Editoriale

LA SCUOLA, LA RIFORMA E LA GIOVENTU’ DI DESTRA
In questa fine d’anno ad occupare le nostre giornate non c’è stato solo l’avvento dell’euro (con le inevitabili file degli italiani per accaparrarsi per "primi" il kit di monetine: il nuovo gioco popolare…) o la trionfalistica scoperta che siamo più "civili" (non ci sono stati morti per scoppi di petardi in questo capodanno, ma solo centinaia di feriti…). No. Ci sono stati anche gli Stati generali della scuola, per altro spostati all’ultimo minuto da Foligno a Roma per timore della piazza studentesca. La scuola : la grande malata, come spesso viene definita. E di questo qui si vuol parlare. Non entro nei dettagli delle 87 pagine del Rapporto del Gruppo ristretto di lavoro, la cosiddetta Commissione Bertagna: vorrebbe dire proprio iniziare l’anno con una mazzata. Ma vorrei mettere a confronto due documenti che, pur diversi tra di loro, analizzano il Rapporto in questione mantenendosi su linee generali, anche se fondamentali. Il primo è l’articolo, pubblicato sul sito Educazione&Scuola, di Raffaele Iosa, ispettore tecnico del MIUR, dal titolo: "Bertagna/Moratti: ovvero tra Erode e Iva Zanicchi". Il secondo è il "Documento rivendicativo sulla scuola di Azione studentesca", l’organizzazione giovanile di AN. Una prima battuta polemica : il documento di Azione studentesca è circolato in internet sulla ML di AG, con preghiera di diffusione, ma non ha ottenuto alcun commento da chicchessia. Forse il documento era eccessivamente lungo per essere letto e discusso con attenzione ( non più di tanto, invero) o forse i giovani di Destra sono più facilmente portati agli scontri verbali per il "camerata Priebke" piuttosto che per donna Letizia… Comunque l’articolo di Iosa mette subito il dito sulla piaga a proposito del documento Bertagna: "E’ il primo esplicito manifesto pedagogico di una nuova destra reazionaria, rimasta carsica e rancorosa dagli anni 60 in poi, che riemerge approfittando di un "ritocco" ad una legge, verso un nuovo modello pedagogico, oggi assente nel paese: la scuola come nuova e più raffinata selezione sociale. La scuola di massa della selezione". Punto. Neanche ci trovassimo di fronte ad una nuova Riforma Gentile ( che, fra l’altro sta vivendo una stagione di grandi riconoscimenti da parte di intellettuali marxisti ; a questo proposito si legga l’articolo di Pasquale Chessa, "Riforma Gentile, tutto il resto è un’imitazione", in Panorama del 13 dicembre). Ci troveremmo di fronte, quindi, ad una nuova forma di selezione, tanto temuta dalla sinistra quanto desiderata dalla destra; ma nella piattaforma dei giovani di destra non mi pare che si faccia alcun riferimento a ciò. Silenzio assenso? Boh. Iosa non esita a richiamare alla memoria il mito di Erode, passando per Iva Zanicchi…invitando a leggere il documento Bertagna "lasciando sullo sfondo l’architettura organizzativa, meno interessante". Ma per lui il massimo lo si raggiunge quando il documento del MIUR parla di "equità", un paragrafo a sé stante. Lì, partendo da don Milani, si registra per l’ispettore tecnico il capovolgimento più completo di quanto espresso dal sacerdote di Barbiana. Si tratterebbe, infatti, della nascita di un "conservatorismo compassionevole" : "Non c’è redenzione in questa teoria, non c’è speranza, non c’è sogno, c’è solamente paura delle società aperte, c’è involuzione culturale ed economica che pagherà il paese tutto…".E via discorrendo, sottolineando che "altro che le tre "I", qui ci sono le tre "S" : selezione, selezione, selezione". Nel documento di Azione Studentesca ci sono ampi riconoscimenti alla validità del documento, ma si rintracciano facilmente pure critiche severe, come quelle riguardanti il voto di condotta o la struttura degli organi collegiali o la rappresentanza degli studenti a livello nazionale. Insomma sembra quasi che la preoccupazione maggiore sia per certe garanzie che salvaguardino atteggiamenti movimentisti piuttosto che la scelta didattica e pedagogica generale. Con questo non volendo certo negare l’importanza e la fondatezza dei dubbi espressi. Allora, fermo restando che su queste pagine apriamo il dibattito sul problema della scuola e che ci riserviamo di intervenire di nuovo in prima persona analizzando gli aspetti più qualificanti dell’ipotesi (perché di questo si tratta) elaborata dalla Commissione Bertagna, ci sembra importante che la gioventù di destra si apra ad un vero e proprio dibattito. Non polemiche sterili dettate da acrimonia verso la scuola privata (o pubblica, a seconda dei casi); non solo questioni riguardanti la "rappresentanza sindacale" negli organi collegiali per la componente studenti; ma affrontare direttamente la questione, perché se si crede che è in gioco - senza retorica - la nostra civiltà, il nostro modo di vivere la vita, ebbene che ci sia anche una riflessione più alta.

Antonio F. Vinci

L’ITALIA S’E’ DESTRA: ANCHE LE FORZE ARMATE ITALIANE AL FIANCO DEGLI ALLEATI IN PRIMA LINEA CONTRO IL TERRORISMO ISLAMICO

L’ Italietta degli Italioti, razza e sistema di pensiero diffusissimo dalla fine del secondo conflitto mondiale e composto per lo più da macchiette in stile ragionier Fantozzi, la cui realtà nasce e finisce nel proprio cortile di casa, avrà avuto un sussulto di orrore quando il Centro Destra, ma anche una larghissima fetta di opposizione della Sinistra ha deciso di inviare un contingente militare delle quattro Armi (Esercito, Aviazione, Marina e Carabinieri) per dar man forte alle Forze dell’Alleanza nella guerra contro l’Afghanistan e quegli studenti di Allah che tanto hanno fatto per sostenere Bin Laden. Saranno dunque dispiegate unità navali, circa 1400 uomini, tra cui l’ammiraglia della nostra flotta denominata "Garibaldi" con velivoli a decollo orizzontale e verticale Harrier, varie altre fregate e unità di supporto logistico e di difesa di cui alcune forse già nell’area; l’Aviazione fornirà dai 6 agli 8 cacciabombardieri Tornado un C130J da trasporto, un B707 da rifornimento e da un’ altra unità di supporto, che però sembrano per il momento destinate a operazioni di ricognizione e di base in aree con adeguate strutture aeroportuali in Uzbekistan, Oman o persino Russia o Turchia. Complessivamente, il numero dei militari dell’ Aeronautica impegnati sarà di 300 unità.

Le Forze di terra saranno composte da quattro elicotteri d’attacco Mangusta e di circa 1000 militari che verranno impiegati in una fase successiva con compiti di scorta armata alle operazioni umanitarie, con un nucleo centrale costituito da un reggimento dotato di blindati Centauro, una compagnia di Fanteria leggera, una del Genio, sei Team per la bonifica di ordigni esplosivi, un’unità per il supporto logistico, una compagnia per la guerra nucleare, batteriologica e chimica e una compagnia di Carabinieri Paracadutisti.
Il comando delle operazioni sarà responsabilità diretta del Capo di Stato Maggiore della Difesa, cui spetterà il controllo delle forze militari nazionali. A lui resterà comunque la piena autorità sui nostri reparti e delegherà l’impiego delle nostre forze armate al comandante in capo delle operazioni. Al Comandante dell’Alleanza verranno assegnate di volta in volta le unità individuate per incarichi precisi ma solo quando dette unità avranno raggiunto le rispettive basi. Un numero abbastanza esiguo di personale e di mezzi, se si pensa allo sforzo di altri Alleati, ma fondamentale per l’impegno dell’Italia dinanzi alle proprie responsabilità nazionali e internazionali all’interno di un contesto quale l’Europa di cui siamo parte integrante, ma spesso non correttamente valutata.

I commenti all’interno della sfera politica sono stati incoraggianti, eccezion fatta per i Verdi e Rifondazione Comunista che, bastian contrari per natura e fedeli alle propri distopie, vorrebbero salvare capra e cavoli con frasi ad effetto quali quelle dell’On. Bertinotti che dichiara "Convergenza disastrosa: la guerra contro il terrorismo non si combatte con una guerra generalizzata contro l’Afghanistan" o dell’On. Pecoraro Scanio che definisce inutile anzi dannosa la risoluzione militare e il relativo coinvolgimento dell’Italia nelle azioni belliche.
Sono ancora inferociti, questi personaggi e relativi partiti minoritari, da quando il precedente Governo di Sinistra su pressioni del Centro Destra e dell’opinione pubblica mondiale fornì il necessario supporto tattico contro il "Compagno Milosevitch" che aveva fatto terra bruciata attorno alla sua "Serbia -Razza Eletta", con stragi che lo avrebbero portato in catene e umiliato dinanzi al Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra e contro l’umanità. Ricordo la maturità di AN e genericamente di Forza Italia tutta nel dichiarare che quel nostro impegno in guerra avrebbe salvato moltissime vite, che da quella guerra sarebbero uscite come vittime designate dal nazismo-comunismo serbo. Oggi quello "scotto" sembra essere stato pagato da quell’opposizione che certo non ha lesinato nei mesi a venire le tradizionale stoccate a questo governo "Fascistoide" e "Cileno", come il piccolo Stalin Bertinotti ha dichiarato a suo tempo.

A dar invece manforte al Governo di Centro Destra e alle sue decisioni è l’On. Rutelli che dice " Non scegliamo di non scegliere. E’ una guerra contro il terrorismo e non contro i Paesi Arabi moderati che invece vanno sostenuti nelle loro politiche e nelle loro scelte. Una scelta giusta che vede l’Ulivo accanto ai nostri militari e con noi il Governo e la maggior parte del Parlamento".

L’On. La Russa di Alleanza Nazionale, decisamente meno politically correct, accetta a malapena la demagogia di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani, a cui aderiscono quei Verdi ormai corrotti dal fascino dei vetero-rossi (che di Natura ne hanno distrutta parecchia in un solo secolo a questa parte...) individuabili tra i banchi del Parlamento per la demagogia di certe affermazioni ovvie. Gente come l’On. Bertinotti che come al solito si estranea dalla decisione giusta di buona parte del Parlamento, crede erroneamente che un pacifismo di maniera e sempre di parte sia un’espressione di una vera possibilità risolutiva dinanzi a uno stato di guerra già dichiarato dal terrorismo. E dai banchi qualcuno urla un "Taci ...cretino!" e scatena la relativa battuta di La Russa che non vuole essere interrotto e che ordina "Sta zitto tu..Taci!"; ma si sa che i nostalgici di Baffone e relativi accoliti vedono la democrazia come un governo di molti. Sì, di loro. Più accomodante l’On. Fassino dei D.S. che esprime rispetto per la decisione di chi espone dubbi e dissenso facendolo per ideali non meno nobili di chi sostiene invece la scelta interventista e dichiara che " L’11 Settembre il terrorismo internazionale ha effettuato un drammatico salto di qualità e ogni essere umano avverte che senza una reazione adeguata, tutto potrà di nuovo accadere. Si rende necessario legittimare l’uso della forza nel rispetto dei diritti collettivi dell’intero consorzio umano. Cinquant’anni or sono una generazione prese in mano la responsabilità di una guerra, quella di Spagna, per cercare di farne finire un’altra e per questo crediamo che l’intervento di una coalizione contro il terrorismo sia lecita e giusta anche se mai deve sfuggire l’alternativa politica e diplomatica per sconfiggere chi con la violenza nega alla politica la possibilità di risolvere i problemi del mondo". Sarebbe stato meglio aggiungere che, se da una parte c’era chi sacrificava la propria vita per combattere i Fascismi quali quello spagnolo cui non mi sembra di dover imputare granchè e che rimase tra l’altro estraneo al secondo conflitto mondiale, altri generosamente combattevano e morivano per fermare l’avanzata di quell’URSS dei Soviet che assieme al Nazismo rappresentò la metà di una delle più terribili deviazioni criminali umane della Storia stessa. A ognuno il suo...
Logica la soddisfazione dell’Alleanza, e degli USA in particolare, ma anche dei paesi europei che con l’intervento dell’Italia scoprono in noi la volontà di combattere efficacemente contro l’ondata terroristica non solo con vaghe parole e con manifestazioni di piazza ma con la determinazione dei fatti. Un importante momento, forse persino di carattere storico che vede, come per l’intervento militare contro la Serbia di Milosevitch, un’importante comunione di intenti tra le opposte fazioni politiche di maggior risalto in un atto che porrà l’Italia di fianco alle nazioni Alleate verso un impegno gravoso e di probabile lunga durata nel contesto di un conflitto che ci vedrà militarmente impegnati in prima persona.

Fabrizio Bucciarelli

E’ iniziata l’Era Moratti!

Dopo Berlinguer, dopo Tullio De Mauro, eccoci al ministro Letizia Moratti; dopo "il fratello", dopo "lo studioso", ecco "la manager". Ed in effetti il neo ministro ha l’ esperienza, il piglio, la stoffa del manager. Inappuntabile nei suoi tailleurs, ricorda un po’ la Pivetti prima maniera. Il ministro ha iniziato con piglio deciso: già il mutamento del nome del ministero (non più della Pubblica Istruzione, perché l’istruzione è tale e basta, ma Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), ma poi il blocco dei cicli, l’attenzione nei confronti della scuola non statale, la politica delle economie sul personale, gli aumenti di stipendio per i presidi, pardon: dirigenti scolastici, hanno fatto subito sentire una musica diversa. Ma, ovviamente, non è piaciuta a tutti. Così minaccia di scioperi generali, contestazioni, manifestazioni di piazza. E la Moratti ha ceduto praticamente su tutta la linea. La prima considerazione che verrebbe da fare è che siamo alle solite. Invece, questa volta, il cedere è stato un giusto riconoscimento alle giuste rivendicazioni del mondo della scuola. Perché qui hanno ragione un po’ tutti: la Moratti fa notare che il 95% dei fondi destinati alla scuola è costituito dagli stipendi ed è una cifra che va ridotta all’80% nel giro di cinque anni; d’altra parte lo stipendio degli insegnanti è tra i più bassi, non certo di livello europeo, ma è anche vero che le ore lavorative (almeno quelle effettivamente prestate a scuola) ci pongono in ultima posizione tra gli altri paesi. Insomma: non si va da nessuna parte se non si compiono riforme strutturali. Non si può continuare nella solita politica italiana della coperta troppo corta, che viene tirata da una parte, ma scopre contemporaneamente un’altra. E, comunque, era giusto reinvestire nella scuola i 2 mila miliardi risparmiati. Ma la scuola soffre di altri mali, purtroppo. Le riforme potranno aiutare, sicuramente; i nuovi programmi (o la riduzione delle materie da studiare) con l’aggiunta delle esperienze in stage saranno più efficaci; tutto quello che si vuole, ma altri, anche altri, sono i mali della scuola. Le retribuzioni più adeguate serviranno, certamente, e come no; ma non facciamoci illusioni: non saranno mai tali da reinventare una professione. Perché di questo si tratta: reinventare una professione, che non vuol dire solo professionalità. Cerco di spiegarmi. La professionalità in buona parte c’è già; viene rafforzata con i corsi di aggiornamento, i seminari, i corsi abilitanti, la programmazione, il POF, i Consigli di classe, i Collegi docenti, ecc. ecc. Eppure il ruolo dell’insegnante resta sempre frustrante. Non si contano più le statistiche, gli studi, le ricerche in merito. Ma, perché, veramente si crede che se, così, su due piedi, si aumentasse anche di colpo lo stipendio di 500.000 lire nette (per 800.000 docenti; provate a fare un po’ di calcoli…), ma sì, facciamo pure di 1.000.000 al mese e si passasse dalla retribuzione mensile media di 2.300.000 a quella di 3.300.000 cambierebbe molto? No! Ciò, però, non vuol dire : allora, tanto vale…Assolutamente, no. Il conseguimento di una retribuzione più dignitosa, meno offensiva, tale che non si possa dire che la retribuzione oraria è inferiore a quella di una collaboratrice domestica (ma almeno uguale…) va perseguito. Ma altra è la strada. Oltre il sacrosanto adeguamento degli stipendi, bisogna capire che la funzione docente non è più quella di prima, perché ha perso il suo smalto, il suo significato originario. Certo, si scopre l’acqua calda. Si sa che non è più come una volta: nel paese contava il sindaco, il notaio, il parroco, il maestro (era permessa qualche variante): giusto quattro o cinque personaggi per una partita a scopone! Ora i tempi sono cambiati, ma anche perché è cambiata - ovviamente - la società e il ruolo sociale del docente è mutato, ha perso peso. Ma i ragazzi, magari con il percing, sono pur sempre persone, esattamente come una volta, persone cui guardare con attenzione, con passione, col cuore e non solo con la scienza appresa e mal o ben ripetuta in classe o con la consapevolezza del portafoglio vuoto… Avere il senso del proprio lavoro, che è specifico, che non è confrontabile, che non potrà avere mai un’adeguata remunerazione, perché non è veramente remunerabile. Quanto costa essere una madre, parlare come un amico, crescere insieme… Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo. Come tecnici del sapere, come trasmettitori di sapere - o, meglio, aggiornati dalla nuova didattica, come tutor dei nostri ragazzi - l’adeguamento economico va perseguito. Ma non c’è adeguamento che tenga per essere fino in fondo educatori. E’ questa la magica parola. Parlare di "missione" fa venire l’orticaria ai professori (eppure è tale almeno per lo stipendio che si riscuote a fine mese…); ma è proprio quel senso di missione che si è perso. Perché non avere il coraggio di dirlo?

Giosafatte

Editoriale - Numero 04

Dopo una lunga interruzione, rieccoci!
La pausa era dovuta alla chiarita necessità di registrare il periodico presso il Tribunale. Il che è avvenuto. Ora siamo nuovamente pronti a riprendere il nostro cammino. Quante cose sono capitate nel frattempo!
In politica interna c’è stato il successo elettorale della Casa delle Libertà e la nuova politica del Paese, ma anche il G8 con tutte le sue conseguenze morali, politiche, sociali. In politica internazionale l’immane tragedia degli USA. Quelle immagini resteranno nei nostri occhi per tanto tempo ancora e, davvero, nulla sarà più come prima; forse più di quanto si possa pensare, o temere.
Riprendiamo il nostro cammino nell’incertezza generale che ci domina: la paura del terrorismo, i mercati finanziari in balia delle speculazioni, la recessione dietro la porta.
www.barbarossaonline.com continuerà ad essere la voce della Destra che si interroga sui problemi del giorno, senza però pagare pedaggio a questo o a quel personaggio, a questa o a quella corrente. E non saranno solo i grandi temi ad interessarci: aperti alla collaborazione di chi vorrà, riconoscendosi nelle nostre pagine, ci occuperemo anche - come scelta editoriale - di Legnano e zona, nelle pagine ad esse dedicate.

Antonio F. Vinci

Mons. Galli, lo Statuto della città e i legnanesi.

Mons. Carlo Galli, prevosto di Legnano, ha rilasciato ad Alberto Colombo, in Luce del 18 febbraio, un’intervista che forse non è stata presa nella sufficiente considerazione. Tra l’altro il prevosto ha detto, riferendosi al precedente Statuto della città di Legnano : "Rispetto a quanto chiesto nel 1991, il problema casa rimane urgente e irrisolto in virtù dei nuovi risvolti dello sviluppo, del lavoro e della nuova immigrazione. Occorre favorire l’edilizia, ma anche investire nella cultura dell’accoglienza che a Legnano è scarsa : e si può anche discutere perché. E occorre investire in edilizia con costi accessibili al cittadino medio".
E più avanti : " Non solo il Comune si deve muovere, ma anche i legnanesi. Perché se uno stampa e nessuno legge, tanto vale. C’è bisogno di interessarsi dei problemi anche quando sono fuori di casa e non solo quando entrano in casa propria".
Mons. Galli è figura autorevole nella città, non solo per il ruolo che ricopre ma anche grazie all ’ equilibrio con il quale esprime le sue valutazioni. Il suo impegno a favore dei più deboli, degli immigrati, dei senza casa è noto e questo richiamo ad una maggiore concretezza fatto agli amministratori pubblici non deve cadere nel vuoto. A dire il vero non si può affermare che l’Amministrazione legnanese sia del tutto lontana da questa posizione, ma forse un richiamo ad una maggiore attenzione non è inutile. D’altra parte è proprio di questi giorni il segnalato ritardo per quanto riguarda i lavori in via Ticino, probabile sede di un centro di accoglienza per immigrati e senza casa ( significativo l’articolo su La Prealpina di domenica 4 marzo, a firma di Luigi Crespi, Indietro tutta sul centro di accoglienza ). E che lo stesso assessore ai servizi sociali Fiorenzo Battaglioli affermi che " il progetto è ancora in alto mare" non fa bene sperare per l’immediato. La città sta attraversando un periodo di grandi mutamenti, culturali, imprenditoriali ed urbanistici; spiacerebbe che si avesse l’impressione ( per altro già venuta fuori al tempo della grande tragedia degli immigrati arsi vivi nell’area Cantoni) di una città egoista, che pensi solo a se stessa, alla ricca borghesia ( o a quel che ne resta…) dimenticando gli emarginati, i più poveri, gli immigrati. Infatti è stato presentato proprio in questi giorni in municipio il Programma di Recupero Urbano della città da parte dell’assessore al Territorio Carmelo Tomasello : si tratta di sei miliardi che saranno utilizzati per il recupero di edifici popolari costruiti negli anni attorno alla guerra e per l’ampliamento dai 210 alloggi attuali a 280.
Bene ha fatto mons. Galli a richiamare non solo il comune, ma anche i cittadini legnanesi ad una maggiore attenzione a quanto avviene fuori casa. Certo l’impegno sociale richiede fatica, ma nella città si vive tutti assieme e l’appello ad una maggiore partecipazione non può che far bene. Si avverte, però, un senso di amarezza nella conclusione dell’intervista quando il prevosto dichiara:" La cultura non è solo commemorare le grandi radici, ma mettere le mani nei problemi. Mi ha colpito nello Statuto la descrizione dello stemma della città dove i simboli parlano di vigore, gloria, vittoria, potenza, grandezza : i gonfaloni hanno senso se garriscono al vento non solo per celebrare il passato, ma anche per impegnare l’avvenire". Legnano è diversa dalle altre cento città proprio perché ha vivo questo ricordo del passato che, certo, non deve essere semplice rievocazione, occasione per sfilare in costumi medievali, motivo per pavoneggiarsi sguainando una spada. Le contrade di Legnano non sono solo custodi di un patrimonio culturale e storico, ma anche luoghi di aggregazione, momenti di unione tra persone con storie e culture diverse. Indubbiamente la vita di contrada è per alcuni solo occasione per mostrarsi in vetrina. Ma non è così anche per altre occasioni, politiche, sportive, religiose ( non è nel Vangelo che si parla di farisei e pubblicani?), conviviali o per il semplice passeggio, lo "struscio", cittadino? Per molti, invece, la vita in maniero è momento di crescita, di lavoro oscuro e scarsamente gratificato, anche di esborso economico. Che sarebbe Legnano senza il Palio? Una città dormitorio come tante altre attorno. La vita delle contrade, invece, permea di sé la vita della città tutto l’anno, con l’esplosione di gioia e di festa nel mese di maggio. Certo - come dice mons. Galli - "sarebbe bello se i grandi temi del passato di Legnano diventassero servizi coraggiosi per il presente", ma non si può che attendere e nel frattempo seminare. Forse non sarà dato a noi raccogliere il frutto di questa semina, forse bisognerà attendere ancora , ma la viva, la generosa, la "storica" città di Legnano risponderà. Anzi : sta già rispondendo.

Antonio F. Vinci

Editoriale - Numero 02

Elezioni, elezioni. La lunga campagna elettorale in vista delle elezioni politiche è incominciata da un pezzo con colpi bassi, insinuazioni, timori, nascita di nuove aggregazioni, gente che va e gente che vien… La coincidenza, poi, con le amministrative non sta rendendo certo il clima più chiaro, anzi. Ma che avverrà in quel di Legnano? Sia alla Camera che al Senato Legnano dovrebbe essere appannaggio della Casa delle Libertà, ma non si sa mai. A dire il vero è piuttosto improbabile una sconfitta del Polo sul nostro territorio tenendo conto che qui il Polo ha lavorato e lavora bene, grazie ad una Giunta che sta realizzando piani - specialmente nel settore urbanistico ad opera di un assessore, come Carmelo Tomasello, che sembra una forza della natura - di tutto interesse. Anche la vicenda Ansaldo, o Tosi come dir si voglia, pare finalmente giunta ad un momento di maggiore serenità. Certo restano ancora sul tappeto non pochi problemi, primo fra tutti quello della sicurezza e della migliore allocazione degli immigrati sul nostro teritorio. E su questo si giocherà, probabilmente, una delle partite più importanti nel prossimo futuro. Ma parliamo di candidati. Alla Camera il Polo dovrebbe schierare Luigi Casero di Forza Italia, già assessore al bilancio a Legnano ed attuale assessore con lo stesso incarico presso il Comune di Milano. Una figura indubbiamente nota e gradita ai legnanesi ed anche una persona che porta un bel bagaglio di esperienze. Al Senato - che comprende anche il bacino di Rho - dovrebbe essere candidato Giuseppe Valditara di AN, attuale assessore provinciale all’istruzione e all’edilizia scolastica. Valditara in pochi mesi di assessorato, avendo preso il posto di Angelo Ruggiero solo nel giugno scorso, ha fatto probabilmente quanto non sono riusciti a fare per parecchi anni i suoi predecessori: l’avvio del campus degli Istituti Dell’Acqua - Bernocchi ( per un costo che si aggira sui 50 miliardi), l’erogazione di altri miliardi per le scuole di Parabiago, di Rho, di Inveruno ( 7 miliardi e 860 milioni); l’avvio di un piano, con l’aiuto di carabinieri in congedo e dei City Angels, di prevenzione della violenza presso le scuole; l’atteggiamento di attenzione nei confronti dei docenti, fornendo loro l’opportunità di servirsi di piccoli studi multimediali nell’ambito delle proprie scuole, come pure il progetto di offrire loro degli incentivi per l’aggiornamento. Valditara ha a disposizione 630 miliardi, questo il budget della Provincia, e non sta lesinando denaro per le opere scolastiche nella nostra zona. Si parla anche delle candidature delle altre forze politiche, ma ancora nulla è veramente deciso, tranne che per la Lista Di Pietro, che presenterà alla Camera Roberto Borgio e al Senato Vincenzo Calbi. E la Lega? Silenzio. Non pare che la Lega abbia fatto particolari pressioni per candidare un suo rappresentante nel nostro Collegio nell’ambito della Casa delle libertà. E per essere Legnano, la città del Carroccio, la città simbolo di Alberto da Giussano, appare perlomeno strano. C’è da dire che il prossimo anno ci saranno le elezioni amministrative e qualcuno già ipotizza una candidatura leghista per la poltrona di sindaco. Potrebbe essere Roberto Legnani, capogruppo a Palazzo Malinverni? Legnani è persona degna ed equilibrata, indubbiamente una figura presentabile. A meno che non si tiri fuori qualche altro nome, al momento non ipotizzabile, dal cilindro leghista. E Marco Turri ? L’architetto non è certo personaggio che resti a guardare dalla finestra e qualcosa s’era detto d’una possibile candidatura nell’ambito della Casa delle libertà. Comunque qualche indicazione utile potrebbe venire anche dai risultati delle prossime amministrative in un comune, come quello di Rescaldina, così vicino territorialmente e capace di misurare umori e tendenze.

Antonio F. Vinci

Editoriale - Numero 01

Che succede a Legnano? La città in questi ultimi tempi è apparsa prepotentemente sui mass media, sulle pagine della stampa nazionale, in televisione: l’emergenza immigrati con una serie di risvolti drammatici, l’improvvisa prospettiva di assunzione di 1500 lavoratori alla Franco Tosi, il furto di mille fascicoli dalla Cancelleria civile dell’ex pretura, la scoperta del caporalato per l’assunzione di braccia, per lo più di immigrati, specialmente nel settore edile. Sembra che ogni giorno ce ne sia una nuova. Ma, a ben guardare, tre su quattro delle notizie appena riferite hanno a che fare con il problema del lavoro e quindi con il mondo anche, o soprattutto, dell’immigrazione. E’ necessario che su questo punto ci si interroghi e si diano delle risposte. Non emotive, ma razionali. Senza aspettarsi soluzioni definitive (e come si potrebbe), ma riflessioni. L’immigrazione di uomini da paesi poveri è una realtà che bisogna avere l’onestà di guardare in faccia. Non possiamo fermare la fiumana di chi fugge dal suo paese, dove lascia casa, affetti, cultura, il proprio mondo insomma, per cercare fortuna altrove, una fortuna che molte volte vuol dire pura sopravvivenza. E’ un fenomeno che la storia ci ha sempre presentato e proprio noi italiani, popolo di emigranti, non possiamo fingere di non conoscere. Che vada fermata l’avanzata disordinata, illegale, clandestina, questo è talmente ovvio che non vale più la pena ribadire. Bisogna solo avere la volontà politica di volerlo. Ciò che, invece, deve essere oggetto di riflessione è il fenomeno della presenza degli immigrati, il trovarsi con loro per strada, nei negozi, in scuola. L’Italia non è ancora un paese del tutto abituato a vedere per le sue strade gente di colore, uomini che parlano altri idiomi, praticano religioni diverse dalla propria, ma la società del nuovo millennio deve abituarsi a ciò, che piaccia o no. Risulta inutile, patetico celebrare l’arrivo del nuovo millennio, enfatizzare una nuova epoca, quando poi si evocano fantasmi del passato, atteggiamenti razzisti e quindi, solo proprio per questo, stupidi. Il popolo italiano, d’altra parte, neppure in epoca fascista fu veramente razzista, se escludiamo - al di là delle leggi razziali del 1938 - fenomeni in buona sostanza circoscritti, come è praticamente in modo unanime riconosciuto. Eppure nell’ambito della destra, dei simpatizzanti, dei militanti, ci si rimprovera sempre più frequentemente d’essersi fatto sfuggire il tema dell’ immigrazione, che andava affrontato con più decisione: un fenomeno che altri stanno cavalcando anche duramente. La destra non deve percorrere questa strada, anche se rischia di perdere voti, consensi. C’è un modo etico di fare politica, che non consente di fare qualsiasi cosa pur di ottenere il maggior numero di suffragi. E per favore non chiamiamolo buonismo, che è tutt’altra cosa. Diverso discorso è, invece, quello della difesa della propria identità. Credo che la destra debba incamminarsi sempre più decisamente su questa strada. Ma l’identità non è solo la propria: è anche quella degli altri. Difendere la propria identità non vuol dire schiacciare quella degli altri: se Casa delle libertà deve essere che sia prima di tutto in nome della tolleranza, che non vuol dire sopportazione dell’altro ma accettazione, anche senza condivisione, della lingua, della cultura, della religione dell’altro. L’identità va difesa anche avendo coscienza che non si può cercare per forza l’integrazione dell’ altra cultura, ma non per mantenere "puri" i caratteri propri, ma anche per rispetto nei confronti dell’altro che, forse, non desidera per nulla integrarsi. Ha scritto recentemente Stefano Zecchi: "Si deve piuttosto lavorare per rafforzare la propria tradizione, innanzi tutto insegnando ad amare la propria identità, non odiando quella di altri popoli".

Antonio F. Vinci

Chi è Barbarossa?

L'ombra di Federico I di Hohenstaufen, il Barbarossa, appunto, si aggira tra le nostre contrade , da quando a Legnano venne sconfitto dalle truppe dei Comuni alleatisi nella Lega lombarda. L'imperatore aveva cercato di difendere le sue terre da quei Comuni che volevano la libertà, aveva cercato di tenere saldo l'Impero, ma non poteva andare contro la storia. Aveva accarezzato il lungo sogno di restaurare il... Continua >>

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