Prodi Romano molto europeo ma poco italiano - Numero 36

SOMMARIO DELLA SEZIONE:

  • PRODI ROMANO MOLTO EUROPEO MA POCO ITALIANO
  • ENEL - GAS DE FRANCE



    PRODI ROMANO MOLTO EUROPEO MA POCO ITALIANO
    (SINTESI DI UNA RICERCA EFFETTUATA DAI RAGAZZI DI AZIONE GIOVANI)

    1. Eurostat : Prodi è fuggito dalle responsabilità sugli scandali della Commissione europea
    Prodi sostituì, con qualche mese di anticipo, il Presidente in carica della Commissione. Il suo predecessore, il lussemburghese Jacques Santer, fu costretto a dimettersi prima della scadenza naturale del suo mandato perché era stato sfiduciato dal Parlamento europeo, dopo essersi reso protagonista di uno scandalo istituzionale. Infatti, né gli europarlamentari né i mass media gli avevano perdonato che una componente della sua Commissione, Edith Cresson, Commissario all’Educazione e alla Ricerca, fosse finita sotto inchiesta per aver elargito, a spese dell’Unione, un contratto di lavoro al suo ex dentista. Proprio per questo, nel suo debutto a Strasburgo, proclamò di adottare, come cardini del suo mandato, la tolleranza zero sulle frodi e la trasparenza. Qualche mese più tardi, si cominciò a vociferare di dubbie consulenze che riguardavano l’Eurostat, l’istituto europeo di statistiche. Tutti cominciarono a reclamare una risposta chiara. Prodi si affrettò a negare tutto, dichiarando di non saperne nulla. Ma la stampa internazionale sostenne subito il contrario. In particolare, il Financial Times diede l’avvio ad un assedio mediatico, politico ed istituzionale. Prodi e la sua Commissione finirono nell’occhio del ciclone. Iniziò così uno psicodramma istituzionale che coinvolse tutti, nessuno escluso: il Parlamento, la Commissione, la Corte dei Conti e l’Olaf si impegnarono in una serie infinita di riunioni, pubbliche e "a porte chiuse"; furono elaborate decine di documenti riservati e un numero incalcolabile di note ufficiali, per non parlare poi degli innumerevoli piani di azione eternamente rimandati. Dopo alterne vicende lo psicodramma culminò con una mozione di censura contro la Commissione Prodi, discussa in Parlamento nell’aprile 2004. Alla fine l’esecutivo di Bruxelles confessò che effettivamente c’erano state frodi per più di cinque milioni di euro, liquidando, però, il fatto come "un’eccezione deplorevole", nel tentativo di autoassolversi. La Commissione se la cavò emanando un presunto "codice di condotta", che avrebbe disciplinato i rapporti tra i Commissari e i loro servizi.

    2. Prodi ha danneggiato l’Italia con i suoi silenzi: l’ingiustizia dell’Assegno inglese
    Dalla fondazione della Comunità europea, ogni Nazione partecipa con una propria quota nazionale al bilancio comunitario. Per oltre vent’anni, l’unica a fare eccezione è stata la Gran Bretagna che ha contribuito in maniera del tutto irrisoria al bilancio dell’Unione europea, visto che l’Europa ha sempre restituito a Londra la quasi totalità della somma versata. E’ il famigerato "English Rebate", un perverso meccanismo attraverso il quale la Gran Bretagna continuava a sottrarre all’Italia ingenti risorse. L’odiosa ingiustizia dell’assegno inglese avrebbe dovuto essere denunciata da Romano Prodi, che invece nei cinque anni di Presidenza della Commissione europea si è contraddistinto per un silenzio complice e assordante. Nel corso dei cinque anni della Presidenza Prodi, questo iniquo e inspiegabile privilegio non è stato mai messo veramente in discussione. Soltanto con l’arrivo del nuovo Presidente Barroso, la Commissione ha preso una posizione forte, ritenendo che non ci fossero più le condizioni per concedere uno sconto così eclatante al Regno Unito.

    3. Prodi ha utilizzato le istituzioni europee per fare politica in Italia
    Durante i cinque anni da Presidente della Commissione, Prodi non ha goduto di buona stampa, a partire proprio dal Financial Times che ha condotto una vera crociata contro di lui. Tutti conosciamo il proverbiale antieuropeismo degli inglesi ma, dietro alla sistematica e maniacale lente d’ingrandimento del giornale della City puntata su Prodi, c’erano fin troppi motivi per alimentare le polemiche. Prodi, nel novembre 2003, presentò il manifesto "L’Europa: il sogno, le scelte". Con questo suo programma politico il Presidente della Commissione decise di scendere in campo, come leader dell’Ulivo, in vista delle elezioni europee. Nacque un dibattito sull’incompatibilità tra l’incarico istituzionale di Presidente della Commissione, una posizione che deve dare garanzie di neutralità e indipendenza, e il suo ruolo in Italia di capo dell’opposizione. La denuncia era chiara: la Commissione europea non poteva trasformarsi in un taxi per la politica nazionale. La polemica era troppo ghiotta e i mass media si scatenarono. Il Times, il Frankfurter Allgemeine Zeitung e il Mundo consigliarono immediatamente a Prodi di lasciare l’Europa e "concentrarsi sulla politica italiana" Infatti nell’aprile 2004 Prodi, in maniera del tutto atipica e impresentabile sia in termini di linguaggio che di procedure, annunciò con un comunicato stampa la presunta messa in mora dell’Italia per il possibile sforamento del 3% nel rapporto deficit-Pil. L’annunciato "early warning" (in termini tecnici "avvertimento preventivo"); così come è chiamata ufficialmente la procedura sanzionatoria, creò un evidente e naturale shock politico-finanziario. Peccato che non era vero assolutamente nulla. Infatti il provvedimento non fu mai effettivamente formalizzato per l’ottimo motivo che non sussistevano i presupposti, anzi il Fondo Monetario Internazionale smentì categoricamente le previsioni della Commissione europea Evidentemente Prodi voleva usare il suo incarico istituzionale come una clava contro il governo Berlusconi alla vigilia delle elezioni europee che si sarebbero svolte due mesi dopo.

    4. Prodi ha assecondato l’invasione commerciale cinese
    Gli anni della Presidenza Prodi coincidono con le trattative chiave per l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e, soprattutto, con l’inizio del boom commerciale cinese in Italia e in Europa. Infatti, dal 2000 al 2004, si è registrato un aumento clamoroso dell’importazione di alcune merci cinesi, in media del 700%. La Cina ha infatti invaso il mercato europeo con valanghe di prodotti apparentemente a basso costo. In realtà il costo è elevatissimo. In Cina questi prodotti, dall’abbigliamento all’agro-alimentare, fino agli apparecchi tecnologici, vengono realizzati senza alcun rispetto per i diritti umani, con salari irrisori, senza rispetto per l’ambiente, senza garanzie per la sicurezza dei consumatori, spesso impiegando manodopera minorile. Troppe volte queste merci sono contraffatte, incentivando così un mercato immenso, che ha visto crescere il suo giro d’affari del 1300% e che finanzia organizzazioni criminali. . Tutto iniziò quando Prodi annunciò, a Pechino nel dicembre del 1999, l’istituzione di una "camera di commercio Ue - Cina". Il vero colpo di fulmine ci fu nel maggio 2000, quando avvenne l’incontro fatale tra Europa e Cina. Proprio in quella data, infatti, si chiuse l’accordo che ha dato il via libera all’ingresso del colosso asiatico nel WTO. Prodi non perse l’occasione per esprimere "soddisfazione" e per definire l’accordo "storico". Infatti secondo lui, l’intesa rifletteva ampiamente "gli specifici interessi europei sul mercato cinese" e avrebbe quindi assicurato "molti posti di lavoro ai cittadini europei" Queste le dichiarazioni trionfali del Presidente Prodi, che sembrano un caso di umorismo involontario. Se per la Cina, infatti, è il momento della svolta, per l’Europa è l’inizio di un incubo fatto di concorrenza sleale, di prodotti contraffatti, di aziende costrette a chiudere e di lavoratori licenziati. Come se non bastasse, in quel periodo l’Unione europea acquisisce come sua competenza specifica quella del commercio estero, scippando ogni potere decisionale ai singoli Stati europei. Tra il 2000 e il 2004 ci sono stati ben tre vertici tra l’Unione europea e la Cina nei quali la Commissione avrebbe potuto chiedere maggiori garanzie per le imprese europee, a partire dal comparto del tessile e del calzaturiero, oggi in crisi. Ma queste occasioni non furono colte. L’attivismo prodiano è stato solo un fiume in piena di parole, senza un’idea sul da farsi o uno straccio di progetto. Il Professore non è riuscito a rendersi conto della gravità della situazione tanto che, senza una strategia ma per puro spirito propagandistico, si è ostinato ad aumentare e moltiplicare i rapporti tra la Cina e il Vecchio Continente. Qualche numero: in Italia, tra il 2000 e il 2005, l’import cinese nel settore tessile ha toccato cifre da record, con un incremento delle importazioni dei pantaloni fino al 1960%, dei pullover fino al 1250%, delle magliette fino al 537%, dei cappotti fino al 757%, mettendo così in crisi 28.000 aziende e in pericolo 90mila posti di lavoro. In Europa, invece, sono a rischio quasi un milione di posti di lavoro. Altro settore in crisi è quello calzaturiero: negli ultimi anni l’Europa ha importato dalla Cina più di un miliardo di paia di scarpe, mettendo a repentaglio più di 70mila posti di lavoro. E ancora, la Commissione non ha saputo difendere le nostre produzioni Solo con la nuova Commissione Barroso, nel 2005, sono stati presi i primi tardivi provvedimenti per cercare di far fronte allo shock da importazioni cinesi.

    5. Prodi ha cercato di boicottare Parma come sede per l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare
    L’Agenzia oggi ha orgogliosamente sede in Italia, a Parma. Fin dall’inizio, la patria del parmigiano e del prosciutto era la candidata naturale, quasi scontata, per l’Authority, ma grazie alle proposte surreali di Prodi il burocrate è arrivata al traguardo solo dopo un percorso tortuoso e sofferto. La preferenza Romano Prodi l’aveva espressa in favore della città di Lussemburgo. Di fronte all’unanime levata di scudi contro le sue affermazioni, che avevano lasciato tutti allibiti, Prodi si giustificò dicendo, in modo maldestro, che aveva bisogno di "razionalizzare la distribuzione geografica degli uffici della Commissione La verità è che queste presunte esigenze erano totalmente pretestuose e incomprensibili e denunciavano piuttosto l’attitudine di chi voleva remare contro l’Italia. Vale la pena ricordare che il Granducato lussemburghese non aveva mai presentato formale richiesta per l’Autorità alimentare, al contrario di Parma che aveva avanzato da anni la sua candidatura. E’ quindi curioso notare come la militanza "anti-italiana" del Professore sia stata costante e di lunga data.

    6. Prodi ha svenduto i nostri vini di qualità
    Nel 2003, nel battezzare la controversa proposta di riforma della Politica agricola comune, Romano Prodi tentò in vari modi di giustificare i tagli e i sacrifici che l’agricoltura europea avrebbe dovuto affrontare. La sua tesi principale era quella di puntare tutto sulle denominazioni di origine e sui prodotti d’eccellenza, che costituiscono la via sulla quale l’Europa deve lavorare perché non è più pensabile riuscire a stare nei costi di un’agricoltura massificata. Queste dichiarazioni sembravano essere l’importante garanzia di un impegno per la valorizzazione dei prodotti di qualità, un’esigenza fortemente sentita da produttori e consumatori italiani ed europei. Purtroppo però, Prodi, come al solito, predica bene e razzola male. Infatti era già da tempo in atto un vero e proprio accanimento contro la migliore produzione vitivinicola. Dal 2002 al 2004 la Commissione si contraddistinse nella elaborazione di una serie di regolamenti che, in barba ai proclami sulla tradizione e la qualità, aprirono di fatto la porta alla concorrenza sleale, permettendo per la prima volta ai produttori extra-europei l’utilizzo delle denominazioni più prestigiose dei vini italiani. Si tratta di etichette note in tutto il mondo come: l’Amarone, il Brunello, il Morellino, il Vin Santo… In parole povere, un vino prodotto in Cile, in Cina o in Australia con un sapore vagamente simile ad uno dei nostri vini pregiati avrebbe potuto essere etichettato come se fosse stato originale. Il regolamento incriminato era il famigerato 316/2004. Il giallo dei vini "taroccati". L’iter per l’adozione del Regolamento fu molto sofferto e si trascinò per un anno intero. Ci fu un braccio di ferro tra la Commissione e i Paesi produttori, tra cui l’Italia, la Spagna, la Francia, il Portogallo e la Grecia, che volevano rassicurazioni sulla tutela delle menzioni tradizionali. Era chiaro che dietro alle esigenze di massima liberalizzazione proclamate dalla Commissione si nascondevano, in realtà, gli interessi delle grandi multinazionali, sempre interessate ad ampliare il proprio mercato a danno della qualità. Proprio per questo, probabilmente, la Commissione cercò il momento favorevole per tentare una forzatura ed approvare il nuovo Regolamento senza tenere conto delle istanze del settore vitivinicolo. Per l’Italia il Ministro Alemanno chiese un rinvio per l’approvazione definitiva, in attesa di un’attenta consultazione del testo. Le sue lecite richieste rimasero però lettera morta. Il Regolamento fu approvato in modo anomalo con 47 voti favorevoli contro 40 voti contrari, contravvenendo alla norma che prevedeva una maggioranza dei due terzi. In poche parole, con il nuovo Regolamento si dava il via libera alla produzione pirata dei nostri vini.

    7. Prodi è riuscito a trasformare l’euro in un incubo
    Il pasticciaccio brutto dell’euro. Pur non avendo mai avuto alcun pregiudizio sull’euro (anzi sono sempre stati apprezzati i benefici); vi erano fondate ragioni per reclamare, fin dall’inizio, che l’introduzione della moneta unica fosse realizzata con responsabilità, nei tempi giusti e alle condizioni più favorevoli per l’Italia. E’ stato puntualmente rivendicata la necessità che fossero le istituzioni politiche a gestire le strategie monetarie anziché la Banca Centrale Europea (BCE) in modo esclusivo e in assoluta autonomia. Invece, come è noto, Romano Prodi ha sempre avuto una vera e propria fissazione per l’euro e, benché le condizioni e i tempi non fossero ancora maturi, era pronto a tutto pur di realizzare la sua mania. In realtà, il vero intento del Professore bolognese era quello di passare alla storia, di rimanere nella memoria delle future generazioni come colui che aveva introdotto la moneta unica in Italia. Pur di ottenere un suo personale successo propagandistico, Prodi lavorò per l’introduzione subito e a tutti i costi dell’euro. Lo confessò qualche anno dopo davanti all’Aula parlamentare di Strasburgo quando ammise che "personalmente" aveva deciso di "forzare" la politica italiana per partecipare, sin dall’inizio, alla costruzione dell’Unione monetaria. Il costo di questa sua ossessione mediatica fu l’’invenzione del balzello denominato. Bruxelles non si stupì più di tanto della stramberia fiscale perché l’Italia era nota per le sue anomalie tanto da essersi guadagnata una fama negativa nelle istituzioni comunitarie, anche per la sua incapacità di utilizzare i fondi europei: "Inadeguatezza delle strutture amministrative, lentezza e complessità delle procedure, scarsa efficacia nell’uso dell’assistenza tecnica… Dalla lira all’euro: un cambio sfavorevole. Sia le contrattazioni con Bruxelles che i decreti legislativi per l’introduzione dell’euro in Italia furono fatti durante il governo Prodi. In particolare nel 1998, anno cruciale delle trattative per l’euro, Prodi, pur di portare a casa il risultato, accettò supinamente un tasso di cambio sfavorevole per l’Italia, nonostante il costo eccessivo dell’operazione e il parere contrario di molti, tra cui alcune associazioni imprenditoriali. Il cambio sfavorevole avrebbe determinato, inevitabilmente, l’inizio di una progressiva diminuzione delle nostre esportazioni. Quando, nel 1999, Prodi diventò Presidente della Commissione la musica purtroppo non cambiò. Dopo le "prodezze" da Presidente del Consiglio italiano, Prodi continuò e concluse la sua "diabolica" performance in sede comunitaria. Sull’esempio della peggiore tradizione dei maghi televisivi, il Professore di Bologna diventò una sorta di Divino Otelma di prestigio, un mistico visionario dell’euro. Del resto lui stesso si è pubblicamente definito un "ragioniere e burocrate". Ma, purtroppo si dimostrò un "visionario con un disegno politico inflessibile". E così Prodi incominciò a fare strane previsioni, a dare i numeri, a disegnare scenari astrologici. Prodi si sperticò, prematuramente, nell’elogiare le capacità terapeutiche dell’euro come fosse la panacea di tutti i mali: "l’euro è già oggi un grande successo", declamava incomprensibilmente già nel maggio del 2000, prima ancora dell’entrata in circolazione della nuova moneta. E con confusa chiaroveggenza millantava che l’euro avrebbe portato "vantaggi a tutti, anche nelle tasche dei lavoratori a reddito fisso, dei piccoli risparmiatori, delle fasce più deboli, dei pensionati" e che la moneta unica avrebbe garantito "tra le altre cose la stabilità del potere d’acquisto dei lavoratori a reddito fisso e degli artigiani". L’euro e l’impennata dei prezzi hanno dimostrato quanto Prodi sia stato inadeguato: · disinteressò completamente di una richiesta che veniva da tanti cittadini, ovvero quella di introdurre le banconote da uno e due euro; · accettò passivamente il provvedimento che limitava a soli 60 giorni la doppia circolazione dell’euro e delle vecchie monete, costringendo così 350 milioni di cittadini europei, imprese ed esercizi commerciali a fare i conti con l’euro a tempo di record. Accadde, quindi, quello che i consumatori temevano, cioè un’inevitabile confusione che in alcuni settori ha creato il grande equivoco dell’ "effetto raddoppio": nella pratica quotidiana troppo spesso abbiamo assistito ad un’impennata dei prezzi e le "vecchie" mille lire sono diventate un euro. Ovviamente Prodi negò ogni responsabilità e disse anzi che tutto stava andando per il meglio, che l’euro aveva portato solo vantaggi e che semmai il problema era esclusivamente italiano. E’ noto a tutti che non era affatto così. In realtà, l’euro stava creando seri problemi agli Stati membri dell’Unione europea, a causa dell’eccessivo apprezzamento della moneta unica. Nel luglio 2003 di fronte alla crisi dell’economia europea lo stesso Cancelliere tedesco Schroeder lanciò un allarme disperato sulle conseguenze negative del "super euro" sulle esportazioni europee. Ciò nonostante la moneta unica chiuse l’anno con l’ennesimo problematico record sul dollaro. La situazione era talmente grave che, dopo numerosi incontri internazionali, i ministri finanziari della "zona euro", nel 2004, fecero un accorato appello alla Banca centrale europea, invocando una politica monetaria più attenta alle esigenze degli Stati membri e in particolare rivendicando la stabilità del cambio per difendere le esportazioni.

    Per le ricerche d’archivio hanno collaborato: M. P. De Angelis, D. Di Leo, A. Koveos, F. Magrone


    ENEL - GAS DE FRANCE
    Identità nazionale francese e prostituzione clientelare del centro sinistra italiano

    Ancora si riconfermano i corsi ed i ricorsi storici del Vico.

    La querelle tra Enel e GDF (Gas de France) ha dei precedenti che risalgono alla fine degli anni ’50.

    Correva l’anno 1959 e Charles De Gaulle era un re senza corona, grazie all’approvazione del referendum che l’anno precedente aveva sancito la nascita della V Repubblica marcatamente presidenziale. Nel giugno di quell’anno venne in Italia a celebrare il centenario della battaglia di Magenta. Antonio Segni, Presidente del Consiglio e Giuseppe Togni, ministro per le Partecipazioni statali, vollero approfittare di quell’occasione per suggellare con De Gaulle un protocollo d’intesa relativo alla produzione in Italia di una vetturetta francese. L’accordo tra la Regis Renault (azienda statale francese) e l’Alfa Romeo (azienda IRI) prevedeva la produzione e la commercializzazione in Italia della Dauphine (utilitaria francese a quattro porte con motore a trazione posteriore). La versione sportiva, denominata Gardini, montava un motore Alfa Romeo. Due giorni dopo ad Aosta De Gaulle, di fronte ad un attonito Giovanni Gronchi Presidente della Repubblica Italiana, gridava in francese "Viva la Valle d’Aosta libera e francese". Scoppiò un caso diplomatico che:
    - sancì il riconoscimento internazionale della"grandeure de la France"
    - la strategia politica italiana del "basso profilo internazionale e controbilanciato da una significativa presenza internazionale" con un ruolo subalterno ai vincitori della seconda guerra mondiale, Francia in testa.
    Il successo di questa impostazione politica culminò l’anno successivo con la firma del "Trattato di Roma" Nel 1962, De Gaulle ritenne che i motori che equipaggiavano la versione sportiva della Dauphine danneggiassero (auspice anche Valletta AD della FIAT) la "grandeure" e le vetture vennero prodotte solo in Francia con motori italiani assemblati a Bailloncourt.

    La politica del basso profilo in cambio di poltrone si affinò con l’affermarsi della Germania Ovest, del grande Konrad Adenauer, quale locomotiva economica dell’Europa continentale.

    Da questa impostazione politica, tipicamente democristiana, nascono i problemi italiani.

    Infatti mentre per la Francia e la Germania le attività economiche sono un patrimonio strategico da tutelare, per l’Italia sono merce di scambio politico.

    Edith Cresson, unico premier donna francese (dal maggio ’91 al marzo ’92); girò il mondo per due mesi (sui dieci di governo) per portare a casa contratti a favore della Haneywell (attuale Bull) in crisi.

    Il cancelliere Herbert Frahm (meglio conosciuto come Willy Brandt); ai tempi della Grosse Koalition, e della Ostpolitik, concludeva le missioni diplomatiche con la sigla di accordi commerciali per le industrie della Germania Ovest.

    Da questi due esempi si deduce che l’industria francese e tedesca sono sostenute dall’intero governo nazionale.

    L’industria italiana ha alle spalle, se tutto va bene, il politico di riferimento.

    Da qui nascono i problemi per le OPA lanciate da aziende italiane nei confronti di imprese francesi e/o tedesche.

    Leopoldo Pirelli fece, negli anni ’90, un bagno di sangue nel tentativo di acquisire la concorrente tedesca Continental .

    L’esperienza convinse Tronchetti Provera, nel frattempo succeduto a Pirelli, ad abbandonare il settore competitivo (gomme e cavi) per rifugiarsi in mercati protetti (telefonia)

    IFIL, sempre negli anni ’90, fece la stessa fine. All’epoca aveva in portafoglio il capitale di comando di numerose società operanti nel settore delle acque minerali. Umberto Agnelli volle tentare la scalata alle francese Perrier. La vicenda culminò con il vendita delle acque minerali alla Nestlè.

    La fusione GDF SUEZ, che fa stracciare le vesti ai farisei alla Prodi, non è che il proseguimento di una politica nazionalistica che vede l’Europa subalterna all’asse franco-tedesco.

    Non dimentichiamo che lo stesso asse ci ha imposto (con la complicità interessata di Prodi, Amato e Dalema) una conversione Lira/Euro dagli effetti devastanti che stiamo pesantemente scontando in termini di potere d’acquisto interno.

    Lo schiaffo francese nulla ha a che vedere con l’europeismo italiano.

    Sarebbe avvenuto anche con Prodi al Governo, o meglio non sarebbe successo nulla perché si sarebbe barattata qualche poltrona (o similare contentino) in cambio della non belligeranza economica.

    Infatti, non è un caso che
    · Helmut Kolh, ex cancelliere democristiano e padre dell’unificazione tedesca, abbia dato il proprio sostegno a Prodi.
    · Prodi abbia criticato aspramente l’intervento di Berlusconi al Senato statunitense.
    · Berlusconi sia inviso a tedeschi e francesi soprattutto per il tentativo di dare un’identità nazionale al ruolo dell’Italia in Europa (le scelte di politica estera sono state adottate in quest’ottica).

    L’Italia non si deve destare solo alle Olimpiadi di Torino ma deve risollevare la testa anche nel mondo.

    L’occasione è propizia e tragica nello stesso tempo poiché tutto l’occidente è :
    · in una generalizzata crisi economica
    · alle prese con i ricatti del fondamentalismo islamico.

    Se vogliamo essere succubi di Chirac e della Merkel diamo fiducia a Prodi; se vogliamo essere Italiani in Europa … La CDL ci offre più di un’alternativa.

    Maurizio Turoli
    maurizio_turoli@yahoo.it