Editoriale

 

Sulla nascita del partito unico ormai s’è detto tutto e il contrario di tutto. La temperatura politica s’è subito alzata solo qualche mese fa all’idea del partito unico, improvvisamente, come una tromba d’aria estiva. Alleanza Nazionale ha organizzato a giugno un Convegno a Milano (vedi Barbarossaonline n. 30 nella rubrica Altomilanese) sulla "cosa" con la presenza di molti qualificati personaggi della politica, ma ancora con qualche interrogativo sui tempi e modi della sua costituzione. Berlusconi annette grande importanza a questo progetto e vuole passare alla storia come colui che ha dato vita a questa creatura, consolidando così il bipolarismo.Tra le forze politiche della Casa della libertà AN ha guardato con sospetto, con attenzione, con curiosità, con entusiasmo più o meno vivo - a seconda delle diverse collocazioni correntizie - questa novità che, sino a non molto tempo fa, sembrava solo scritta nel libro dei sogni.
L’UDC è passata dall’attenzione per la nascita di un rapporto più stretto tra i partiti della CdL alla voglia di riscoprire il centro, e quindi sostanzialmente a dar vita ad un progetto alternativo o per lo meno ad una visione in cui il Centro giochi un ruolo fondamentale.
La Lega è geneticamente fuori e collaborerà come federata, come alleata esterna.
Forza Italia segue la linea del suo capo.
Ma perché unirsi ? Perché fondersi in un’unica realtà, quando la storia delle fusioni politiche in Italia è storia di fallimenti? I matrimoni, anche tra partiti affini come quelli socialisti, sono sempre stata l’anticamera di conseguenti divorzi. Forza Italia vede ogni giorno il calo dei suoi elettori, specialmente nel Sud che, a torto o a ragione, si sente tradito. Il partito unico potrebbe fermare l’emoraggia di voti, la litigiosità interna alla coalizione, marciare più spedito. Sarebbe per la storia della politica italiana un indubbio passo avanti, che verrebbe seguito prima o poi dal centro sinistra, invero molto meno omogeneo al momento. Il nostro Paese si muoverebbe, come altri paesi europei e gli Stati Uniti, secondo una dialettica non più bipolare ma bipartitica. Quel bipartitismo sempre invidiato ma mai realizzato dagli italiani, popolo del "particolare" e non certo delle grandi visioni unitarie, fiero dei suoi mille campanili, contento di camuffare il suo individualismo come difesa della propria identità, che è tutt’altra cosa. Indubbiamente i partiti dovrebbero perdere un po’ della propria identità, o per lo meno delle punte più caratterizzanti la loro diversità. Se si dovesse un giorno giungere al partito unico, nel senso vero del termine, non si può pensare che sia un’accozzaglia di partiti e delle loro correnti: nella migliore delle ipotesi si potrebbe parlare in quel caso di federazione di partiti. Nel linguaggio, sempre pieno di distinguo della politica italiana, si è introdotto anche l’espressione partito "unitario" piuttosto che "unico". E già questo è un’importante novità.
Ma, a prescindere dalle quotidiane spinte in avanti dell’UDC, che al momento in cui scriviamo queste note non sappiamo che fine faranno, quale potrà essere la funzione di AN in una simile nuova entità politica? Certamente AN è il partito più consolidato nel Paese, quello che ha una struttura militante più forte, un patrimonio di valori, una "storia" più caratterizzata. Il timore è quello, ovviamente, di sciogliersi in una sorta di sciroppo mieloso, in un coctail un po’ senza sapore e di un colore inesprimibile. E’ quello che temono soprattutto gli iscritti e gli elettori che provengono dal MSI, quelli che hanno già dovuto accettare, volenti o nolenti, la revisione della propria storia, del proprio passato. AN in questo momento appare, ed è, in difficoltà per i troppo noti motivi interni,ma il ruolo che AN potrà giocare sarà fondamentale. Credo che anche in questo il movimentismo dell’UDC abbia una sua logica.
L’UDC - è il tormentone di quest’estate - vuole un cambio della leadership della Casa della libertà perché altrimenti si va incontro ad una sconfitta certa. Ma credo che dietro ci sia anche il timore che, domani, in un partito unico, ci possa essere una presenza caratterizzante della Destra italiana. Le risorse in uomini, valori, capacità, esperienza politica, ideali sono fortemente presenti in AN. Non si vuol dire che scomparso Berlusconi dalla scena politica, anche se per assurgere ad un altro incarico (si è parlato del Quirinale, ma anche dell’ONU in questi giorni…) , la Casa della libertà cada tutta e subito nelle mani di AN. Ma il "pericolo" per l’Udc c’è: Forza Italia è un movimento politico con la compresenza di diverse anime, non radicato nel territorio, fortemente individualista; Alleanza Nazionale ha un suo vissuto che, pur nella diversità delle correnti, sa trovare un’unità che agli altri, anche agli ex democristiani di oggi, è sconosciuta.
Ma, di fatto, chi potrebbe nelle fila di Forza Italia essere il suo successore? E non intendo un successore pur che sia. Forse potrebbe essere Formigoni che, per essere espressione di CL, è amato ma ugualmente inviso a larghi settori del suo stesso partito. Si tratta comunque di un ex democristiano, più vicino di altri a Casini e Follini. Il nuovo leader potrebbe essere lo stesso Casini o Follini? Ma ve lo immaginate il seguito che potrebbero avere da parte dei militanti di FI o della Lega e della stessa AN? Certo, potrebbe essere Fini, e il ministro degli Esteri, vicepresidente del Consiglio, Presidente di AN, sta probabilmente accarezzando questa idea da tempo, anche con atteggiamenti e uscite che gli hanno creato non poche inimicizie…Ma proprio per questo gli alleati si fideranno?
In effetti, al momento Berlusconi è insostituibile : non esiste nel Polo di centrodestra una figura del suo prestigio internazionale, del suo carisma, una figura che abbia il suo seguito.
Eppure, se il nuovo partito dovesse nascere in un futuro non sappiamo quanto più o meno prossimo, Alleanza Nazionale potrebbe essere l’anima del nuovo partito, del nuovo centrodestra (e senza trattino tra centro e destra, come già si viene affermando sempre di più). Anche per questo l’UDC fa le grandi manovre di allargamento al centro e del centro: per sospingere ai margini, e possibilmente gettare fuori, quella Destra che le dà fastidio. L’ultima prova? Le dichiarazioni di Gianfranco Rotondi, ex Udc e ora segretario della Democrazia Cristiana: "La soluzione perché la CdL esca dalle secche in cui si trova è meno problematica di come possa sembrare: ritorno al proporzionale e una lista ispirata al Ppe con Forza Italia, Udc e Dc" (Libero, 4 settembre 2005).

Antonio F. Vinci

 

In questi ultimi tempi il presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, è sulla bocca, nella mente, ma non nel cuore degli iscritti al suo partito…Per bene che vada ci sono mugugni, venticelli che vanno gonfiandosi come la calunnia della famosa aria del "Barbiere di Siviglia" pronti ad esplodere prima o poi, proprio come un colpo di cannone.
Per molti, ormai, non c’è più nulla da fare : è il "traditore", che per quelli più nostalgici diventa il nuovo Badoglio…L’incompatibilità tra Fini e il partito sta esplodendo sempre di più, ogni giorno di più; e la goccia che ha fatto traboccare il mitico vaso è stata la presa di posizione nei confronti del referendum sulla fecondazione assistita e sulla dichiarazione del carattere diseducativo dell’invito ad astenersi dal voto. Un’affermazione che contrasta addirittura con quanto detto dallo stesso Papa e che ha fatto dire a Publio Fiori: ’’Si e’ verificata un’ incompatibilità assoluta tra quello che sostiene Fini e i valori del partito. Quindi o lui se ne va o annunceremo la morte di An’’.Nel bailamme che si è scatenato dentro, e fuori, AN solo Ignazio La Russa rimane imperturbabile, forte di quella capacità di smorzare i toni più accesi, di essere moderatore, di ricondurre tutto alle sue giuste proporzioni, che da più parti sempre gli è stata riconosciuta come la sua più grande virtù di politico.
Ma già su "Il secolo d’Italia" del 26 maggio Alessandro Campi, a proposito dell’ormai annoso e defatigante problema della cultura di destra, aveva scritto:

In realtà, Gianfranco Fini, che non è un intellettuale ma un uomo politico, in questi dieci anni ne ha fornite di occasioni di vero dibattito a un ambiente culturale vissuto troppo a lungo di nostalgie e di automatismi mentali, incline al sentimentalismo e alla retorica delle frasi roboanti ma spesso vuote, portato ad abusare delle lettere maiuscole (Valori, Patria, Tradizione, Ordine, Onore, Famiglia, Destra) nel segreto convincimento di dare così forza in Europa (e da ultimo sulla fecondazione assistita) ha sostenuto tesi per definizione opinabili, ma di grande significato, pienamente inserite nel dibattito contemporaneo e meritevoli di essere discusse a fondo. Toccando temi di grande delicatezza, Fini ha in fondo suggerito alla cultura della destra italiana la necessità d’interrogarsi su se stessa e sulla propria storia, in vista di un cambiamento che non fosse soltanto di facciata, ma reale e irreversibile, all’altezza dei tempi. Cosa è invece accaduto? Non un intellettuale, tra quelli più o meno vicini ad An, che abbia preso culturalmente sul serio le posizioni di Fini e abbia cercato di dare loro una cornice argomentativa, storica, "ideologica", adeguata. Ogni sua sortita è stata accompagnata, al contrario, da distinguo e mugugni. Da accuse più o meno velate di "tradimento", questa autentica sindrome della destra italiana cogente ai propri argomenti. Lo avrà anche fatto, come si dice da più parti, in modo occasionalistico, seguendo solo il proprio istinto e senza circondarsi di Consiglieri del Principe, ma il percorso che ha delineato, di strappo in strappo, è comunque chiaro per chi culturalmente voglia trarne delle conseguenze. Su fascismo, ebrei, multiculturalismo, immigrazione, dialogo con il mondo islamico, ingresso della Turchia.

Un Fini, insomma, che guarda avanti, che ha capito dopo e meglio di Fiuggi cosa fare della Destra italiana, come traghettarla verso il futuro, anche se la sua voce rischia d’essere ormai la biblica "vox clamantis in deserto".
Un Fini che anticipa i tempi, che rompe schemi, frasi fatte, concrezioni sclerotizzate…Indubbiamente una tesi interessante e, perché no, probabile. Comunque sempre meglio di quella che vede Fini come un traditore, di chi intravede dietro queste uscite … strani giochi, che si chiamano "lista Fini" o nuove formazioni politiche. A noi piacerebbe che questa fosse la realtà: l’algido Fini, che non tradisce mai emozioni, stufo delle incomprensioni all’interno del partito, probabilmente consapevole d’essere il "presidente mastice" ( lì solo perché riesce a tenere buone ed unite le correnti), che decide di fare il battitore libero. Un presidente che provoca, semina dubbi, crea strappi col passato, nell’interesse di un partito che appare ingessato, addormentato. Ci piacerebbe. Ma non è così.
O per lo meno i risultati non sono quelli attesi.
Quello che sta avvenendo non sta facendo crescere il partito, ma piuttosto lo sta indebolendo, all’interno come presso l’elettorato. Non si stanno seminando dubbi che portano a nuove elaborazioni, a fermenti di discussione, a nuove riflessioni : si sta seminando lo sconcerto.
E’ pur vero, però, che a chi obietta che bisognerebbe che Fini almeno dicesse le sue reali intenzioni chiaramente, qualcuno potrebbe rispondere fin troppo facilmente che proprio così, senza preparare l’elettorato, si sortiscono gli effetti dirompenti migliori.
Ma non è così.
Il Presidente di un partito incarna gli ideali, i valori dei suoi elettori; è la loro guida, non il loro maestro, né il supremo sacerdote possessore di verità intangibili, per altro smentendo autonomamente il patrimonio culturale recente del partito stesso.
Non siamo profeti, non sappiamo leggere nell’animo degli uomini, ma non credo che Fini sia né un traditore né uno che lavori per qualcosa fuori di AN. Come ha recentemente ricordato, ma nessuno pare che voglia ripeterlo, la sua storia è tutta iscritta dentro il partito.
Forse Fini vuole veramente scuotere il partito, infliggergli una dose di purgante da cavallo ma, come è fin troppo facile osservare, una dose troppo potente potrebbe essergli fatale. Le diverse "uscite" di Fini forse davvero vogliono portare il partito ad essere più moderno, più laico, più aperto alle istanze che urgono quotidianamente; e quindi meno conservatore, meno legato ad un passato ancora non del tutto metabolizzato. Forse Fini è più avanti dei suoi "colonnelli", del suo elettorato, dei suoi militanti, anzi sicuramente. Ma "il modo ancor m’offende"…Perché, andando avanti così, chi lo seguirà? E non solo all’interno del partito, ma anche in una sua collocazione (a nostro avviso molto improbabile) esterna. Fini nuovo leader post Berlusconi? E a capo di che? Con quali uomini? Chiaramente non lo seguirebbe la Destra di oggi su quelle sue nuove posizioni, né lo accetterebbe un centro della CdL orfano di Berlusconi, perché vedrebbe in lui un leader dai rapidi cambiamenti ideologici, troppo pericoloso.
Capisco il cammino di Fini, anche se non lo condivido del tutto; non capisco e non condivido il suo metodo.Fini a colpi di piccone sta sbozzando la Nuova Destra, ma non sta creando dietro di sé il consenso a questa operazione, anzi sta seminando incertezza, rabbia, scetticismo. Deve portare al raggiungimento di obiettivi chiari per tutti, altrimenti è solo un gioco di provocazioni. Ma di provocazioni … Fini…a se stesse non abbiamo bisogno.
Ma non crediamo di dover insegnare queste cose a Fini…

Insomma, tanto per esser chiari.
Credo che:

  1. Fini sappia fin troppo bene quello che fa;
  2. Fini, al di là di errori tattici, stia delineando, da tempo ormai ma in via del tutto solitaria,la sua concezione della Nuova Destra, convinto che il Partito e i militanti lo seguiranno;
  3. Sia necessario che Fini ci spieghi come e dove vorrà aggregare il consenso dietro queste nuove posizioni che, periodicamente, esterna in via del tutto solitaria.

Una cosa, però, è certa in questa pirandelliana vicenda : nel partito non siamo ancora nella fase della elaborazione, ma almeno si litiga. Litigio dopo litigio un nuovo futuro per AN potrebbe nascere.
Ancora una volta, al di là di operazioni politiche fallimentari, improvvise, incomprensibili ai più…e se Fini avesse ragione…?

Antonio F. Vinci

 

Ancora una volta in ritardo!
Ancora una volta Barbarossaonline esce non rispettando i tempi. Eh sì, perché, alle difficoltà tecniche più volte riscontrate, si aggiunge sempre quella voglia di essere tempestivi, sempre presenti sulla notizia, in un inseguimento che non può che essere inutile e frustrante! Quando il giornale esce è già vecchio, come tutti i periodici d’altronde, battuto dalla radio, dalla televisione, dai settimanali, dai quotidiani. Certo: il nostro è un periodico di riflessione, ma il desiderio di essere sempre aggiornati è il dèmone che ci assilla...Allora? Allora, niente. Scriviamo questo numero in un momento di fibrillazione della maggioranza, e quindi del governo. Andremo ad elezioni anticipate o Berlusconi completerà il suo mandato? Probabilmente il nodo sarà già sciolto quando Barbarossa sarà online; per ora limitiamoci a registrare il terremoto prodotto dalle elezioni regionali.
Che le elezioni sarebbero andate male lo si diceva, lo si sapeva: lo abbiamo anche scritto. Ma così, no. Eppure, nonostante tutto, a quindici giorni dai risultati elettorali appare sempre più evidente ad alcuni che questo era un terremoto annunciato, a non essere direttamente coinvolti. E non parliamo solo di Berlusconi. Girando negli ambienti della Destra lombarda, nostro diretto campo d’indagine per motivi prettamente logistici, ovunque si è lamentata la scarsa presenza di deputati e senatori durante la campagna elettorale. Assenza maggiormente colpevole perché alla vigilia delle elezioni politiche che li vedrà protagonisti, al di là della fine prematura o meno del governo. Non si capisce : in un momento in cui avrebbero dovuto maggiormente essere presenti sul territorio, nei collegi di appartenenza, per riprendere i rapporti con gli elettori. Strane queste elezioni in Lombardia: Milano e la provincia erano tappezzati solo di manifesti di Alleanza Nazionale e, in tono minore, di Forza Italia; la presenza degli altri partiti era appena visibile. E le cariche istituzionali? Nella provincia nord di Milano si è visto in modo significativo solo il neo deputato europeo Romano La Russa. Bene ha funzionato la macchina organizzativa. Ignazio La Russa ha guidato con la solita comprovata capacità la macchina del partito, coadiuvato da uno staff già collaudato da anni. Ma di questo parleremo meglio nella nostra rubrica Altomilanese.
E dopo i risultati? La cosa più buffa è stata il lamentarsi - specialmente da parte di Forza Italia - della scarsa comunicazione che il governo ha dato del lavoro compiuto in questi anni. Ma scherziamo? Non era Berlusconi il Comunicatore per antonomasia? Non è il proprietario di ben tre reti televisive? Qualcosa non quadra.
Non entriamo nel merito dei motivi della sconfitta: di analisi di questi risultati per dritto e per rovescio, dall’alto e dal basso, ne sono state fatte tante. Torniamo alla tesi precedente. Aver ottenuto l’insufficienza da parte degli elettori, come con linguaggio scolastico vanno esprimendosi i vari politici, tutto sommato sta facendo comodo ai partiti della maggioranza, per ripartire sì, ma non tanto per rilanciare il governo, ma per rilanciare se stessi nelle prossime elezioni. Se questa supposizione dovesse essere vera; se questo fare di necessità virtù dovesse rispondere a verità; se si dovesse andare alle elezioni in ordine - almeno apparentemente - sparso per interesse di bottega…beh, questo francamente non ci piace. Non è che si siano volute perdere le elezioni apposta, ma sfruttare la sconfitta - per evitare la quale non si è fatto tanto - per ricollocarsi meglio nello schieramento elettorale…beh, questo francamente non ci piace.
I rimedi prospettatati per la ripartenza - come è ormai nuovo termine politichese - del programma politico con un Berlusconi bis, dall’attenzione alle aree urbane al Sud, al contratto degli statali, ad altro, non erano stati avvertiti prima? Ma davvero dovevamo subire una sconfitta cocente per accorgerci che la gente non era più con il centro-destra?

Antonio F. Vinci

UNO DI NOI... - Numero 28

 

Grande festa a Roma per il decennale di Alleanza Nazionale. E non poteva essere diversamente. Come per qualsiasi partito. Però chissà a quanti dei presenti, specialmente a quelli che provengono dal vecchio MSI, sarà venuto in mente un altro…decennale. Chissà… Il discorso del Presidente Fini è durato un’ora e venticinque minuti. La stampa ha dato rilievo alla sostanziale indisponibilità, momentanea, ad ipotizzare il partito unico, contrariamente a quanto si andava dicendo nei giorni precedenti. E Fini è stato abile, come sempre, nel passaggio cruciale in cui ha voluto segnare il programma per il futuro di AN: "Oggi è chiaro a tutti che l’allargamento passa per una condivisione del programma. Ma l’unica discussione sensata da fare è valutare seriamente se, accanto alla condivisione del programma è possibile dar vita alla condivisione dei valori. Perché il nucleo fondante di una coalizione sono i valori, non il programma. Cerchiamo dunque il nocciolo duro di questa identità di valori, quella sorta di partito degli italiani di cui a volte si parla, che ci porti ad un dibattito non accademico e dimostri un’altra nostra prova di maturità". Allargare, andare oltre. Oltre il Polo. Erano le parole di Tatarella, indimenticato. Ma, come già abbiamo richiamato in più occasioni, bisogna stare attenti a questi "slanci". Slanci che possono essere pericolosi. Si tratta di allargare la coalizione, come sta facendo Formigoni in Lombardia. Ma anche di allargare AN, anche se non sembra giunto il momento. Insomma : AN studia per diventare il partito unico del centrodestra italiano? E a quale prezzo? Riuscirà davvero a raccogliere l’eredità dei voti di Berlusconi, quando dovesse presentarsi l’occasione? Il richiamo, da parte di Fini, ai valori da condividere è certamente la strada migliore. Ma veramente crediamo di poter convivere nello stesso partito con le "guardie padane", gli ex democristiani del partito di Follini, i "forzaitalioti"? Quale sarà il collante di questa grande coalizione? La scelta liberista? Ma la destra italiana non è liberista, o perlomeno non tutta e non nella stessa misura degli altri. Perché se è vero che le differenze possono ostacolare i progetti unitari, sono anche una ricchezza che non può essere trascurata. Ecco perché, pur comprendendo il momento di particolare euforia, lo slancio retorico e carico di significati allusivi, quando Fini rivolgendosi a Berlusconi ha detto : "E ora chiamo sul palco uno di noi…", un brivido mi ha percorso la schiena. No, presidente. Berlusconi non è uno di noi. Senza offesa. E’ un compagno di viaggio, importante, "principale", come dice Storace, ma non è uno di noi. E se Forza Italia ci ha "sdoganato" lo ha fatto solo perché interessavano, ovviamente, i nostri voti. E il pedaggio lo stiamo ancora pagando. Non è moralismo, perché sappiamo che la politica si fa così ed è logico che sia così. Ma che si sia consapevoli di quello che facciamo. Almeno.

Antonio F. Vinci

NEL NOME DI ALMIRANTE - Numero 27

 

Si chiude, tragicamente per le vicende asiatiche, il 2004. Tanti momenti dell’anno corrono alla mente ma per ora chiediamoci : qual è lo stato di salute della Destra in Italia? La recente nomina di Gianfranco Fini a Ministro degli esteri è senza dubbio un momento epocale, mai prima registrato. E Fini si sta muovendo bene nel suo difficile compito; lo sta dimostrando proprio nei giorni dell’emergenza del terremoto. E aveva dimostrato le sue capacità anche nei recenti viaggi in Medio Oriente. Ma la figura di Fini è fuori discussione, per il prestigio che riveste, la stima che raccoglie anche presso avversari, per le sue capacità, per un verificato consenso. E’ il partito, Alleanza Nazionale, che sembra, invece, navigare a vista. E non è il solito piangersi addosso, lamentarsi delle cose che non vanno per (è il caso di dirlo…) partito preso…Il Partito è appannato, schiacciato su Forza Italia (e non da ora), privo di vere iniziative. Anche la piattaforma elettorale della Destra sociale in vista delle elezioni regionali (vedi Altomilanese in questo numero) rivela come tra le preoccupazioni più profonde ci siano questa mancanza di radicamento nel territorio, questo non rappresentare le categorie, questa assenza di meritocrazia che soffoca il Partito. Un malessere che - per fare qualche sporadico esempio - ha portato in questi anni due dei sei consiglieri comunali di Milano di AN a passare all’UDC e al gruppo misto. Ma altrove si notano spostamenti di simpatizzanti e militanti verso altre forze; giovani che preferiscono avvicinarsi al movimento di Alessandra Mussolini o alla Fiamma tricolore; e non ultimo, la perdita della Provincia di Milano, dove un significativo risultato l’ha ottenuto proprio Paola Frassinetti risultando prima degli eletti in AN, a dimostrazione di quanto paghi la candidatura di chi per il territorio ha veramente lavorato. Ma i risultati globali delle provinciali e delle europee parlano da soli.
Da quando lo stiamo ripetendo? Fino a quando lo ripeteremo? E’ indubbio che la partecipazione alla Casa delle libertà ha portato la Destra italiana in primo piano. Per usare un brutto termine, per fortuna ora caduto in disuso, è stata sdoganata. Ma ora ci si chiede sempre più frequentemente: a che prezzo? A prezzo della propria identità, a prezzo della perdita o dell’appannamento dei propri valori, secondo molti. La Destra italiana è diventata una Destra di governo, ma il pericolo è che per ottenere una fetta di potere, anche rilevante, ci si riduca ad essere degli "yes men"; si perda quella caratteristica d’ essere uomini critici, non subordinati al potere in quanto tale; si perda quella volontà d’essere veramente propositivi, rinnegando i valori, gli ideali da cui AN discende. Il ragionamento è vecchio quanto il mondo : essere un "partito-testimonianza", rischiando di tornare alle percentuali elettorali del vecchio MSI o gestire il potere e il sottopotere per cercare di realizzare almeno in parte un progetto di Destra? Il fatto è che l’apparenza sembra testimoniare in buona parte un’assenza di questo progetto.
Se c’è un’eredità che AN non vuole e non può ricusare è quella della scelta morale del vecchio MSI. L’insegnamento di Giorgio Almirante non può essere dimenticato. Ma allora perché dobbiamo leggere le parole di Claudio Magris sul Corriere della sera del 18 dicembre scorso? Perché ci sentiamo giustamente chiamati in causa da queste parole:
"Forse oggi sarebbe necessario un nuovo appello come quello che nel 1919, in un altro momento difficilissimo della storia italiana, Don Sturzo rivolgeva «agli uomini liberi e forti». Sarebbe opportuno rivolgerlo a tutti e in particolare, fra gli uomini liberi e forti, a quelli tra essi che militano nella destra o nel centrodestra, giacché persone oneste e coraggiose si trovano in ogni formazione politica rispettosa delle regole democratiche, a sinistra, al centro e a destra. Fra coloro che fanno parte dell’ attuale coalizione di governo o l’ appoggiano, vi sono certamente molti galantuomini di animo non servile. Essi non sono meno indignati, turbati e umiliati di quanto non lo siano gli avversari del governo dalla recentissima approvazione dell’ indecente legge che abbrevia i termini di prescrizione".
La politica arte del compromesso? Certo, può anche esserlo, ma non sui valori fondanti. Spesso la partecipazione alla politica di questi giorni ingenera disagio, quel malessere che non è il non essere d’accordo su scelte occasionali, ma il mettere in discussione principi di fondo, il nostro passato, la nostra storia, le nostre scelte morali. E per favore: non si tratta di "fare i fascisti", di guardare ad un’epoca chiusa definitivamente sessanta anni fa, improponibile da nessuno e per nessuno. Si tratta, piuttosto, di vivere seguendo il motto di Giorgio Almirante:

"Vivi come se dovessi morire subito,
pensa come se non dovessi morire mai."


Antonio F. Vinci

 

Non si son dovute attendere le elezioni regionali perché i timori espressi nel Congresso nazionale di Nuova Alleanza ( vedi l’articolo in Speciale di questo numero) si avverassero. Il minitest delle elezioni suppletive di domenica 24 ottobre ha confermato i timori. La CdL è precipitata, perdendo in tutti e sette i collegi a favore del centro-sinistra. E’ inutile nasconderselo: sta cambiando decisamente il favore dell’elettorato. Scarsa la partecipazione dei cittadini al voto? Sì, certo; il 40,2 per cento, però non significa che sono andati a votare solo gli elettori orientati verso il centro-sinistra. E se anche così fosse, si vuole giustificare un elettorato di centro-destra che non è andato a votare? E perché non è andato? Certo nel Collegio di Napoli-Ischia la presenza della lista di Alessandra Mussolini ha fatto perdere il candidato della Casa della libertà. E a Milano? D’accordo: c’erano troppi candidati che hanno tolto voti al centro-destra, ma non era un Collegio sicuro? E poi, con tutto il rispetto per il dott. Bresciani, ma perché preferirlo all’ex presidente della Rai Roberto Zaccaria? Solo perché è il medico di Bossi? Insomma c’è anche un problema di candidati da mettere in lista. Alle rimostranze poi della Lega, che si lamenta dell’estraneità di alcune forze della Casa della Libertà nel sostenere il proprio candidato, credo si possa rispondere che è vero solo in parte. Però, però…Perché la Lega si può sfilare alle elezioni provinciali di Milano e presentare un proprio candidato in alternativa alla Colli, aiutandola a perdere; perché corre da sola nelle comunali, facendo perdere la Casa della Libertà; perché a lei deve poter essere permesso tutto e il contrario di tutto, compreso un peso ministeriale inadeguato ai voti ottenuti, e poi permetterle anche di lamentarsi? Perché agli altri partiti della coalizione non deve essere permessa un’autonomia di manovra che diventa freddezza per candidati non graditi, che è comunque cosa ben diversa dal presentare candidati propri come fa la Lega, mentre al partito di Bossi è consentito ben altro? O la Lega è con la Casa della Libertà, sempre, oppure passi all’opposizione. Non sarebbe la prima volta… Ma il "mal di pancia" della Casa della Libertà ha in serbo ben altro. Il centro-destra non riesce a comunicare - e meno male che Berlusconi è un grande comunicatore…- i suoi successi in questi anni di governo; non si riesce a controbattere la campagna del centro-sinistra che sta facendo passare il messaggio di un Berlusconi che in questi anni ha solo pensato a fare leggi per sé. Non è così, ma in politica non conta quello che è ma quello che appare…La gente votava Berlusconi perché sperava che avrebbe fatto marciare l’azienda Italia come una delle sue, cioè bene. La delusione, ora, senza interrogarsi se è stata incapacità piuttosto che la crisi economica mondiale, la litigiosità dei partiti all’interno del Polo piuttosto che il peso di una situazione pregressa vincolante, spinge l’elettorato a vendicarsi della Casa della Libertà. Il passo da un Berlusconi "taumaturgo" ad un Berlusconi che ha solo pensato "pro domo sua" è breve. E AN? AN combatte con le sue correnti interne; con Storace che fa una sua lista e viene contestato a Roma; una conduzione del partito in Lombardia, e non solo, che lascia perplessi molti; un elettorato che lo abbandona sempre di più; un’immagine deteriorata che la fa somigliare sempre più al reggicoda di FI… La strategia di AN in questi anni è stata ondivaga, con un’ alleanza ( come quella dell’elefantino) incomprensibile, con uscite a nostro avviso giuste ma mal presentate ( come il viaggio in Israele di Fini o la proposta di voto agli immigrati). L’elettorato di AN, cresciuto velocemente, è incerto ed ormai tende ad abbandonare il partito. I militanti, vera forza, si dissolvono; le sedi restano chiuse; l’impressione è che si stia trasformando sempre più in un partito della prima Repubblica… A quando un sincero mutamento di rotta? Fino a quando si pensa di poter sfruttare posizioni di rendita? Quanti altri casi come la Provincia di Milano dobbiamo attendere? Non ci bastano più le rassicurazioni di comodo; le belle frasi; le sceneggiate televisive; l’eloquio pacato di Fini ( e che il suo indice di gradimento sia più alto di quello del partito non mi sembra un dato positivo); il tentativo di recuperare immagine contestando il piano di Berlusconi sulle tasse o chiedendo a viva voce un rimpasto. Si crede che l’elettorato fedele resti tale sempre, magari con il mugugno o "turandosi il naso" come diceva Montanelli. Non è più così. Non sono più i tempi in cui l’elettorato permetteva oscillazioni di qualche punto percentuale, non cambiando sostanzialmente il sistema. I barbari sono alle porte e noi discutiamo del sesso degli angeli. O di qualche ministero…

Antonio F. Vinci

 

Il numero di chiusura in vista delle vacanze estive è sempre un po’…estivo: articoli di costume più che di politica, un vago sentore di "tutti al mare, tutti al mare", un soffuso rumore di tormentoni canori estivi, un fuggi fuggi, insomma. Questo numero di chiusura, invece, con la legnata delle elezioni europee ed amministrative ancora ben dolente sulle spalle del centro-destra, porta una gran bella novità : l’autocritica della Destra! Eh sì, ci siamo abituati a trovare alibi di volta in volta ( l’alleanza dell’elefantino era sbagliata; lo zoccolo duro non tiene ed è deluso per certe forzature, anche se subito ridimensionate; il leader della Casa delle libertà tiene costantemente la scena grazie alle televisioni, ecc. ecc.). Ora non più. La Destra fa autocritica, sul serio. E la fa, tra l’altro, da un giornale milanese, Archimede, il cui direttore politico è Massimo Corsaro. Per chi non vive in Lombardia forse vale la pena ricordare che Massimo Corsaro è tra i più attivi ed intelligenti personaggi di AN. E’ stato Assessore regionale all’Artigianato (1995-2000) e dal 2000 è Assessore regionale alle Infrastrutture e Mobilità, con il ruolo di capo della delegazione di A.N nella Giunta lombarda in sostituzione del compianto Marzio Tremaglia. E’ stato - non a caso - il primo politico al quale il nostro giornale ha chiesto un’intervista, proprio sul primo numero, ormai in quel lontano 22 gennaio 2001. Corsaro è uno dei collaboratori più stretti di Ignazio La Russa e proprio per questo la sua autocritica e quella del giornale appaiono ancora più penetranti. Già il titolo stesso del suo articolo di apertura la dice lunga : "Una lezione per la Destra che non c’è. - Non siamo soddisfatti. La coalizione è indecisa, AN oscilla tra rassegnazione e populismo. La Destra dov’è?". C’è da stupirsi di queste parole: chi rappresenta la Destra ufficialmente, che fa parte della corrente maggioritaria, che detiene una delle leve più importanti e significative del potere amministrativo e politico lombardo, si chiede :la Destra dov’è? E`rano domande che eravamo abituati a sentire dalle minoranze, dai "sociali", dai mai domi…Corsaro incomincia con il rilevare che "è finito l’innamoramento degli elettori per il berlusconismo puro, inteso come linea d’azione fondata sul tecnicismo in luogo della politica; sulla capacità comunicativa più che sulla pratica quotidiana; sulla capacità liberista di autoregolazione del mercato e dell’economia più che sulle strategie nazionali e governative". Ma è Storace che parla? No. Sotto quell’articolo c’è la firma di Massimo Corsaro: la Destra lombarda vicina a Berlusconi, quella formata dai berluscones, come li chiamano gli avversari…E più avanti: "Noi di Archimede, lo leggerete anche negli altri articoli, crediamo che il messaggio che ha caratterizzato il partito non abbia pagato perché non ha incarnato la Destra o -peggio ancora - ciò che si attende dalla Destra". Non voglio annoiare i lettori citando a piene mani, né elevare un peana al giornale di Corsaro, ma è quello che volevamo sentire. E lo abbiamo sentito. E lo abbiamo sentito proprio da chi meno ci aspettavamo.E quindi, prima di tutto, stima ed apprezzamento, per la chiarezza delle parole, per la passione che c’è sotto. Il giornale contiene anche un articolo di Alessio Butti che sottolinea come "AN non abbia brillato negli ultimi anni per l’originalità e la chiarezza della propria proposta economica ". Butti sta parlando del suo partito, di AN, del partito che ha fatto defenestrare Tremonti per la sua politica economica…E sapete come conclude? ASCOLTATE BENE. "Siamo in molti a ritenere, un po’ meno a sostenere perché c’è sempre un latente timore di ritorsioni o benevoli cazziatoni da parte di qualcuno, che AN poggi la propria politica sugli spot televisivi e sulle interviste dei suoi leader; che si viva, cioè, sull’effimero e sull’improvvisazione…a volte va molto bene, ma spesso no". INCREDIBILE. Ma forse abbiamo dimenticato chi è Alessio Butti. O si tratto di un omonimo o è quel brillante deputato comasco al quale , come recita la sua biografia nel s`ito omonimo, "nel 1999 Fini (gli) affida la responsabilità nazionale del settore informazione e comunicazione di AN. Continua ad essere il responsabile informazione di AN ". Il peso di simili affermazioni le valuti ognuno di voi. E questo splendido numero 5, anno II, luglio 2004, di Archimede, che dovrebbe essere affisso nelle sezioni di AN rimaste aperte e frequentate, prosegue con un’intervista a Viviana Beccalossi che spera di "far crescere rapidamente al Nord una figura di riferimento capace di affiancare Ignazio. Non possiamo accontentarci di sopravvivere" e con un articolo di Marco Valle che decreta la fine dell’antipolitica, la fine del berlusconismo come è stato inteso ed attuato sino ad ora. Chiedo scusa per le lunghe citazioni, ma si tratta di un avvenimento talmente eccezionale che andava evidenziato in tutte le sue parti, per scongiurare il timore che si potesse credere che chi scrive avesse preso il primo colpo di sole sulla sua rada canizie. Io credo a queste parole: voglio credere. Voglio credere che non sia uno sfogo, peggio: una presa in giro. Voglio credere che ci sia vera voglia di cambiamento quando si dice " ridare identità vera alle istanze della Destra", anche quando si dice di voler sciogliere "l’equivoco di una deriva proletaria ed assistenzialista". Voglio credere in questa Destra che dice di volere solidarietà e non assistenzialismo; che persegue il merito, la libertà d’impresa, il senso etico della famiglia e dello Stato… Voglio credere a queste parole che rivelano come il berlusconismo, nel senso negativo del termine, non ci appartiene; che siamo leali nei confronti di Berlusconi, che ci ha "sdoganati" ( ma è proprio vero?), ma che non possiamo cambiare pelle per un assessorato in più. Voglio credere in questa Destra che si pone il problema della questione settentrionale, del popolo delle partite IVA, ma non dimenticando che AN viene dal MSI, che significa Movimento sociale, dove per sociale non si deve intendere assistenzialismo. Senza diventare retorici, senza scomodare tempi,` personaggi, sigle politiche passate : è nella nostra storia, nel nostro DNA essere il sale della politica, avere il ruolo della provocazione sana e non fine a se stessa. E’ diventato ormai proverbiale dire che non vogliamo morire democristiani: non vorrei che ci accorgessimo che siamo già morti e Lapalisse diventasse il nostro leader.

Antonio F. Vinci

LA LEGA... SI SLEGA - Numero 24

 

Facile fare giochi di parole con la Lega… Ma questa volta è proprio vero: la Lega si slega; si slega dall’alleanza con il Polo nelle elezioni provinciali e corre da sola anche nelle amministrative. Al grido "da soli, da soli", forse un po’ meno guerresco di "Avanti, Savoia!" o "eja eja, alalà", i leghisti vanno al voto. Ma, a dire il vero, il consenso non è poi così unanime, i plotoni sono meno compatti di quanto si creda. Infatti in alcuni centri della provincia quote considerevoli di appartenenti al partito di Bossi hanno deciso la strada della coerenza e si presentano come candidati nelle liste della Casa delle libertà. La conseguenza sarà l’espulsione dal movimento, certamente. Ma questi leghisti, da anni al lavoro con gli alleati del Polo, hanno deciso di continuare la lotta politica con gli alleati di ieri e di non cedere al successo, quasi inevitabile in alcuni casi, della sinistra. Perché di questo si tratta e non altro. Specialmente in quelle città al di sotto dei quindicimila abitanti, dove si vota con il turno unico, che senso ha andare al voto separati? Laddove si attua il doppio turno potrebbe avere senso, pur rischioso, di giocare pesantemente nell’eventuale ballottaggio per ottenere di più, per alzare la posta, ma dove questo non avviene è veramente una tattica, si fa per dire, che ricorda il marito che preferì evirarsi per fare un dispetto alla moglie. E ai leghisti, teorici del "celodurismo", questo confronto, magari non molto elegante, certamente sarà balenato in mente. C’è, poi, chi sostiene che se Umberto Bossi fosse in forma questo non sarebbe successo. Sarà, ma non mi sembra che il senatur brilli per un passato di grande coerenza. E poi i suoi colonnelli si richiamano proprio alla sua decisione, prima della malattia, di correre da soli; non se la sono certo inventata loro questa novità. Il fatto è che la Lega le gioca sempre tutte per stupire, per colpire avversari ed alleati, per tenere desta l’attenzione su un movimento che parla di Roma ladrona, ma nella capitale è al governo, gestendo il potere. Una strategia un po’ levantina, che può divertire per le sue improvvisazioni ma che mostra sempre più i suoi limiti, anche a livello di consenso elettorale. E’ pur vero che molti leghisti restano ancora affascinati da questi comportamenti, da questi salti della quaglia che permettono di salvare l’anima, di farli sentire sempre i soliti, quelli di una volta, che non si sporcano le mani, che restano "duri e puri". Ma fino a quando? Quanti ancora crederanno nel mito della diversità della Lega in campagna elettorale per poi essere a braccetto con gli altri abitanti della Casa delle libertà dopo le elezioni? E così andiamo a queste votazioni tra un panorama confuso, a dir poco, nella sinistra e un centro-destra che vive l’ultimo strappo della Lega. Una Lega che chiede coerenza e mantenimento degli accordi a livello nazionale e poi nelle amministrative lotta per la sua identità lasciando in "brache di tela" gli alleati. Perché, non ci vuol molto a capirlo, vero, che l’insuccesso della Casa delle libertà sarà anche l’insuccesso della Lega, pur mantenendosi nella sua virginale e incontaminata aura di purezza.

Antonio F. Vinci

Chi è Barbarossa?

L'ombra di Federico I di Hohenstaufen, il Barbarossa, appunto, si aggira tra le nostre contrade , da quando a Legnano venne sconfitto dalle truppe dei Comuni alleatisi nella Lega lombarda. L'imperatore aveva cercato di difendere le sue terre da quei Comuni che volevano la libertà, aveva cercato di tenere saldo l'Impero, ma non poteva andare contro la storia. Aveva accarezzato il lungo sogno di restaurare il... Continua >>

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