Editoriale
"Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me". Con queste parole, ormai rimaste famose, Alcide De Gasperi alla Conferenza di pace di Parigi iniziava il suo discorso, dignitoso ma accolto in un clima di freddezza glaciale. Era il10 agosto del 1946 e al Presidente del Consiglio era apparso subito che gli alleati d’Italia, gli ultimi in ordine di tempo, non ci guardavano come degli alleati, come dei vincitori da sedere paritariamente al tavolo delle trattative, ma come dei vinti : i nuovi alleati avevano ricevuto la delegazione italiana facendoli attendere in una sala.La firma definitiva di quel Trattato di pace, un diktat per gli italiani, avvenne il 10 febbraio 1947. Così si consumava per gli italiani una tragedia nella tragedia : le terre d’Istria, di Dalmazia, di Fiume, di parte delle province di Trieste e di Gorizia, nonché Briga, Tenda e tutte le colonie andavano perse. Si apriva per 350.000 italiani fiumani, istriani, dalmati l’odissea dell’esilio, dopo che a migliaia erano morti nelle foibe dei partigiani comunisti di Tito. Il 10 febbraio scorso lo hanno ricordato in tanti, finalmente! Anche il Secolo d’Italia, con un articolo in prima pagina dello storico Luciano Garibaldi. Ma prima di giungere a ricordare il sacrificio dei nostri connazionali lo storico ha narrato come gli italiani fossero stati trattati male dai nuovi alleati; l’Italia "avrebbe avuto pieno diritto di sedersi dalla parte dei vincitori della seconda guerra mondiale, esattamente come la Francia". Una ricostruzione vera, scientificamente precisa, ma con un sottofondo di rimpianto, di dolore che sembrava voler dire : Ma come? Siamo passati dalla vostra parte, abbiamo combattutto contro i nostri fratelli italiani che in nome dell’onore non hanno voluto cambiar bendiera, abbiamo dato vita ad una guerra civile e ci hanno compensato così?. Già, proprio così. Gli alleati avevano strumentalizzato il nuovo regio esercito passato armi e bagagli dalla parte loro, per difendere l’Italia dai tedeschi certo, ma anche combattendo contro quella parte, costituita da italiani, che non avevano voluto arrendersi e cambiar bandiera. Le promesse degli ultimi mesi di guerra erano state presto dimenticate. L ’Italia usciva dalla guerra più umiliata di una nazione sconfitta : ne usciva mortificata, svillaneggiata, senza essere riuscita a convincere inglesi, francesi e americani. Sulle nostre divise c’era l’odore di quell’accusa infamante, anche se comoda per i nuovi alleati : traditori. E come tali, è doloroso dirlo, fummo trattati. E’ una pagina dolorosa, indubbiamente; una pagina scritta col sangue di tanti italiani che si dibatterono tra restare fedele al re e cambiare bandiera o all’alleato e a Mussolini. Un’epopea che segnò divisione nelle stesse famiglie : chi diventò partigiano o militò nel nuovo esercito e chi aderì alla Repubblica sociale italiana di Salò. Noi invochiamo rispetto per gli uni e per gli altri, per tutti, al di là delle scelte, perché tutti credettero di morire per la Patria. Ma colpisce che proprio Il Secolo d’Italia pubblichi un articolo che parla solo degli uni dimenticando gli altri. Dalla fine della guerra abbiamo sempre parlato di pacificazione, abbiamo chiesto sempre rispetto di fronte ai morti, da qualsiasi parte provenissero, stanchi delle esaltazioni a senso unico, dei conteggi di parte, dei martiri che fanno comodo. Oggi è Il Secolo d’Italia che ospita un articolo, indubbiamente scritto in buona fede, che fa dei distinguo o che perlomeno non ricorda "quelli dell’altra parte", quelli che si schierarono dalla parte della sconfitta già chiara a tutti. Anche questa è la nuova politica della Destra italiana? Anche questo serve ad accreditarci? Anche questo è un esame da superare per diventare una destra democratica e moderna?
Antonio F. Vinci
AN, LE DONNE E IL POTERE
La Destra italiana le tenta proprio tutte per rilanciarsi. Senza andare a recuperare l’epoca della Destra del doppiopetto e del manganello o il superamento, ormai giurassico, della sua opposizione alla Lega e la successiva alleanza nelle ultime elezioni, il partito della Destra italiana ha condotto negli ultimi tempi un’operazione di restauro non indifferente : volti nuovi, facce mai viste né mai supposte essere di Destra sono entrate nel partito a vele spiegate, ricoprendo incarichi ed ottenendo candidature mai neppure adombrate ai militanti di lunga data. Eppure c’è chi dice che la struttura è ancora saldamente in mano ai vecchi militanti che, comunque, sono abbastanza lontani dalla stanza dei bottoni. Alcuni almeno. Insomma resiste la vecchia e sempre nuova polemica se sia meglio rinnovarsi, cambiare pelle - secondo i più cinici e i più "scafati" almeno apparentemente - o restare vecchi e puri. Se sia meglio dare qualche dispiacere al vecchio militante reduce di guerra o al giovane filopalestinese aprendosi a scelte neoliberiste e a viaggi in Israele o mantenersi fedeli ai vecchi ideali. Insomma : Destra non più d’opposizione ma di governo d’accordo, ma cedere a compromessi, ideali e non, oppure essere d’esempio di fronte ad una gestione della politica che non sembra apportare grandi sconvolgimenti rispetto al passato, anzi. Luca Barbareschi ha diretto un film da deluso, da uomo di Destra che non ha trovato nell’attuale politica della Destra la realizzazione dei suoi sogni; Nanni Moretti dirige "Gli ultimi giorni di Pompei" della sinistra
La politica italiana è in mano ai registi cinematografici : è proprio un film. Ora assistiamo ad un recupero della donna di Destra. Non più angelo del focolare, né colei che mette al mondo figli per la patria, né audace camerata d’armi ( ma comunque "ausiliaria"), la donna vuole e deve contare di più in AN. Così a Roma Maria Ida Germontani, presidente della consulta per la pari opportunità di Alleanza nazionale, e Daniela Santanché hanno organizzato il Convegno "Penelope e la rete: la donna protagonista nella società e nella politica". C’era l’immancabile Assunta Almirante, che deve la sua diuturna presenza ai Convegni probabilmente solo grazie al cognome che porta , e che ha sostenuto la necessità di avere candidati all’altezza oppure, ha minacciato la signora, "voterò per la sinistra". Non è dato sapere dalle cronache giornalistiche se il riferimento era rivolto ai candidati in genere o a quelli di sesso femminile, tenuto conto del contesto in cui si svolgeva il congresso. Comunque ne prendiamo atto. Eh sì, finalmente la donna di Destra chiede di contare. Basta solo completini neri indossati su scarpe dal tacco a spillo; gonne strette che mettono in luce ciò che - di destra o di sinistra - fa la differenza; vaporose pettinature biondo platino sfoggiate in serate mondane trascorse nelle discoteche della Sardegna, alla presenza di vip onnipresenti su "Panorama". La donna di Destra, o presunta tale, cerca il suo spazio, ma dove?In un partito maschilista, per tradizioni storiche , per cultura e per linguaggio. Lungi da noi la volontà di riaffermare primogeniture maschiliste, convinti come siamo dell’assoluta parità dei sessi, perché
la parità non c’è, non può esserci. Si vuole rendere pari ciò che è dispari;la diversità, invece, fa la differenza, fa la forza. "Viva la differenza", dicono i francesi, ed hanno ragione. La donna cerca spazio nella Destra in quanto donna; e perché no i giovani in quanto giovani, i militanti in quanto militanti, e così via? La donna, come l’uomo, deve avere il suo spazio per le sue capacità, non per la differenza di sesso, sulla base di un falso egualitarismo. Non è l’essere donna o uomo, vecchio o giovane, simpatico o antipatico il requisito per fare politica : questa è la politica delle telenovele, della cosiddetta civiltà dell’immagine, degli imbonitori, dei ciarlatani. Restituiamo alla politica il suo ruolo, che è quello di essere al servizio dei cittadini.
Antonio F. Vinci
QUEL 28 OTTOBRE DI 80 ANNI FA...
28 ottobre 1922 : Marcia su Roma! Non è passato neppure un secolo e sembrano mille anni. Basta rivedere quelle foto ingiallite ( già così in stampa!), quei volti scuri ( ma perché erano così scuri tutti a quel tempo?), quelle divise , quelle pose fiere
Un’altra epoca, un altro mondo. Ma quanto sanno i giovani di oggi di quell’avvenimento? Tra un’ "Operazione trionfo" e un "Grande fratello", tra una partita di calcio e un "Saranno famosi", cresciuti a panini e coca cola, guardano stupiti le foto dei loro bisnonni, come se fossero alieni. E a ragione. A scuola studiano il fascismo sui libri di testo ed apprendono in modo diverso quello che accadde in quel lontano 1922. Ecco cosa si scrive in Alberto De Bernardi - Scipione Guarracino, La conoscenza storica, uno dei volumi più gettonati nei licei: "Il disegno delle forze liberali di dominare l’eversione fascista, dopo averla utilizzata per riequilibrare la pressione delle classi subalterne, era sostanzialmente fallito. I fascisti, con l’appoggio del re, il favore della borghesia industriale e agraria e la neutralità della chiesa erano ora padroni del campo e la svolta autoritaria impressa alla situazione dal colpo di stato di Mussolini sarebbe degenerata in una dittatura cupa e aggressiva". Il testo di Marelli-Salvalaggio-Infante, Storia del mondo moderno, anch’esso abbastanza utilizzato nella scuola italiana, parla dei fascisti in marcia verso Roma così: " Senza fucili e sommariamente inquadrate, le colonne fasciste avrebbero potuto essere facilmente fermate dall’esercito; Vittorio Emanuele III, però, rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio che era stato proposto da Facta e quest’ultimo fu costretto a dimettersi". Di "colpo di Stato" parla pure il testo di Della Peruta-Chittolini-Capra, La storia, edito da Le Monnier. Della stessa opinione è La città dell’uomo di Fossati-Luppi-Zanette, che completa il quadro affermando che :" In sé la marcia su Roma, ovvero il convergere sulla capitale di circa 50.000 "camicie nere", fu una semplice dimostrazione di forza
". Colpo di Stato, dunque. Non la pensa così, invece, la rivista Area che nel numero di ottobre ha dedicato due articoli alla Marcia su Roma. Salvatore Santangelo così conclude il suo articolo "Fu Golpe o moto di piazza?" :"E il governo, così costituito, fu un governo di coalizione, sul modello di quelli dell’Italia liberale, messo in piedi secondo tutte le procedure classiche: nulla di simile a un colpo di Stato". E, a dire il vero, si stenta a trovare argomenti dissonanti. La Marcia su Roma fu indubbiamente una prova di forza, con l’appoggio indiretto della monarchia e dell’esercito, del capitalismo agrario, ma fu anche l’espressione di una radicale volontà di cambiamento. Un’Italia che alzava la testa con orgoglio dopo una vittoria, a torto a ragione, considerata "mutilata"; un’Italia che voleva dare una svolta ad una politica grigia, con frequenti moti di piazza, che viveva il nuovo secolo in un clima di mito della violenza, con un fervore culturale e letterario come forse mai aveva conosciuto. Ricordare oggi la Marcia su Roma? Sì, al di là delle scelte politiche personali, al di là del giudizio consegnatoci dalla storiografia, a favore o contro,fu un fenomeno che concludeva un lungo percorso di gestazione. Ciò che va ricordato è la volontà d’essere protagonisti del cambiamento, la volontà di dare una svolta popolare e sociale.
Antonio F. Vinci
INTRODUZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE
A quasi due anni dalla sua nascita il Barbarossaonline compie il suo primo giro di boa. Rinnovato nella veste grafica, più leggibile, più "stampabile" su carta, grazie alle capacità professionali di Vav (Vito Andrea Vinci), diventa più incisivo anche nei contenuti. Grazie al contributo nuovo o rinnovato di amici come Guido Giraudo, Fabrizio Bucciarelli, Pierangela Bianco, Massimiliano Mingoia, Fabio Pasini, e tanti altri. Insomma una redazione più corposa, più consapevole. Questo numero tratta fondamentalmente della cultura della Destra. Tema quanto mai attuale, presente su molte riviste politiche, ma non per questo abbastanza recepito, specialmente dalla struttura politica. Vox clamantis in deserto
Di scollamento tra la base militante, specialmente giovane, e la dirigenza politica si parla da sempre. Ora cerchiamo di capire meglio il perché. Meno discorsi retorici, più chiarezza; meno autoesaltazione, reducismo, nostalgia e più coscienza critica, e autocritica. Questo vogliamo. Questo faremo, anche negli altri numeri. Il Barbarossaonline è aperto alla discussione, agli interventi, alla crescita di una Destra che non sia solo presente sui rotocalchi rosa o nelle cronache mondane, ma che guardi al futuro, forte degli errori del passato.
Ci rivediamo il 28 ottobre 2002 con il prossimo numero!
Barbarossa
I FINI DI FINI
Gianfranco Fini ha rilasciato al quotidiano israeliano Ha’aretz una lunga intervista in cui, fra l’altro e soprattutto, dichiara :"In effetti, in quanto italiano devo accettare la responsabilità. Lo devo fare a nome degli italiani, i quali portano la responsabilità per ciò che accadde dopo il 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali. Hanno una responsabilità storica, una responsabilità che è iscritta nella storia, e quindi sono tenuti a pronunciare dichiarazioni, a chiedere perdono. Sto parlando di una responsabilità nazionale, non personale". Dichiarazioni che hanno suscitato consensi; ma anche dissensi, per il modo, "da politico" e quindi sospetto; da nato dopo la fine del conflitto mondiale, e quindi non implicato e perciò senza responsabilità. Il Corriere della sera riporta anche una dichiarazione di una fonte del ministero degli Esteri israeliano che, probabilmente in modo inconsapevole, sembra ridicolizzare il vicepremier :" A parte convertirsi e divenire ebreo ortodosso, non si vede quale altro passo debba fare Fini per avvicinarsi a noi". In effetti potrebbe essere un’idea alla quale Fini dovrebbe seriamente pensare, se gli avversari politici non ritenessero sufficienti le sue scuse. Infatti : che vale chiedere il perdono a nome del popolo italiano? Forse solo perché ora è vicepresidente del Consiglio e quindi avverte il peso della rappresentatività? In effetti una bella conversione, ovviamente seguita da una pubblica cerimonia di circoncisione in una sinagoga, metterebbe tutto a tacere
E come dare torto a chi (cioè Massimo D’Alema) afferma che "avrebbe dovuto dire "chiedo perdono in qualità di leader di un partito che è stato neofascista", non parlare in nome del popolo italiano, che non c’entra niente, e neppure del fascismo perché lui non c’era" (Corriere della sera del 14 settembre). E così, dopo l’abiura della statura di statista per Mussolini, dopo l’acquisto come referenti politici e culturali di De Gasperi e di Einaudi, ecco un ulteriore passo di Fini : la richiesta di perdono in nome del popolo italiano! Val la pena precisare, comunque, che Fini, abituato com’è a soppesare con cura le parole, ha chiesto perdono per quegli italiani, e solo quelli, che hanno avuto quella responsabilità storica. Sia ben chiaro subito. Chi scrive, da sempre di destra, da sempre si vergogna come uomo di ciò che altri uomini, fascisti, nazisti o comunisti, hanno commesso nei confronti degli ebrei. E di altre minoranze, religiose, etniche, politiche, culturali. E si vergogna, come cattolico, anche delle persecuzioni commesse nei secoli dalla Chiesa cattolica. E infatti il pontefice ha chiesto perdono più volte. Ma il Papa non è Fini
Il razzismo, come la sudditanza al nazismo, pesano come macigni sul fascismo : ma questo è un giudizio consegnato alla storia. Non vogliamo insegnare nulla a Fini, che è politico intelligente, ora apprezzato anche in campo internazionale, che ha meriti storici per aver traghettato una destra da una nostalgia asfittica verso una destra moderna, europea; che ha chiuso con il passato che non torna e non può, e non deve, tornare. Ma, dopo le ammissioni di colpa, le revisioni, le condanne nei confronti del passato nei vari documenti ufficiali del partito, ad iniziare da Fiuggi, tutto questo parlare sembra oggi superfluo, utilitaristico, fuorviante. La condanna del razzismo è talmente fuori discussione che non vale neppure più la pena continuare a parlarne. C’è bisogno di dimostrare nei fatti d’essere una destra diversa, non nelle parole, nelle condanne, nei recuperi di una cultura politica che non ci appartiene. Ciò che appare è, invece, una destra in cerca di consensi, che corre verso un centro da occupare e che sembra avere come unico fine quello di voler sottrarre la scena a Forza Italia, probabilmente in attesa di prendere - illusoriamente - il suo posto quando si presenterà l’occasione. Per ora semina solo incomprensioni, dispetto, parziali ed ironici consensi, sbandamenti. Questa destra che diventa sempre più "liberale" (in quale accezione, poi?), va perdendo sempre più i suoi connotati . Se è vero che non vogliamo morire democristiani, è anche vero, a maggior ragione, che non vogliamo morire neppure genericamente centristi.
Antonio F.Vinci
IL MARTIRE CHE NON C’E’:
IL FILM SUL GIOVANE CARLO GIULIANI.
Sembra un secolo ormai lontano ma solo un misero anno è passato dai fatti di Genova e del G8 e tutto sembra essere dimenticato nonostante ogni tanto le lettere esplosive facciano la loro ennesima comparsa a firma di questa o quella pseudo organizzazione neo- terroristica. I No Global sembrano rientrati nei loro Soviet del pensiero falsamente liberal- ecologista, i muri imbrattati sono stati ridipinti, il Ministro Scajola si è politicamente suicidato e i Mc Donald ( purtroppo) funzionano sempre e meglio di prima: solo il cinema, in base al famoso assioma "Lo spettacolo deve continuare" non ha dimenticato quel giovane Punkabbestia che perse la vita durante l’assalto ad una camionetta dei Carabinieri con intenzioni non del tutto pacifiche e infatti nelle sale di qualche rassegna si potrà valutare un film che sembra l’operazione cinica di qualche nostalgico di quegli anni "formidabili" che furono quelli di piombo. Non vorrei fare ironia su un ragazzo di poco più di vent’anni che ci ha lasciato la pelle in termini e modi così assurdi ma forse è l’unica alternativa al dramma della strumentalizzazione della vicenda che ha visto Carlo Giuliani presunto "martire" dell’ala estremista dei No Global da santificare e, anche dopo morto, gettare in pasto alle Sinistre che di eroi negativi hanno sempre disperato bisogno. Da qui alle dichiarazioni minacciose della "Brigata Neo Partigiana Carlo Giuliani", alle scritte sui muri, alle dediche tra campeggi e cannabis al film il passo è breve. Bella l’idea di realizzare un evento cinematografico che tratta della vita del "Giovane Carlo Giuliani" che sicuramente non andrò a vedere e questo non perché odi il grande schermo o non mi interessino determinate recenti vicende che mi hanno visto comunque presente ( della serie " Al G8 c’ero anch’io ma da ogni parte e non solo da e per una ") ma sorge spontanea una domanda differente: perché probabilmente nessuno farà mai un film su Marco Biagi o sul giovane Carabiniere che si è trovato costretto a sparare per difendere la propria vita? Perché nessuno proporrà mai una pellicola sui Martiri di Acca Larentia o sui fratelli Mattei? Perché non vedremo locandine su Sergio Ramelli (un Martire e un giovane davvero alternativo, questa volta) se non quelle, comunque destinate a coloro che nei giovani di Destra ricordano, della struggente rappresentazione teatrale? Il sangue è, o dovrebbe essere, dello stesso colore per tutti ma la Sinistra di ieri e di oggi difficilmente potrà essere in sintonia con questo pensiero: figuriamoci gli anacronistici fuori tempo massimo di Rifondazione o i Talebani dei CARC e compagni(a) bella. Eppure la Storia insegna che i massimi criminali del secolo passato, Hitler e Stalin, furono tra i massimi propagandisti dei propri rispettivi mondi: da Eisenstein a Goebbels il cinema fu strumento del regime e veicolo di convincimento, regolatore di impulsi malsani, focalizzatore di odi e feroce atto di fede. Il Nazionalsocialismo, per fortuna, sopravvisse molto meno dei previsti "Mille anni" ma, purtroppo per l’Umanità, il Comunismo per mezzo secolo si impegnò a gettare nei forni della propria ideologia malsana la vita e le menti di milioni di persone. Di altri ne fecero concime, proprio come i loro "colleghi" con la svastica, ma a tutt’oggi nonostante il fallimento totale della distopia rossa, sono ancora molti i retaggi che evidenziano le lezioni sulla propaganda e la manipolazione dei giovani che ancora sono parte integrante delle manovre palesi ed occulte della politica di mezzo mondo. Italia compresa. Cosa si vuole sapere su questo ragazzo che si sia ormai gettato in pasto a molti giovani annoiati e viziati e a ben altri personaggi di parecchio più cinici e furbetti, desiderosi di trovare un senso ad una vita per cui combattere non ha più valore? Cosa aveva di davvero speciale questo giovanissimo Punkabbestia che lo differenziava da quei figli di papà che, per ripicca e per avere almeno un brivido in più, frequentano i Centri Sociali anarco-comunisti (?) con una povera bestia al fianco, che chiedono l’elemosina a fianco dei Mc Donald, che coperti da costosissimi stracci, costosissimi piercing, costosissimi tatuaggi nel loro costosissimo convincimento che per essere "veri" alternativi occorre seguire regole precise, precise gerarchie, precisi punti di riferimento, precisi tipi di droghe, precisi capi. Una volta ho letto in un Centro Sociale, perché prima di giudicare occorre conoscere in prima persona, una frase che diceva "Muori per la Patria, muori per niente": forse è vero ma allora per cosa è morto Carlo Giuliani? Per cosa sarebbero morti quei giovanissimi Carabinieri che, disperati e terrorizzati, si sono trovati costretti a scegliere tra il morire o l’ uccidere? La risposta, questa volta vera e reale, è la stessa: per niente. I Giuliani non volevano uccidere o ferire per un ideale, nemmeno per una passione o persino per un momento di follia decretato da qualche motivazione: lo facevano e lo fanno semplicemente per scaricare semplici impulsi che con la politica nulla hanno a che vedere. E lo sapete che fine fanno i Giuliani dopo le loro avventure nei bassifondi di lusso (mica fanno gli operai in fonderia, i signorini che combattono per una classe che non rappresentano), dopo che anche questo genere di eventi danno loro noia? O si immergono ancora di più negli abissi dell’autodistruzione ( fino alla "roba" e alla tomba propria e altrui) oppure ce li ritroviamo riscattati dai "giri" paterni o materni tutti bellini e ripuliti, macchinone di lusso chiavi in mano, la ragazza giusta, un buon lavoro. E se gli chiedi, come venne chiesto al processo ritardatario agli assassini di Sergio Ramelli, il perché di questo cambiamento, loro ti rispondono " Beh, sa, ero giovane ed ero un po’ scavezzacollo. Ma poi si cresce, si cambia. E poi non mi dica che anche lei ai suoi tempi.".
Eh no, cari miei.
No, Giuliani.
Il film che gli hanno dedicato è un’opera di propaganda a lunga scadenza, un qualcosa che possa in qualche modo sostituire l’invecchiata figura di Fidel, l’immagine ormai commercializzata del Che che non ne può più di vedersi stampato su t-shirt come fosse l’icona di un qualche santo o il testimonial di un detersivo; è il disperato esempio di come anche la morte di "uno dei nostri, un compagno che ha sbagliato" possa essere un lercio sistema per accaparrarsi i voti dei giovani di oggi, degli adulti di domani. Ma stavolta il padre di Giuliani, forse il maggior responsabile della sua drammatica vicenda umana, spero trovi il coraggio di guardare dentro di sé per cercare davvero di capire come si possa morire per il sogno malsano di altri.
Spero, in ogni caso, che facciano un giorno un film sul giovane Carabiniere che ha sparato o chi per lui: quello, di certo, meriterebbe di essere visto.
Fabrizio Bucciarelli
VITTORIA!!!
La strepitosa vittoria di AN a Legnano
Quante volte abbiamo sognato di gridare : vittoria! Un sogno, il sogno, si è avverato. Era già realtà quella del 1997, ma era la vittoria della Casa delle Libertà. Anche questa, certo, ma è soprattutto la vittoria di AN. Legnano si è svegliata il 28 maggio con il partito di Destra come secondo partito della città! Un successo insperato; desiderato, certo, come ogni sogno, ma sarebbe falso dire che ci si aspettava realisticamente un risultato del genere, o comunque di simile portata. La vittoria ha molti padri, spesso virtuali e di convenienza
ma questa volta la vittoria ha i suoi padri, ben visibili e reali : i cittadini legnanesi, che hanno fatto passare AN da un 7,8 del 1997 al 13,51 di quest’ultima tornata. La vittoria è stata il frutto di una lunga preparazione, diciamolo, direbbe qualcuno
Si è lavorato sodo da parte dei consiglieri comunali, da parte dei vertici locali del partito, da parte di tutti i militanti. Non è per dirci quanto siamo stati bravi, ma quale partito ha avuto visibilità come AN in città? E non solo per i banchetti durante la campagna elettorale, ovviamente, ma durante tutti questi cinque anni. Un esempio fra tutti : il 4 novembre ( vedere l’articolo, in archivio, sul n. 6 del Barbarossa, rubrica Legnano). Eravamo gli unici, bandiere al vento, a rappresentare l’Italia politica, l’Italia dei partiti. In piazza San Magno, di fronte al sindaco Cozzi che ricordava i nostri Caduti della prima guerra mondiale, dov’erano gli altri partiti? Solo AN con i suoi militanti, con il tricolore in mano, non la bandiera del partito, rendeva omaggio. AN ha mostrato in tutti questi anni la più sincera lealtà, com’è nel suo DNA, al sindaco Cozzi: una lealtà non interessata, e i frutti si vedono. AN ha recentemente riaccolto nella sua sezione personaggi che hanno fatto militanza nel partito quando essere di Destra era considerata un’infamia, quando non sapevi se tornavi a casa dal lavoro, dalla scuola o da una semplice passeggiata con tutte le ossa sane. Valga un nome per tutti : Franco Falco. Ma tanti, tanti sono gli amici che con modestia, con voglia di fare, sono rientrati nel partito, hanno ripreso a fare politica, e non certo per amore della poltrona. Anzi. E i risultati si vedono. I cittadini hanno votato per AN abbandonando altri partiti, altre liste, locali e non, che forse hanno pagato l’arroganza di credersi troppo sicuri di sé, troppo sicuri di avere il voto dei salotti buoni, della gente che conta : AN ha raccolto voti proprio in quel mondo della piccola borghesia, del proletariato stanco di promesse inutili, di quel popolo verso cui il partito deve continuare a dirigersi. Perché AN continuerà a vincere se sarà Destra sì, ma Destra di popolo. La gente questo l’ha capito. E siamo onesti : temevamo che la gente ci vedesse troppo appiattita verso posizioni di centro, lontani dalla nostra vera tradizione. Invece no : la città di Legnano si è mostrata matura e consapevole, chiara nelle scelte, chiara nell’abbandonare progetti velleitari. AN ha fatto una scelta sull’immigrazione senza alzare i toni, senza prediligere atteggiamenti razzistici, ma con fermezza : la gente ha premiato questa scelta. AN cresce, è cresciuta : ora dobbiamo essere all’altezza del compito che i cittadini ci hanno voluto assegnare.
Antonio F. Vinci
Alle urne, alle urne!!!
Antonio F. Vinci
Ormai ci siamo : domenica 26 e lunedì 27 maggio si va alle urne per rinnovare i Consigli comunali. Anche a Legnano, certo, come in altri paesi e città limitrofi : S. Giorgio su Legnano, Canegrate, Rho. A Legnano la situazione risulta abbastanza chiara
, nonostante tutto. Ecco i candidati a sindaco : Maurizio Cozzi, Emilio Ardo, Marco Turri, Mario Pighetti, Juan Pablo Turri, Angelo Pisoni. Le liste dei partiti : 12. Sotto osservazione e giudizio l’amministrazione uscente, ovviamente. La nostra valutazione non può essere obiettiva : abbiamo sempre sostenuto e continueremo a sostenere questa Giunta, espressione della Casa delle libertà. Ma non si tratta di un sostegno d’obbligo. Riteniamo che questa Giunta abbia ben lavorato e che molto potrà fare ancora per la città. Il sindaco Cozzi si è dimostrato all’altezza della situazione e certi suoi atteggiamenti a volte un po’ ruvidi sono stati solo l’effetto di una considerazione : essere il sindaco di tutti i cittadini e non l’ostaggio dei partiti che lo hanno votato. Ciò - a volte - ha potuto dar fastidio a molti, anche a chi scrive, onestamente, ma a mente fredda bisogna riconoscere che questo giovane avvocato, approdato quasi per caso alla politica, ha saputo onorare con dignità il suo mandato, senza subire trappole e ricatti più o meno velati da parte dei partiti della sua maggioranza. Cozzi è stato il sindaco che ha saputo riconoscere le ragioni delle opposizioni, tanto da far pensare a improbabili feeling con la sinistra
Cozzi è il sindaco, cioè il Supremo Magistrato, che le ha dette chiare in tema di Palio, magari un po’ troppo schiettamente. E la gente non è abituata a queste schiettezze in politica
Ma è un difetto? E’ un limite? Cozzi è stato anche il sindaco che con la sua Amministrazione ha dato molto, e per la prima volta, per il restauro del castello. E ciò gli va ampiamente riconosciuto. Insomma : per essere un sindaco che vuole fare l’amministratore e non il politico, mi sembra che non solo sia perfettamente riuscito nel ruolo, ma che abbia dato anche
una lezione politica. Il sindaco è riuscito a creare una squadra che ha retto bene anche in momenti difficili, mostrando spirito unitario, tenendo conto - come si è detto - delle istanze dell’ opposizione. Ora nella Casa delle libertà è entrata la Lega che, per quanto abbia perso lo smalto e il consenso dei primi anni, costituisce una forza numericamente rilevante. D’altra parte Legnano è un pezzo importante nella storia del movimento leghista. E che le cose vadano abbastanza tranquille per il centro-destra lo dimostrano già i primi sondaggi effettuati in città, con il 50,4% dei consensi a Cozzi: un successo, anche se di misura, che permettere di evitare il secondo turno. Questa Amministrazione si sottopone al giudizio dei cittadini legnanesi con alcuni indubbi successi : dalla soluzione per l’Area Cantoni ai miglioramenti viabilistici ( vera scommessa per una città strozzata dal traffico), dall’avvio ai lavori per il campus scolastico ( atteso da anni) al progetto di teleriscaldamento che sta andando in porto, alla sistemazione dell’area del Castello, al mancato aumento delle tasse. Certo molto, e meglio, c’è da fare, ma finalmente qualcosa si muove. Cozzi è il nuovo, e non solo perché giovane. E’ il nuovo perché ha messo i suoi paletti, ha difeso le sue posizioni contro una politica del cedere a chi urla di più, del compromesso, degli accordi. Forse un po’ ingenuo in questa sua scelta politica, ma vivaddio si respira aria di pulito!
MUSSOLINI NON E’ DE GASPERI
"Mussolini? No, grazie: meglio De Gasperi ...". E’ più o meno in questi termini che il Presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini si è recentemente espresso dinanzi ad alcune telecamere, e buona parte della comunità della destra italica è oggi in rivolta a partire dall’ on. Alessandra Mussolini che sembra inferocita dinanzi a un così grave affronto alla figura del nonno, che rappresenta per tanti quel legame con un passato non tutto da criminalizzare e rinnegare. E francamente non si può dar loro troppo torto, anche se di certo l’ on. Fini forse non voleva essere così categorico, proprio perché lui stesso ha sempre espresso pareri più che benevoli verso il padre del Fascismo; ma la domanda rimane: perché "sputtanarsi" dinanzi a mezza nazione con affermazioni personali così a "rischio" da una parte e così "rassicuranti" dall’altra? "Verba volant", dicevano i latini, ma non sempre le parole sono come fuscelli nel vento, soprattutto per chi non accetta le manovre e le congiure di palazzo, la corsa a poltrone e cariche cui sacrificare tutto e di più, persino l’onore e l’orgoglio, quando non il coraggio, di non lasciarsi suggestionare da una Storia comunque sempre dalla parte dei vincitori e mai dei vinti di ieri. L’obiettivo è la Farnesina o rappresentare l’Italia nei prossimi impegni europei o magari mondiali? O in vista dell’annunciata visita ai luoghi santi a Gerusalemme? Mi sembrano spiegazioni un po’ scontate e facilone anche se una punta di verità potrebbe esistere e soprattutto perché quel ripugnante ambiente che è quello del gioco politico, non quello delle idee, deve far per forza sacrificare qualcosa onde arrivare a determinati obiettivi, ora che si è partito di governo e i propri leader ai massimi vertici delle istituzioni. Qualcosa però non torna nel conto e non intendo solo le parole del Presidente che con questo può aver sottolineato un proprio parere o una battuta o magari una frase da consumato "politico" che deve raggiungere obiettivi prioritari quale il ruolo del centro-destra e soprattutto della Destra all’estero sconfiggendo con questa i tentativi di criminalizzarla da parte delle solite, solitissime sinistre che dell’anti-fascismo militante hanno fatto l’arte della sopravvivenza ora che i loro miti sono quasi tutti scomparsi e che una profonda crisi ne divide le fila. Il problema non è lui, il Presidente di A.N., ma colui che ancora una volta è al centro dell’attenzione e cioè il Duce e la sua controversa figura di rivoluzionario e statista. Un uomo, dunque, con le sue caratteristiche e le sue contraddizioni che però, nonostante tanti tragici errori commessi, per vent’anni è stato oggetto d’idolatria quasi sfrenata e che ha nel bene o nel male cercato di dare all’ Italia un prestigio di cui mai essa ha goduto dalla Roma dei Cesari e che ha forse per la prima e unica volta nella Storia recente, cercato di "fare" gli italiani. Perché ci si scandalizza se si ammira la figura del Duce nei suoi aspetti più costruttivi e non succede la stessa cosa tra coloro che sventolano il libretto rosso di Mao o le t-shirt radical chic di Che Guevara o di Fidel quando non di Stalin e Lenin? Perché non è politicamente corretto analizzare con consapevolezza il percorso di un uomo nato socialista e poi diventato rivoluzionario per poi finire statista e infine delegittimato e fatto penzolare malamente da Piazzale Loreto da quei "partigiani" che in infiniti casi avevano appena fatto sparire le prove che li vedevano fascisti fino a pochi mesi prima? Perché forse il suo fantasma incute timore ben più degli altri esempi storicamente negativi quali Hitler che mai aveva posseduto quell’impeto realmente rivoluzionario del fondatore dei Fasci di Combattimento di cui era emulo allievo, la sua solarità, il suo senso dello Stato visto come Patria e come culla culturale delle masse e non come semplice alternativa al Comunismo o al Capitalismo. E numerose furono le idee di Mussolini statista che lo resero popolare anche tra le classi meno abbienti, che non erano ancora state illuse dalle ideologie che provenivano dall’Est. Un personaggio che, proprio per le sue caratteristiche positive che fino al 1938 erano state entusiasticamente accettate dalla stragrande maggioranza degli italiani e che godevano della stima mondiale, spaventa ancor oggi i burocrati senz’anima dell’ Italietta di ieri e di oggi che vagano nei Ministeri, che scorrazzano nell’ambiente politico nazionale e internazionale, gente educata ad essere servile e a corteggiare poltrone e di certo vuota da ogni punto di vista ideologico. L’Italiano deve continuare ad essere nel mondo, per molti, quello che l’immaginario collettivo vuole che sia: divoratore di pizza e di tortellini, bevitore di grappa e Chianti, cinico e sciuscià, sarto e costruttore di auto di lusso, albergatore e ruffiano, mafioso e arrivista: Mussolini lo rese orgoglioso trasvolatore, scienziato insigne, soldato eroico, perno degli equilibri dell’Europa e del mondo. E questo a molti non piace proprio per una sorta di abitudine alla sudditanza agli altrui interessi, sia interni che esterni, e in nome di un equilibrio che spesso odora di delegittimazione piuttosto che di consapevolezza di sé e del proprio ruolo. Nell’ambiente del giornalismo politico ho sentito inoltre una voce di corridoio che vuole Fini "sacrificare" le sue dichiarazioni e la sua militanza antecedente Alleanza Nazionale, per esser valutato positivamente dagli Stati Uniti con la fortissima comunità di origine italiana e da Israele che fino ad oggi, e in nome di supposte simpatie estremiste inesistenti, ha posto il veto alla visita ufficiale del Vice premier a Gerusalemme. Io ho da tempo sostenuto, quando esse risultavano di interesse per l’Italia, le ragioni di Israele in un ampio contesto geopolitico che ci riguardava anche da vicino ma questa storia non può protrarsi all’infinito con una valutazione eccessivamente severa del ruolo del Fascismo nella tragica vicenda dell’Olocausto. Se sono esistiti i Preziosi, noto antisemita, o i rinnegati che giurarono fedeltà a Hitler, sono esistiti anche i Perlasca che, fascista fino all’ultimo, ne salvò a migliaia dalle grinfie degli Einsatzgruppen e dai campi di sterminio. Se sono esistiti Hitler e Himmler, Eichmann e Muller sono anche esistiti personaggi come Mussolini che nonostante l’ignominia delle leggi razziali contribuirono segretamente alla salvezza di migliaia di cittadini di religione ebraica sia in Italia che in Francia che in altre aree occupate dai nazisti che in realtà ostacolavano. Con questo non si chiede a nessuno di dimenticare ma, al contrario, di ricordare sempre gli eccessi della politica e delle idee viste sotto il loro aspetto più estremo così come gli aspetti positivi dei personaggi che fecero la Storia. Ma farlo significa agire nella ricerca della Verità e non per motivazioni molto meno nobili dettate dalle convenienze del momento. Mussolini, dunque, nonostante tutto.
Fabrizio Bucciarelli