LA "CRISI DEL SETTIMO ANNO" - Numero 11

Riportiamo in questo numero una riflessione sulle elezioni del maggio scorso di Guido Giraudo. Per gentile concessione dell’Autore il brano viene estrapolato dalla testata che ora Giraudo dirige e che, per chi non è alieno dalla politica, richiama tempi passati, ma sempre attuali, senza temere di cadere nella retorica. Si tratta della mitica testata dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini che ora rivive come mensile online www.uomoqualunque.it e che segnaliamo a tutti i lettori. Questo articolo è in effetti solo l’inizio di una collaborazione. che speriamo lunga, con Giraudo. Per chi conosce il mondo della Destra il nome di Giraudo è noto, non solo come uomo di cultura nel senso più stretto del termine, ma anche come curatore di musica alternativa, quella musica che è presente nel sito www.lorien,it e che costituisce senza dubbio una pietra miliare per la cultura di Destra.


LA "CRISI DEL SETTIMO ANNO"
L’Ulivo riprende forza?

A giudicare dai risultati dei ballottaggi delle elezioni amministrative sembrerebbe di sì. Almeno al Nord dove una serie di comuni, anche importanti come Verona, Gorizia, Monza, Asti, Alessandria, precedentemente amministrati dal centrodestra, saranno guidati da sindaci di centrosinistra. Tuttavia è vero anche che il conto complessivo dei risultati non è così grave come apparirebbe dall’esito dei ballottaggi, perché la Casa delle Libertà chiude la tornata elettorale con una provincia in più (Reggio Calabria) e con un bilancio di sconfitte al Nord bilanciato da vittorie al Sud per ciò che riguarda i comuni. Ma il campanello d’allarme - per chi lo vuol ascoltare - è suonato. E come!
Vediamo allora di analizzare il significato del voto dei ballottaggi partendo da alcuni presupposti.

  1. Fattore geografico. La CdL perde al Nord dove aveva iniziato la sua "lunga marcia" amministrativa già sette anni fa. Perde all’interno di quelle Regioni che per prime scelsero il centrodestra e, tra esse, maggiormente in Piemonte e in Veneto. Nelle regioni del Sud, invece, strappate solo successivamente e con maggiore fatica al sodalizio DC-PCI i successi si susseguono a valanga.
  2. Fattore elettorale. Il sistema del ballottaggio è sempre stato favorevole alla sinistra e questo per una serie di motivi: tra questi la maggiore facilità a coalizzarsi anche "turandosi il naso" da parte dei militanti di partiti storicamente dittatoriali; al contrario la tendenza dell’elettorato moderato a disinteressarsi velocemente, a preferire una gita all’impegno politico.
  3. Fattore amministrativo. Questo non era un voto politico, nelle città conta davvero il candidato, così come contano una serie di situazioni locali risolte o meno. I voti si spostano dunque con maggiore facilità soprattutto al seguito di piccole lobby: i commercianti, i comitati, le famiglie, le parrocchie. Conta dunque aver ben governato, ma soprattutto essere credibili e radicati.

Fatte queste premesse veniamo ad analisi più politiche. Sanno tutti che alla base della sconfitta a Verona c’è la faida interna a Forza Italia. Ricostruiamola brevemente. La sindaco uscente, Michela Sironi è da tempo in lite con il potente governatore del Veneto, Giancarlo Galan. IL candidato ideale per Verona, però, doveva essere il senatore di Alleanza Nazione, Paolo Danieli, stimato e apprezzato anche dall’opposizione. Galan però punta i piedi "non esiste che lasciamo una città ad AN": è la strategia della terra bruciata , della cancellazione dell’alleato, che deve appiattarsi sulle posizioni del più forte. AN manda giù, ma a questo punto rispunta la Sironi che candida il senatore Aventino Frau, ex-democristiano appoggiato dalla curia. E ancora una volta Galan dice no. Il candidato lo vuole scegliere lui e indica di autorità Pierluigi Bolla, presidente della Fiera. La Sironi esce da Forza Italia e fonda una sua lista civica. Al voto Bolla distacca Zanotto - indipendente e figlio di un ex-sindaco democristiano - di quasi dieci punti cosa che, apparentemente, dovrebbe bastargli per vincere anche considerando il 6 per cento che la Sironi porta in dote al centrosinista "tradendo" i suoi elettori. Ma la "dote" che porta la Sironi è ben altra: è una sorta di credibilità, di contrappeso a destra dell’appoggio dato da Rifondazione comunista. Non solo ma Frau garantisce l’aiuto della Curia e una sorta di etichetta "localista" che ha molto peso in un’elezione amministrativa. Tutta la campagna è basata, infatti, contro l’arroganza di Forza Italia e di Galan e questo sposta una fetta consistente di elettori - soprattutto leghisti - verso Zanotto. Il risultato è noto… ben 10.000 voti di scarto ai danni della Casa delle Libertà.
Vediamo un altro esempio simile: Monza. Qui la frattura è causata da un ex-assessore di Alleanza Nazionale, Giampiero Mosca, uscito dalla giunta accusandola di perseguire l’interesse di una lobby favorevole alla costruzione di un grande Centro commerciale. Mosca forma la sua lista civica con l’appoggio dei commercianti. Il candidato della Casa della Libertà - l’ex ministro Radice - sfiora l’elezione al primo turno, il centro-sinistra è lontanissimo, Mosca raccoglie un buon 8 per cento e - inopinatamente - anche lui, si apparenta con l’Ulivo. Stesso risultato finale favorito anche da un astensionismo senza precedenti che consente al candidato sindaco del centrosinistra di essere eletto con meno voti di quelli che Radice aveva ottenuto al primo turno.
In entrambi i casi, andando a scavare nei risultati elettorali si scopre che, oltre alla "fuga al mare" dell’elettorato moderato, la colpa della sconfitta ha un nome solo: Lega Nord. Le faide sono state lanciate da Forza Italia o, nel caso di Monza, da AN ma i voti in fuga sono quelli leghisti e, infatti, sia a Verona che a Monza le liste della Lega hanno avuto un crollo di quasi 10 punti.
L’elettorato leghista ha, infatti, una sua connotazione ben precisa. E’ il meno fidelizzato della coalizione anche perché, nelle sue varie fasi, la Lega è stata con tutti e con nessuno, questo significa che i suoi elettori sono abituati a guardare esclusivamente al "proprio cortile", a valutare il loro personale e locale tornaconto e non l’interesse nazionale o generale della coalizione.
La controprova viene proprio dalle nette affermazione ottenute laddove il candidato era un leghista, sia che fosse appoggiato dal centrodestra, sia - anzi, persino di più - laddove correvano da soli contro entrambe le coalizioni, come nel caso della provincia di Treviso.
Naturalmente situazioni di profondo e forte radicamento leghista come Treviso sono molto particolari, tuttavia sono anche molto conosciute e non si capisce perché Forza Italia (Galan, ancora lui!!) abbia voluto a tutti i costi contrapporre un suo candidato. O, meglio, lo si capisce molto bene se si entra nel delirio di onnipotenza che sta contraddistinguendo alcuni dei vertici del partito di maggioranza relativa abituati ormai a fare i conti solo sui sondaggi o sulla sommatoria aritmetica di percentuali ottenute un anno fa.
Sono in molti, purtroppo, a non essersi accorti di quanti cambiamenti siano ormai intercorsi nella mentalità e nell’attenzione degli elettori. Finito il tempo dei grandi partiti ideologici, entrati nell’era della comunicazione globale attraverso un travaglio di continue destabilizzazioni dei punti di riferimento, si può dire che ormai non esiste più l’elettore "zoccolo duro" di un partito, mentre si è rafforzato l’egoismo, il personalismo, l’attenzione ai proprio interessi; così come si è rafforzata anche l’attenzione ai contenuti che - soprattutto in sede locale - non sono occultabili sotto nessun tipo di propaganda.
In un voto nazionale, fortemente radicalizzato come è stato quello del 13 maggio 2001 che ha portato Berlusconi al governo è stato ancora possibile che grandi strati di elettorato non abbiano minimamente guardato al nome del candidato che era segnato sulla scheda, ma abbiano votato solo "per Berlusconi" o "per Rutelli". Ma in sede locale e in una situazione politica di stanca, l’attenzione si sposta sui problemi e sui nomi… senza etichette, senza bandiere.
Il risultato di questa maggiore attenzione dei cittadini al privato è amplificato anche dalla crescente disaffezione al voto. Il numero dei votanti è in continuo calo ed è evidente che chi si reca a votare lo fa sempre di più per precisa scelta e non per abitudine o per obbligo civico. La "precisa scelta" a sua volta è spesso figlia di un preciso interesse dettato dall’appartenenza a una delle tante piccole, grandi lobby che cercano di influenzare le scelte politiche locali non solo votando per tizio o per caio, ma - sempre più sovente - votando "contro" tizio o contro caio.
C’è poi da tenere presente un altro dato significativo, questa volta tutto politico. La crepa nel muro di successi della Casa della Libertà si è aperta nel Nord e soprattutto nelle tre regioni che fecero da apripista al successo del centrodestra: Piemonte, Lombardia e Veneto. Anche qui un’analisi impietosa porta a dover parlare di una sorta di "crisi del settimo anno".
I nuovi governi delle tre regioni del Nord erano partiti indubbiamente con il piede giusto: buongoverno, grandi riforme, risposte giuste ai cittadini, stabilità… Poi, due anni fa, con l’elezione diretta dei presidenti e con i tre governatori del Nord portati sugli scudi da maggioranze inappellabili, anche qui deve essere scattato qualche meccanismo di esaltazione che ha portato a posizioni sempre più personalistiche, ad un neo-centralismo regionale spacciato per federalismo e ad una frattura tra il potere esecutivo -sempre più esercitato dal governatore - e il legislativo - in mano ai partiti. Ne è derivata una paralisi legislativa, un rallentamento della spinta riformista, un distacco tra gli eletti e gli apparati politici e, a scendere, tra i partiti e i cittadini.
Al Sud la situazione è opposta - simile a quella del Nord di quattro-cinque anni fa. Qui il Polo è arrivato al Governo da poco e sta mettendo mano a riforme e innovazioni che stanno scardinando la credibilità della vecchia sinistra così come fecero Ghigo, Formigoni e Galan negli anni passati. Attenzione però, perché a questo punto bisogna rapidamente fare un salto di qualità nelle regioni del Nord per tornare a livelli di efficienza e di qualità nei risultati politici e bisogna imparare la lezione per evitare che, tra qualche anno, i travolgenti risultati ottenuti in Sicilia, Sardegna e Calabria possano ritorcersi contro. Per concludere, l’unica nota veramente allarmante è il ritorno del "centrismo" inteso come forza eternamente in bilico tra i poli, eternamente pronta a qualsiasi compromesso pur di rimanere al potere, eternamente legate a quei "poteri forti" che rappresentano unicamente ai propri interessi. Il centro - questo nuovo "centro" buono per tutte le stagioni, pronto a darsi l’etichetta di "lista civica" per poter poi barattare i voti al miglior offerente - è in realtà il volto nefando di quei particolarismi, di quegli egoismi che sono antitetici con lo sviluppo civile, sociale ed economico di una collettività, sia essa una città o una nazione Come si vede sono molti gli spunti di riflessione emersi dalla recente consultazione elettorale a conferma di un momento di grande fermento e di profondo cambiamento delle abitudini politiche (quasi sempre negative) degli italiani.
Un piccolo contraccolpo dopo un anno di governo è accettabile. Fare finta di niente è invece pericoloso. Auspicare che siano Berlusconi e i suoi ministri più giovani e dinamici a dare una vera svolta al Paese è lecito; sperare che tale spinta sia sufficiente a risolvere tutti i mali e ad accreditare qualsiasi scelta locale è sbagliato; essere convinti che la sinistra sia arrivata ormai al capolinea della storia non autorizza a pensare che, automaticamente, d’ora in poi qualsiasi cosa faccia il centrodestra sarà premiata dall’elettorato.
Se questa lezione si capisce, sarà stata più che utile, addirittura salutare. Ci spiace solo per i veronesi, i monzesi e gli altri che avranno immolato cinque anni della loro pubblica amministrazione sull’altare di una ritrovata spinta al cambiamento.

Guido Giraudo