60 anni. Degli 8 co-autori è ancora in vita solo uno, che ha 81 anni." L’ottantunenne beninteso è lui, Luciano Benzan. Solo dopo queste ripetute spiegazioni anche i profani potranno capire - almeno spero - l’impeto ansioso di Benzan di testimoniare affinché si sappia la verità. E in questa sua ansia di verità Benzan rifiuta le spiegazioni semplici che lui giudica pure apparenze, attratto sempre dalle cause nascoste, dai retroscena, dai piani prestabiliti, dal disegno globale. "Niente fu casuale. Niente fu improvvisato. Tutto era stato organizzato con molti mesi di anticipo. Tutti hanno cercato di nascondere la verità del ribaltone del 1943 a Fiume, ma le tracce non sono sparite." Questo concetto ricorre continuo nella sua opera. Esso esprime l’ossessione di chi sa che le versioni ufficiali degli avvenimenti di quel tempo abbandonano - relegandoli nel buio della pieghe di una storia parziale e partigiana - fatti, personaggi, luoghi che invece continuano a vibrare nei petti ormai vecchi dei testimoni diretti, sempre più radi, di quei tremendi giorni.

Claudio Antonelli (Canada)