La guerra degli altri - Numero 34

SOMMARIO DELLA SEZIONE:

  • LA GUERRA DEGLI ALTRI
  • PORTIAMO LO STIVALE DALLO SCARPARO?
  • BANCA NAZIONALE DEL LAVORO



    LA GUERRA DEGLI ALTRI Le sinistre all’attacco dei soldati italiani in IRAQ In politica ogni doppiezza e meschinità, spesso malcelata dalla regola di un’ipocrita correttezza, è "brodo grasso" per chi è determinato a raggiungere i propri scopi e spesso a discapito della buona memoria, storica soprattutto. In queste ore i comunisti, e cioè quelli che all’estrema sinistra o anche nelle aree più moderate si definiscono tali, gongolano dinanzi alla ghiotta occasione fornita dal video dei combattimenti di Nassirya del 2004 durante i violentissimi attacchi dei miliziani sciiti nella "Battaglia dei Ponti": masturbazioni scandalistiche su BLOB, il cocktail o l’aperitivo in mano prima di cenare in un bel ristorante, i signori dell’opposizione e le loro frangie più radicali e nostalgiche si leccano i baffi per questa ghiotta occasione dei soldati italiani finalmente "cattivi" durante la "Battaglia dei Ponti" in IRAQ. La guerra appare con le ingenui e tecnicamente scadentissime riprese di un militare italiano ma in quelle immagini e soprattutto nei dialoghi concitati si percepisce tutta l’umana tragedia della guerra. I nostri tutt’altro che leali avversari politici, dopo la mancata proiezione del video durante "Le Jene" e la sua visione durante il telegiornale RAI 24, hanno immediatamente urlato allo scandalo: la nostra non è una missione di pace (Peace Keeping/Peace Enforcement) bensì la partecipazione come belligeranti in una guerra vera e propria. Le voci e le immagini a loro dire lo confermano: militari dei Carabinieri e dei Bersaglieri rispondono al fuoco con le armi in dotazione eliminando uno "Sniper" e cioè un cecchino e bersagliando altri che avevano fatto dei nostri ragazzi un facile bersaglio. Se i detrattori di cui sopra conoscessero le cosiddette "Regole di Ingaggio" oltre che quelle della logica e del buonsenso, forse potrebbero capire qualcosa ma sicuramente gli stessi non sono esattamente ferrati di argomentazioni militari o storiche dato che nella stragrande maggioranza dei casi i loro "Compagni" si sono gustati quell’opzione comoda e ruffiana dell’obiezione di coscienza pur di evitare il servizio dell’ormai defunta leva. Se quest’esperienza l’avessero vissuta avrebbero invece scoperto il senso del cameratismo, il legame con i tuoi compagni d’arme, gli inevitabili grandi e piccoli traumi fino all’esperienza in zona di guerra. Potrebbero forse capire cosa significhi essere in un paese straniero stravolto da una guerra singolare come quella irachena, anzi di numerose guerra una intersecata all’altra e di carattere politico, religioso, criminale, terroristico. Forse immaginerebbero le migliaia e migliaia di chilometri che ti separano da casa tua, dagli affetti, dalle comodità, da quell’universo che sembra un nebbioso ricordo di una realtà parallela e onirica che svanisce ogni volta che senti il rumore sordo dei mortai che ti vengono puntati contro, dei kamikaze che si fanno esplodere assieme alle proprie vittime, le teste mozzate dagli assassini di Al Zarkawi, il drammatico avvio verso una faticosissima normalità che sembra non arrivare mai. E persino i visi dei soldati caduti mentre riposavano nella palazzina destinata agli Italiani, il viso giovanissimo di Matteo Vanzan i cui occhi si sono chiusi per sempre tra le sabbie maledette insanguinate da esseri, mai uomini, che si nutrono dell’orrore per l’orrore. E dopo aver subito gli spari di un cecchino nascosto tra le case e senza una uniforme che lo identifichi come un vero soldato bensì in abiti civili, chissà, anche loro avrebbero gridato di gioia quando questi era stato colpito da un compagno di nome Luca, per poi renderlo definitivamente inoffensivo quando era a terra. E avrebbero sparato con tutto quello a disposizione per salvare la propria pelle e quella dei propri amici, stretti da quella fratellanza che dubito sia così forte per gli obiettori cui ultimamente la vocazione è parecchio venuta meno con la fine della leva obbligatoria. Hanno scoperto pure loro che la guerra non è cosa buona e giusta ma semplicemente inevitabile? Che la guerra è il tragico giuoco a rimpiattino che prevede che tu debba uccidere lo sconosciuto che ti punta il Kalashnikov prima che quello possa riuscire a fare altrettanto? Forse hanno scoperto che la guerra non viene eliminata dagli scioperi e dai cortei, né con la demagogia tipica dei loro leader, gli stessi che negli ultimi sessant’anni hanno sempre giustificato le guerre di aggressione generate o appoggiate da URSS, Cina e Cuba contro Israele, il Vietnam, la Korea, l’Afghanistan e molte altre per milioni e milioni di morti. E esaltavano quelle Armate Rosse dei vari satelliti di Mosca o Pechino che ammazzavano in nome della propria ideologia, esattamente come se non peggio che altri. O forse no, non gliene importa di capire perché sono i padri o i fratelli più grandi di quei disgraziati che hanno scritto sui muri di tante città "10-100-1000 Nassirya" all’indomani della strage di loro connazionali. Questa gente ha, infatti, gravi problemi di memoria e il bello è che hanno contagiato i loro giovani che, rincretiniti da industriali dosi di Cannabis, alle manifestazioni si vestono da kamikaze islamico e inneggiano alla guerra santa senza capire cosa stanno realmente facendo o recitando. A chi, come me, ha vissuto esperienze similari dico che io come molti soldati d’Italia ho in orrore la guerra ma che purtroppo essa esiste nel cuore di molti e che questi vanno combattuti così come essi ci combattono. E quei soldati hanno fatto esattamente questo, nulla di più nulla di meno: erano "nella" guerra, non "la" guerra e l’ hanno vissuta con i traumi e il dolore comuni a tutti ma in quel momento necessariamente narcotizzati e celati nel proprio intimo per non perdere quel sangue freddo che fa la differenza tra il vivere e il morire. Il Dalai Lama, forse una delle figure più luminose che mai mi sia capitato di incontrare, all’indomani dell’invasione cinese del suo meraviglioso Tibet disse : " La Pace si costruisce sempre e solo se si è in due a volerla: diventa resistenza quando questa condizione non c’è ". E in IRAQ oggi, forse qui domani, dovremmo tenercelo sempre a mente.

    Fabrizio Bucciarelli


    PORTIAMO LO STIVALE DALLO SCARPARO? Parigi, gennaio 06 Tanti emigrati italiani, in tutti i continenti. Molti hanno facilmente avuto successo in un altro Paese, sono apprezzati, ammirati. Fra di essi tanti, prima di emigrare, avevano fatto un buco nell’acqua in Italia. Ne cito solo uno, conosciuto da tutti: Gugliemo Marconi fu costretto a brevettare la sua invenzione (non creduta in Italia) nel Regno Unito. Chi volesse sapere perché la stessa cosa si ripete da tanto e per tanti individui, cerchi prima la risposta ad un’altra domanda: "quali le differenze fra Italia e il resto della U.E. ?" Cosi capirà anche per quali motivi l’economia italiana ha (e avrà) enormi difficoltà a decollare. Si sente qualcuno lamentarsi della diminuzione del potere d’ acquisto. D’ altra parte negli ultimi anni sembrano aumentate inefficienze e giri a vuoto. Forse non si pensa l’ ovvio: che le inefficienze in aumento, se sono troppe, hanno dato una mano a far peggiorare l’ economia, ad abbassare il potere di acquisto. Perché tutto ciò succede, in U.E., solo nello Stivale ?

    Capire perché l’ economia arranca

    Tanti emigrati hanno fatto esperienze di buon livello in altri Paesi. Hanno imparato, migliorato, perfezionato, inquadrato le loro capacità. Sono divenuti efficienti, costruttivi, capaci... ad un livello che é divenuto ormai raro in Italia. Se gli emigrati si danno da fare per il Paese (invito i più motivati a farlo); allora il Paese avrà un’ occasione per riprendersi. Occasione da non sprecare perché ... sarebbe, mi sembra, l’ultima per evitare la povertà, il terzo mondo. Un emigrato, il sottoscritto, ha paragonato mentre girava a lungo per l’ Europa, metodi di lavoro e rapporti sociali italiani con quelli di tanti popoli della ex-U.E. (i quindici). Ecco le sue conclusioni. L’ economia italiana non può riprendersi, nelle presenti condizioni della società. Perché si tratta di una società che non funziona. La società italiana ha oggi, ben diffusi, comportamenti inefficienti. L’ opposto di ciò che ci vuole per competere nell’ era della globalizzazione. La verità mi sembra: non si può dire che in Italia esistano una vera società italiana ed un patto sociale. La società italiana é una grossa struttura (che viene persino chiamata "Democrazia"); con i piedi di argilla. I N.C.I (nuovi comportamenti italiani) hanno reso d’ argilla i piedi, che invece avevano bisogno di una buona e lunga fisioterapia.

    IL SUCCO DEL PROBLEMA

    Gli Italiani viaggiano, poi scrivono lettere che si leggono su diverse rubriche online. Vedo aumentare il numero di lettere che chiedono: - una bella cosa, vista in Xlandia, sarebbe possibile vederla in Italia ? - perché da noi non succede xyz, quando in Ylandia la stessa cosa é facile e piacevole? Risponderei cosi: il Paese ha avuto negli ultimi anni tante trasformazioni. Ma i fondamenti del sistema Italia sono tali da incoraggiare le trasformazioni negative e scoraggiare quelle positive. L’adattabilità italiana (anche al peggio) e l’abbassamento del livello di guardia (dei comportamenti accettabili) hanno fatto il resto. Negli ultimi decenni parecchie evoluzioni della società italiana sono state negative. Ed accelerate. Abbiamo messo al bando quegli strumenti che permettono in altri Paesi lo sviluppo. Li abbiamo sostituiti con nuovi strumenti che, oltre ad ostacolare lo sviluppo, accelerano il degrado. Tutto ciò é successo per una serie di ragioni concomitanti che é possibile individuare. Soprattutto se avessimo una capacità di riflessione, di paragone , di analisi. Tutte cose un po’ rare nel Paese di oggi, ove la caratteristica più comune é la confusione. Ad un emigrato, che vive in un paese serio, che convive con situazioni e parametri normali, é possibile trovare le ragioni di un così rapido degrado, specie se la lunghezza della indagine (circa dieci anni) e il gran numero di paragoni gli hanno aperto gli occhi. Lo ha potuto fare, avendo avuto un’attività in un quadro internazionale ed essendo stato spinto a viaggiare tutta Europa per più di venti anni. Non serve scovare la causa del malfunzionamento di un paio di servizi nazionali e fermarsi li. Bisogna andare oltre, capire perché non sappiamo gestire un Paese che, per voler competere, dovrebbe essere moderno non solo nei meccanismi strutturali, ma anche nei comportamenti e nelle forme di pensiero. Un Paese che non applica la costituzione e le leggi nei riguardi di tutti può, in partenza, essere handicappato in economia. Un Paese che tende alla lottizzazione, invece di mettere in moto le carote e far funzionare le leggi (1) col bastone, é un Paese senza futuro. Il mercato globale é una grossa scure. La quale divide le economie in due gruppi: i realisti efficienti e i chiacchieroni falliti. Non c’ é più posto per un terzo gruppo (al quale apparteneva l’ Italia prima del ’90): quello dei piccoli sforzi, della poca chiarezza, della limitata organizzazione (anche mentale) e della lottizzazione. Per sviare un’opinione diffusa sulle colpe della sola politica, una frase pubblicata da TIME alla scoperta di Tangentopoli: "Gli Italiani scoprono con rabbia di essere stati governati da una banda di lestofanti, i quali hanno gestito Tangentopoli. Non sanno che la gestione del potere politico, invischiato in Tangentopoli, é la migliore espressione della mentalità italiana di oggi".

    QUALI LE PROSPETTIVE PER IL SISTEMA ITALIA ?

    Due evoluzioni sembrano possibili: a) attiviamo le riflessioni necessarie (con un gruppo di esperti e la testimonianza di emigrati, lontano dalle scene politico-demagogiche) per individuare obiettivamente le cause del degrado sociale ed economico. VERITA’ NUDE E CRUDE sono necessarie... Ciò permetterà di identificare le misure, anche educative, in grado di fare evolvere il sistema Italia semibloccato in sistema positivo (sono positivi, cioè non bloccano ma supportano l’economia, i sistemi di molti Paesi della U.E.). Un’informazione nazionale successiva permetterà poi alla società di capire chi vuole il progresso sociale e chi invece lo ostacola per la conservazione di poteri nascosti. Si individueranno le leve, le alleanze e le promozioni necessarie ad applicare le misure urgenti per europeizzare il Paese. Ciò implica coraggio e determinazione, abbastanza rari nella rassegnata Italia di oggi. Il trend cambierebbe, dopo un paio d’anni si vedrebbero i primi risultati sull’economia. Negli anni successivi gli impatti sulla competitività sarebbero forti e positivi. Questo é l’approccio che interessa chi vuole lavoro e ricchezza. Approccio non ancora proposto in quanto la riflessione, nel Paese lottizzato, é andata in vacanza.... b) non osare iniziative, per cambiare tutto ciò che é urgente cambiare. Restare cioè colla attuale rassegnazione balcanica a ciò che non va e lasciare che il sistema continui a degradarsi. Il sistema Italia si allontanerà ancor più dall’Europa. Gli imprenditori vedranno aumentare le proprie difficoltà, l’ occupazione diminuirà, il numero dei tonfi "tipo FIAT" rischia di aumentare. Rischiamo, in un decennio, di divenire l’Argentina della U.E. ed il sistema Italia continuerà a dirigersi verso il terzo mondo. In compenso molti poteri nascosti sarebbero conservati e gestirebbero la decadenza.

    COME USCIRNE

    La mia testimonianza (e quella di altri emigrati in Paesi avanzati) é necessaria per innescare una riflessione che é necessaria ed urgente (inizialmente conducibile da una istituzione indipendente ?); la quale ci permetterebbe di capire in cosa siamo lontani dai Paesi capaci di sviluppo, cosa ci é necessario per essere competitivi. Dopo tale riflessione sarà possibile discutere un programma di europeizzazione del Paese. Una previsione: passare dal quadro sociale e dalla mentalità distruttivi attuali ad un nuovo quadro sociale costruttivo e impegnato é possibile. Ma il cambiamento richiede... molto impegno e capacità gestionale del rinnovamento. Ho pubblicato parecchie analisi, dopo lunga inchiesta, riflessione e paragoni con l’Europa. Ed inoltre numerosi articoli che cercano di rispondere alle domande: - perché ciò succede solo in Italia, non nel resto della U.E.; - come potremmo migliorare tale o talaltro risultato ? - perché l’utopia da noi (così definita in una lettera al CdS); diventa poi realtà in un altro Paese ? Le "Lettere dall’Europa", contenenti le analisi, sono pubblicate su: http://angrema.blogspot.com/
    www.accademiaonline.net (le lettere dei mesi precedenti sono nell’archivio del sito)
    http://angrema.blogspot.com.blog.kataweb.it/progressoangrema/

    UN INVITO

    Per iniziare un dibattito costruttivo, in un Paese ove troppa gente é abituata a discutere di ideologie, é assolutamente necessario restare fuori dell’ agone politico. E’ l’ unico modo per essere realisti, nel Paese della confusione e dell’ approssimazione.

    Antonio Greco
    ANGREMA@wanadoo.fr


    (1) Far funzionare le istituzioni ? Sarebbe possibile, certo, se ... iniziassimo ad insegnare, come in Europa, la chiarezza, la coerenza, l’ efficienza, l’ onestà, la dirittura, il rigore, la responsabilità, il realismo, il valore, il merito e l’impegno".


    BANCA NAZIONALE DEL LAVORO Tragicomica Odissea finanziaria degli orfani del compromesso storico

    Il caso Banca Nazionale del Lavoro sta scuotendo il mondo sia politico sia finanziario d’assalto che si è sviluppato grazie al "Manuale Cencelli" .1 Per capirci un qualcosa partiamo da qualche antefatto che, apparentemente, non c’entra nulla. La Banca Nazionale del Lavoro (in breve BNL) negli anni d’oro era la maggior banca italiana. Roccaforte di socialisti (dell’ala massimalista ) e dei democristiani (che avevano come riferimento Ciriaco De Mita); dopo varie vicissitudini, durate una decina d’anni, era entrata nelle mire del Monte dei Paschi di Siena ( in breve MPS, banca fondata nel 1492) MPS, fino alla fine della prima repubblica, è stato l’archetipo del "manuale Cencelli" applicato all’intreccio politica - finanza; infatti: § Se il sindaco di Siena era comunista
    - alla presidenza dell’Istituto veniva eletto un democristiano (rigorosamente di sinistra ed il più insigne di questi fu Piero Barucci, divenuto poi Ministro del Tesoro)
    - la vice presidenza spettava ai socialisti
    - il Presidente del Collegio Sindacale era un comunista
    § Se il Sindaco di Siena era un democristiano (ovviamente demitiano)
    - il Presidente di MPS era socialista
    - il Vice Presidente era democristiano
    - il Presidente del Collegio Sindacale era comunista.
    § In base a questa regola erano spartite anche le Direzioni Operative (Affari, Estero, Sviluppo, Personale, Studi,ecc) della Banca.
    Da tutto questo si evince che:
        la politica locale era affare tra democristiani e comunisti (i due partiti di "massa")
        i vertici di MPS erano ripartiti tra socialisti e democristiani mentre ai comunisti era affidata la funzione di controllo (Presidenza del Collegio Sindacale)

    In BNL il potere era ripartito, sia pur in maniera meno "organica" , più o meno allo stesso modo. I democristiani la facevano da padroni nelle Casse di Risparmio (Cariplo in primis) e nelle principali Banche private (Banco Ambrosiano Veneto, ora Banca Intesa, in testa). Non a caso Giovanni Berlinguer, segretario del PCI teorico del "compromesso storico" unitamente all’allora segretario della DC Ciriaco De Mita, nel 1981 ammoniva "Attenti a quei partiti che scalano le banche". I fatti al centro delle cronache di questi giorni, pertanto potrebbero essere letti sotto una luce "politicamente scorretta". Se si pone attenzione a due notizie, apparse l’una su Internet l’altra sulla carta stampata, si capisce come sia fitto l’intreccio BNL, MPS, UNIPOL BANCA:
    • trafiletto apparso su Affari Italiani (quotidiano on line): Passi piccoli e silenziosi, ma significativi. "Dopo il divorzio da Bnl (e da Unipol) il Monte dei Paschi di Siena sta cercando la sua strada. E tra le idee per il futuro ce ne sono alcune ancora più chiare: lotta a Francesco Caltagirone e Chicco Gnutti. I rapporti, già freddi un tempo, che qualcuno mal digeriva persino anni fa, dopo l’affaire Bnl si sono definitivamente rotti. Il management ha capito che la strada, almeno nell’immediato futuro, sarà quella dello stand alone. E che quindi non ci sarà spazio per altri "giochetti"... pardon progetti".
    • articolo del "Il sole 24 Ore" : "Il finanziere bresciano Emilio Gnutti, coinvolto nelle inchieste giudiziarie sulle scalate bancarie, si è dimesso dal consiglio di amministrazione della Banca del Monte dei Paschi di Siena in cui rivestiva anche la carica di vicepresidente.Lo comunica una nota della banca senese «per motivi di salute». Hopa, la merchant bank che fa capo a Gnutti, ha in portafoglio il 2,3% circa del capitale di Bmps. Nella mattinata di giovedì 29 dicembre era arrivata la notizia delle dimissioni di Gnutti da consigliere di Unipol e Asm Brescia (la multiutility dei servizi dell’energia, acqua, fognature, nettezza urbana) anche queste «per motivi di salute»".

    Evidentemente il tintinnio di manette ha causato, ai "furbetti del quartierino", un’orticaria fulminante. Infatti, il quotidiano economico milanese (in mano a Confindustria e MPS) omette di dire che il Vice Presidente di HOPA (la società finanziaria cassaforte dell’impero di Chicco Gnutti); prima del caso Banca Popolare Italiana, era Giovanni Consorte (ex presidente ed ex Amministratore Delegato di Unipol Banca) ed un consigliere d’amministrazione era Gianpiero Fiorani (Presidente ed ex Amministratore Delegato di Banca Popolare Italiana, già Banca Popolare di Lodi). Per dipanare il ginepraio in cui stanno ruotando le cronache economico/giudiziarie di questi giorni non possiamo non prendere in considerazioni due fattori sottaciuti (guarda caso) dalla stampa "politicamente corretta" (Corsera e 24Ore in primis):
    § MPS, come si evince dalla Centrale dei Rischi bancari (documento in cui la Banca d’Italia comunica, agli "operatori abilitati" i livelli di indebitamento e di insolvenza sia enti sia di privati) è l’Istituto di credito più esposto verso i DS.
    § La Banca Nazionale del Lavoro vede alla sua Presidenza un tal Luigi Abete che ha iniziato la sua carriera come Presidente della A.BE.T.E. SpA - Azienda Beneventana Tipografica Editoriale - (il cui personaggio di riferimento era Ciriaco De Mita).

    Il piano era (e rimane) sottile:
    • Unipol Banca, il cui azionista di riferimento è HOLMO (cassaforte delle Cooperative rosse, che ha soci di riferimento: COOP - Supermercati Coop , Cmc - Cooperativa Muratori e Cementisti e CCC - Consorzio Cooperative Costruzioni) è il classico ibrido Banca/Assicurazioni (come Banca Generali, RasBank, banca Mediolanum, ecc). Quindi istituzioni più di raccolta (sollecitazione del pubblico risparmio) che di impiego (concessioni di prestiti)
    • L’acquisizione di BNL avrebbe consentito ai DS lo spostamento dei loro considerevolissimi debiti da MPS alla nuova istituzione creditizia
    • Il vantaggio per Fassino e compagni sarebbe stato enorme. Infatti il poter contare su una Banca con ragguardevoli basi tanto economiche quanto patrimoniali avrebbe consentito di gestire "in casa" sia gli indebitamenti quanto le commissioni di intervento.
    I "furbetti del quartierino" (termine coniato da Fiorani per definire la banda Consorte, Gnutti, Caltagirone e se medesimo); purtroppo per loro, non hanno fatto i conti con la premiata ditta Rutelli & Veltroni che mal ha sopportato d’essere stata messa in un angolo per far largo a cariatidi della politica come Prodi e Fassino . Se ai vertici dei DS fosse riuscita l’operazione BNL l’accoppiata Prodi Fassino sarebbe stata stravincente, invece… il finale sta nelle mani del Fato e …. della Magistratura Il tentativo di ricoinvolgere MPS nella questione BNL (opzione sponsorizzata dalle Coop toscane che hanno una significativa presenza nella Fondazione MPS) ha come obiettivo quelle di rendere "interni" (al riparo da occhi e bocche indiscreti) i debiti dei DS . Prodi ed i suoi sono tra l’incudine di perdere lo sponsor strategico ed il martello di apparire peggiori di coloro che per cinque anni hanno demonizzato ed insultato. Vuoi vedere che aveva ragione il buon Cencelli?

    Maurizio Turoli
    maurizio_turoli@yahoo.it


    (1) Per manuale Cencelli si intende una formula algebrico-deterministica per regolare la spartizione delle cariche pubbliche in base al peso elettorale di ogni singolo partito o corrente politica. È attribuito a Massimiliano Cencelli, un funzionario della Democrazia Cristiana, che lo avrebbe messo a punto attorno agli anni ’70.
    Durante la cosiddetta prima repubblica italiana, il manuale Cencelli sanciva quanti e quali posti o cariche dovessero essere assegnati a soggetti appartenenti a ciascun partito e, all’interno di questo, a ciascuna sua corrente. Per esempio, in occasione della formazione di un nuovo governo, specialmente per un governo di coalizione, vi era un nutrito numero di cariche da assegnare o riassegnare (ministri, sottosegretari, direttori generali, funzionari speciali, presidenti amministratori e consiglieri di enti e società partecipate, e così via) in funzione delle mutate condizioni politiche del momento. Il manuale Cencelli fungeva da "norma regolatrice", così che nessuno dovesse avere da recriminare, secondo valori fissi in base ai quali le cariche assegnabili erano soppesate qualitativamente (pare, per esempio, che un ministro valesse due sottosegretari e mezzo).