Cooperazione e volontariato - Numero 47

La tragedia dell’ Abruzzo ha portato alla ribalta un patrimonio in cui l’Italia conserva un primato che è motivo di conforto e di onore: quello dei Volontari. Secondo fonti attendibili, il numero dei cittadini che dedicano una parte più o meno significativa del proprio tempo a questa nobile attività si aggira sui sette milioni, pari a quasi un terzo della popolazione attiva, ed ha raggiunto livelli assoluti e percentuali senza pari nel mondo. Il volontariato esiste in funzione cooperativa: negli ospedali, nelle case di riposo, ed in qualsiasi luogo di sofferenza, a cominciare da quelli provocati da disastri naturali come i terremoti o le alluvioni, che anche in Italia colpiscono con forza immutata tanto più che le costruzioni antisismiche sono un’esigua minoranza, e che le politiche di difesa del territorio sono tuttora carenti. Accanto al ruolo cooperativo, esiste una dimensione profondamente umana e di grande valenza psicologica, perché il Volontario non nega mai un sorriso, una parola di conforto, un incoraggiamento. La cooperazione obbedisce a prescrizioni istituzionali ed alle normali intese di buon vicinato, o comunque di solidarietà civile fra Stati sovrani, Regioni, Comuni; ma non potrebbe fare a meno dei Volontari. Lo si è visto in Abruzzo, come già in Friuli, in Molise, in Sicilia, in Umbria, e via dicendo: non solo per la grande disponibilità di forza-lavoro, ma prima ancora per il suo costo minimo, che si riduce alla copertura delle spese vive. Del resto, il volontariato non prescinde dall’organizzazione, almeno nelle espressioni più consistenti, come quelle di origine militare o religiosa (basti pensare alle iniziative dell’Associazione Nazionale Alpini o della Caritas). L’assunto assume maggiore evidenza e consistenza a livello internazionale, sia negli interventi a seguito di fenomeni naturali, tra cui si ricordano quelli in Albania, in Armenia e nei Paesi colpiti dallo "tsunami" asiatico; sia nelle missioni umanitarie collegate ad una presenza in armi a tutela dell’ordine, come in Afghanistan od in Serbia, dove i soldati italiani si fanno carico sia del compito di pacificazione, sia di quello assistenziale. E’ logico che nel territorio statale l’apporto del volontariato sia quantitativamente maggiore, grazie all’accesso più facile ed all’assenza di vincoli politici o delle cosiddette regole d’ingaggio, fatta eccezione per quella di perseguimento del bene comune. All’estero, invece, esistono impegni formali che peraltro dovrebbero ottimizzare le strategie d’intervento; se non altro, quello sottoscritto nella Conferenza di Monterrey del 2002, dove i Paesi sviluppati decisero di destinare lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo agli interventi di cooperazione, salvo disattendere l’accordo, praticamente senza eccezioni (1). Ecco un tipico esempio di norma avente valore di mero riferimento, in quanto sfornita di sanzione: eppure, è ovvio interesse delle economie mature promuovere lo sviluppo del terzo mondo, ed in particolare dei Paesi a basso reddito (secondo la classificazione della World Bank si tratta di quelli con PIL pro-capite inferiore a 826 dollari annui); se non altro per circoscrivere sin dove possibile la crescita impetuosa delle immigrazioni. Federico Caffè, il noto economista di scuola keynesiana misteriosamente scomparso a Roma, aveva affermato che lo scopo principale dell’intervento consiste nel perseguire "la speranza che la povertà e l’ignoranza possano essere gradualmente eliminate" (2): insegnamento sempre valido, da un lato per avere disatteso in modo realistico ogni suggestione massimalista, e dall’altro perché codifica in tutta sintesi la filosofia della cooperazione internazionale e delle iniziative collaterali di volontariato. Possono sembrare valutazioni utopistiche, tanto più che la pressione demografica appare difficilmente governabile, ma giova tener presente che il ruolo della volontà, come Croce aveva più volte sostenuto, assume carattere determinante, in quanto capace di modificare la linea del possibile. E’ un’intuizione quasi tautologica ma pertinente, se non altro per avere conferito al volontariato una dignità di sistema, a corollario di quella etica che precede tutte le altre e che compete, in esclusiva assoluta, alla sua dimensione umana.


M.C.

Annotazioni

(1) - J. Stiglitz, La globalizzazione che funziona, Einaudi, Torino 2007, pagg. 62-111.
(2) - E. Rea, L’ultima lezione, Einaudi, Torino 2008, pag. 29.