LO SBADIGLIO DELL’OCCIDENTE - Numero 27

 

Marcello Pera, professore universitario di filosofia della scienza e di filosofia teoretica, Presidente del Senato della Repubblica e Joseph Ratzinger, nominato da papa Giovanni Paolo II nel 1981 Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, presidente della Pontificia commissione biblica e della Pontificia commissione teologica internazionale. Cosa hanno in comune? E’ da poco uscito un loro libro, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Mondadori, frutto di due conferenze e di due lettere reciproche di chiarimenti.
Il titolo non lascia dubbi. Pera sottolinea con veemenza i guasti del " linguaggio politicamente corretto". Con questa "neolingua" che permette all’Occidente di ammiccare, alludere, insinuare - dice Pera - ma non di dire, affermare, sostenere non è più consentito fare una scala di valori, non è più consentito dire che la nostra cultura è migliore di altre, ma solo che ormai ci troviamo di fronte a culture diverse. Di fronte alla paralisi dell’Occidente che non sa affermare la sua identità e teme lo scontro con l’islam, Pera ne esce con forza:
"Nego che da questo confronto non si possa concludere che le istituzioni occidentali siano migliori delle loro corrispondenze islamiche. E nego che da un confronto nasca necessariamente uno scontro. Non nego però che, se a una profferta di confronto si risponde con uno scontro, lo scontro non dovrebbe essere accettato. Affermo piuttosto il contrario. Affermo i principi della tolleranza, della convivenza, del rispetto, oggi tipici dell’Occidente, ma sostengo che, se qualcuno rifiuta la reciprocità di questi principi e ci dichiara un’ostilità o la jihad, allora si deve prendere atto che è un nostro avversario. In sostanza, rifiuto l’autocensura dell’Occidente".
Parole che hanno tutto il loro peso, non solo per la forza dei contenuti, ma anche per la personalità istituzionale che le pronuncia. Pera poi prosegue con un’analisi approfondita quanto chiara dei guasti causati dal relativismo, vero colpevole di questa cultura della resa occidentale. Ma il relativismo si è impossessato anche della teologia cristiana. E qui Pera prende a prestito le parole proprio di Ratzinger che evidenzia i motivi per cui un credente dovrebbe convertirsi al relativismo anche nell’ambito della fede: "ritenere che vi sia realmente una verità, una verità vincolante e valida nella storia stessa, nella figura di Gesù Cristo e della fede della Chiesa, viene qualificato come fondamentalismo". Il fondamentalismo: nuova bestia della cultura contemporanea. Quindi meglio scegliere il relativismo, scegliere di non scegliere.
Il passaggio, da queste premesse, alla mancanza di radici nell’Europa, è breve: "il relativismo che predica l’equipollenza dei valori o l’equivalenza delle culture orienta non tanto alla tolleranza quanto all’arrendevolezza e più alla resa che alla consapevolezza, più al declino che alla forza di convinzione,penetrazione,missione (la quale, un tempo, fu tipica del cristianesimo, dell’Europa, dell’Occidente)".
Tremende le parole delle ultime pagine: "Soffia sull’Europa un brutto vento. Si tratta dell’idea che basta aspettare e i guai spariranno da soli, o che si può essere accondiscendenti anche con chi ci minaccia e potremo cavarcela. E’ lo stesso soffio del vento di Monaco del 1938".
Ratzinger non può che essere d’accordo con l’analisi condotta dal Presidente del Senato. Il cardinale vede questa debolezza dell’Occidente, anzi una "sincronia paradossale : con la vittoria del mondo tecnico-secolare posteuropeo, con l’universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si diffonde, specialmente nei paesi strettamente non europei dell’Asia e dell’Africa, l’impressione che il sistema di valori dell’Europa, la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia anzi già uscito di scena; che sia giunta l’ora dei sistemi di valori di altri mondi, dell’America precolombiana, dell’islam, della mistica asiatica". Questo declino dell’Europa è anche un declino etnico, demografico; è quella che l’alto prelato chiama "mancanza di voglia di futuro" : i figli come un pericolo per il presente, una minaccia per il raggiunto o raggiungibile benessere. La risposta a questo scenario desolante Ratzinger la trova nella forza di "minoranze creative". Cosa sono? "Simili minoranze creative non hanno nulla di settario ma, attraverso la loro capacità di convincere e la loro gioia, offrono anche ad altri un diverso modo di vedere le cose e raggiungono tutti". Queste del cardinale sono parole che possono far sorridere per la loro semplicità, quasi ingenuità. Eppure è la forza delle parole semplici. E’ la forza della testimonianza di chi crede veramente in quei valori dell’Occidente - perché non si parla solo di fede, ma anche di società civile - che intende non dimenticare, ma sorreggere e far conoscere. E non sfugga che Ratzinger parli di "gioia", quella gioia che l’Occidente ha perso.
Non si tratta, allora, di chiudersi al dialogo, anzi; non si tratta di chiudersi alla tolleranza, anzi.
Si tratta di avere la consapevolezza che il dialogo non serve a nulla se uno dei dialoganti, piegandosi al nuovo mito del relativismo, dichiari che una posizione vale l’altra. Il dialogo è, invece, utile per sottoporsi a critiche reciproche, per rintracciare se non la verità, la posizione migliore. Ed è migliore perché resiste alle critiche.
L’analisi condotta da Pera e da Ratzinger non è nuova, ma assume un valore particolare in un momento in cui - fra l’altro - ci si è rifiutati di riconoscere le radici cristiane della Costituzione europea; in un momento in cui Buttiglione è stato rifiutato quale commissario europeo perché ha fatto testimonianza di credente.
Dietro la pretesa di rispettare tutte le posizioni si nasconde il pericolo già denunciato da Hegel di trovarsi nella "notte in cui tutte le vacche sono nere".

Barbarossa