Conservatorismo e scetticismo: Europa al bivio - Numero 48

 

La consultazione europea del 2009 si è chiusa col trionfo delle astensioni, che hanno raggiunto il 57 per cento degli aventi diritto: non era mai accaduto che il non-voto raggiungesse tale incidenza, quasi a sottolineare il disinteresse della maggioranza per istituzioni ritenute evidentemente lontane dai problemi reali dei cittadini, che non sono quelli della lunghezza dei cetrioli o della composizione merceologica del cioccolato. Va aggiunto che il passo dal disinteresse alla sfiducia, in questo caso nell’Europa e nei suoi valori democratici o presunti tali, è piuttosto breve, con tutto ciò che ne consegue. In Italia, la percentuale dei votanti è stata superiore alla media, essendo pervenuta ad un 67 per cento che resta inferiore di oltre sei punti alla quota della precedente consultazione, ma sarebbe stata certamente più bassa se circa 30 milioni di elettori non fossero stati chiamati al voto amministrativo, che non è immune da maggiori correlazioni clientelari e che nella fattispecie ha svolto un ruolo trainante. Lo scetticismo appare, in ogni caso, un comportamento in forte crescita, tanto più che è stato suffragato, in molti Paesi dell’Unione, dal successo di formazioni che non hanno fatto mistero delle loro pregiudiziali anti-comunitarie, ed in alcuni casi, della loro xenofobia. Può darsi che il fenomeno, non certo utile ad un beninteso spirito di cooperazione, sia stato indotto da una pur motivata protesta, e che alla fine risulti possibile esorcizzarlo, ma perché ciò accada, è indubitabile che a Bruxelles ed a Strasburgo si debba cambiare registro ed ascoltare in modo meno effimero le istanze di base, tanto più importanti nell’attuale, difficile momento economico. Detto questo, è altrettanto incontestabile che le forze conservatrici abbiano acquisito un’accentuata preminenza, diventando maggioritarie in molti Paesi chiave, talvolta con ribaltamenti quasi clamorosi degli equilibri pregressi, come è accaduto in Spagna. La sorpresa per un risultato che molti non avevano previsto, nella presunzione che la crisi avrebbe dovuto giovare alle forze di sinistra, non può essere comunque condivisa, perché tali forze non hanno saputo interpretare bisogni ed esigenze di un popolo che si è rifugiato nell’astensione o nel voto di protesta, quando non abbia compreso che un conservatorismo improntato a crescenti condivisioni dei valori sociali può essere una soluzione graduale sperimentabile. L’Europa, in buona sostanza, ha dato indicazioni che sarebbe impolitico sottovalutare e che dovrebbero proporre, se non altro, una riconsiderazione critica del suo ruolo, certamente importante sul piano economico, ma obiettivamente decisivo su quello politico, o per meglio dire, etico. L’appartenenza alla Casa comune non può ridursi ad una frase fatta, ma deve tradursi in una maturazione consapevole e convinta della sua necessità strategica, tanto più evidente nel mondo globale; senza per questo rinunciare ai valori nazionali espressi dalle rispettive bandiere, ma curandone la fusione in un contesto unitario dove la percezione di interessi comuni sia necessariamente preceduta da quella di principi morali che appartengono a tutti, ed a più forte ragione, ai cittadini europei. Dovrebbe essere un buon motivo in più per prevenire il rischio di ulteriori involuzioni, come quella verso il relativismo ed il progressivo allontanamento dalla matrice cristiana: motivo probabilmente non ultimo della risposta scettica che ha contraddistinto la consultazione di giugno. Come diceva l’antico saggio, sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico: saranno in grado, i nuovi eurocrati, di comprenderlo bene, e soprattutto, di trarne le dovute conseguenze?

Carlo Montani