Editoriale

L’atmosfera italiana è sempre più… come dire …confusa. Mentre da una parte il  governo, pur con qualche distinguo al suo interno, continua il suo cammino imperterrito, l’opposizione non perde occasione per alzare i toni. Certo, l’opposizione, come si dice, fa l’opposizione e  in qualche caso la maggioranza le ha offerto  qualche assist inaspettato, ma l’impressione che se ne ricava è, appunto, di una certa confusione. L’opposizione, anche qui non sempre compatta, mostra il suo disaccordo per atteggiamenti e risoluzioni del governo che … non assecondano i propri punti di vista! L’opposizione dimentica che ha perso le elezioni e, anche se in un civile dibattito democratico, la maggioranza porta avanti il suo programma e non quello delle opposizioni! Ci sono poi gli scivoloni (a dire il vero da ambedue le parti qualche volta) che fanno sorridere… per non piangere. Ad esempio  “Il Giornale” del 6 luglio riportava una “Storia” di Massimo Balsamo dall’eloquente titolo "Fascisti". Ma la targa è stata distrutta dalla Cgil: lo scivolone dei dem . La sinistra continua a inanellare figuracce, è un dato di fatto. La patetica caccia al fascismo – una vera e propria ossessione per Elly Schlein & Co. – spinge i dem verso clamorosi autogol. L’ultimo episodio è quello registrato nella giornata di martedì a Firenze: allarme per il danneggiamento della targa dedicata al partigiano Aligi Barducci nel giardino del Torrino di Santa Rosa. Anziché attendere indicazioni sulla dinamica dei fatti, i compagni non hanno avuto dubbi: colpa dei vandali neri. E da Nardella in giù, l’ennesima figura barbina”. In effetti poi la vicenda si è sgonfiata, appurato che si era trattato di un incidente sul lavoro da parte di “operai della Fiom Cgil. La conferma è arrivata direttamente dall’ufficio stampa del sindacato: la lapide è stata abbattuta per errore da un camion di una ditta che lavorava al circolo la Rondinella nella giornata di domenica”, come si precisava nel resto dell’articolo. E’ solo un episodio, piuttosto emblematico però, della “sindrome dell’uomo nero”  che ci affligge in questi tempi. Non se ne può più! Non è possibile che quasi ogni giorno si gridi al pericolo fascista. Forse non ci si rende conto abbastanza che gridare “al lupo al lupo” in modo avventato porti a risultati controproducenti. Nessuno vieta, anzi, di vigilare sui principi democratici, ma vedere fantasmi del fascismo ovunque porta alla sfiducia nella credibilità di certe affermazioni. Gridare al fascismo, quando non ci credono più neppure quelli che vengono considerati gli eredi (se non alcuni forse per spirito di testimonianza personale di un passato, pur criticabile) a che serve? Non si difende così la democrazia, non la si rafforza, anzi. In questo modo si fa sempre più spazio il pensiero che si usi il fantasma del passato, la paura di un suo impossibile  – a tutti chiaro – ritorno solo per distogliere dal presente, solo perché non ci sono argomenti validi per affrontare i problemi quotidiani.

Antonio F. Vinci

Puntualmente, ogni volta che il Barbarossaonline riprende la pubblicazione, l’editoriale vuole trovare giustificazioni per gli immancabili ritardi, i silenzi, il vuoto degli ultimi mesi. Non ci sono spiegazioni particolari se non che questa pubblicazione viene redatta quando è possibile, essendo soggetta alla disponibilità di tempo di chi scrive. Ma perché scrivere ancora, dopo tanti anni, su questa rivista online? Chi la legge? Nei primi tempi è stata abbastanza seguita nella cerchia di amici e conoscenti; ora non so. Ma si riprende la pubblicazione per spirito di …bandiera. Non che io creda di segnare una svolta particolare nel dibattito politico attuale … ( non mi sogno neppure di pensare ad un consenso, o anche ad un dissenso, che superi i 25 lettori di cui diceva Manzoni, ed era Manzoni !), ma in un mondo social in cui ognuno dice la sua, beh permettetemi di dire anche la mia. Magari può stimolare qualche opportuna riflessione. Dopo tanti anni dalla sua nascita continuare a scrivere sul Barbarossaonline è un po’ come scrivere poesie per rinchiuderle poi in un cassetto: non le leggerà nessuno o forse solo qualche amico cui si vuole far partecipare i propri sentimenti. Non si ha la presunzione, e come si potrebbe, di dare un contributo fondamentale al dibattito culturale e politico dei nostri giorni, ma offrire delle osservazioni da “uomo della strada”, da cittadino che si interroga, beh questo credo sia legittimo. Il tempo avanza, la vecchiaia incombe con tutto il suo retaggio di malinconici ricordi, fantasmi del passato, ubbie, e forse continuare a scrivere sul Barbarossaonline è una sorta di autoanalisi. Come scriveva Aldo Palazzeschi : “e lasciatemi divertire”.

Antonio F. Vinci

Tempo di riscatto - NUMERO 62

Fine dell’anno, tempo di bilanci. C’è poco da fare bilanci in un anno dominato, stregato dal Covid. Tutto esce falsato, ridimensionato, come in quegli specchi che allungano l’immagine. Quest’anno appare trasfigurato come il volto nell’ ”Urlo” di Edvard Munch. La pandemia, ci si chiede, ci renderà più buoni, migliori, o no? Certamente ci sta rendendo più incerti, più scettici. La pandemia e la gestione dell’emergenza sanitaria, parliamo dell’Italia e del suo governo ovviamente, ci ha reso più precari, più deboli psicologicamente. Restare in casa per settimane, oppressi da una cappa mortifera di paura, ci ha reso più fragili. Nelle persone più anziane, ma non solo, è questo un periodo che sembra prefigurare la morte, l’attesa della morte: stare necessariamente a casa per proteggersi, non vedere nessuno dei tuoi cari, uscire solo per i bisogni più necessari, ha lasciato un segno di precarietà che difficilmente riusciremo a scrollarci di dosso. Chi deve, chi può, lavora da casa. Ma non è lo stesso, si dice. Certo abbiamo perso le abitudini quotidiane, anche le più banali: uscire per prendere il caffè, fermarsi dal giornalaio, correre per andare al lavoro, abbracciare i nipoti, incontrarsi tra fidanzati. Eppure proprio per questa costrizione abbiamo forse imparato ad apprezzare quelle piccole cose di ogni giorno che ci sembravano così ovvie, così scontate. Forse, nel mare del dolore e delle sofferenze, delle privazioni e delle morti che questa pandemia ha generato e continua a generare, forse questo è stato l’insegnamento che possiamo trarre. Cogliere la grandezza delle piccole cose; imparare a stupirsi della vita; meravigliarsi della quotidianità. E non dare nulla per scontato.

Ma c’è un altro sentimento che continua a serpeggiare: la sfiducia. L’altalena delle decisioni, riviste, corrette, differite; il linguaggio usato dai politici sempre più fumoso, la mancanza di chiarezza per l’emergenza immediata e di progetto per il prossimo futuro; l’ostinazione su alcune scelte (MES sì, MES no; apriamo le scuole, non apriamo le scuole; le decisioni delle Regioni che contrastano con quelle prese dl governo). Tutto questo, e molto altro, ha messo il cittadino in una situazione di sfiducia nei confronti dei governanti e dei politici in generale di cui francamente non sentivamo il bisogno. La situazione è difficile e il governo ha fatto quello che poteva; forse altri avrebbero fatto meglio e sicuramente in modo diverso. Ma il disorientamento è stato ed è grande perché l’impressione, anche se frutto di un’emergenza che cambia aspetto velocemente, è di “navigare a vista”. Ma forse un po’ tutti noi non abbiamo saputo “puntare i piedi”. Abbiamo mostrato l’eterno, atavico, individualismo italiano; la non accettazione delle regole da parte di molti; la superficialità nell’affrontare l’emergenza da parte di tanti. Le regole, così, ci sono sembrate “dittatura sanitaria”, non tenendo conto della situazione, grave, generale. E d’altra parte la maggioranza di governo chiedeva l’appoggio dell’opposizione, una sorta di governo d’emergenza e poi non ascoltava le loro proposte. I DPCM hanno privato il Parlamento della legittima dialettica per dare immediatezza di decisioni; ma si è snaturato il Parlamento. La confusione regna sovrana ed è percepita anche da chi si tiene lontano dalla politica. Una sfiducia aggravata da un clima negativo che serpeggia: la classica guerra tra poveri. Ci sono le categorie dei lavoratori con stipendio fisso, gli statali, i pensionati, che non vengono coinvolti direttamente dalla crisi economica come chi perde il posto di lavoro e prende, se va bene, la cassa integrazione; come le partite IVA; come i commercianti. Si ripresenta la solita opposizione tra “il posto fisso” e chi scommette quotidianamente sulla propria pelle e si gioca tutto. Il governo corre ai ripari con i “ristori”, che ovviamente sono insufficienti, che ovviamente sono inadeguati. Ma la forbice tra “privilegiati” (privilegiati non  economicamente) e liberi professionisti sull’orlo della bancarotta si divarica sempre di più.

Cosa ci aspettiamo da questa crisi sanitaria-economica? Una presa di coscienza del popolo italiano, un “salto” della nostra mentalità, del proprio “particulare” come diceva Guicciardini. Spesso siamo superficiali, individualisti, egoisti, ma siamo anche  il popolo dei “ragazzi del ‘99”; siamo quell’Italia che ha fermato  sul Piave le forze di uno dei più grandi imperi d’Europa; siamo quelli che hanno combattuto da una parte e dall’altra sacrificando la propria vita nell’ultima guerra; siamo quelli che hanno ricostruito l’Italia dopo la guerra mondiale e hanno creato il “miracolo economico”. Siamo italiani, orgogliosi di esserlo, con i nostri difetti, con la nostra storia.

Antonio F. Vinci

EDITORIALE - NUMERO 61

Nel 1989 ebbe un ottimo successo una canzone di Raf “Cosa resterà degli anni ’80”. Furono anni densi di avvenimenti, quelli, che cambiarono il mondo. Cosa resterà invece di questo 2020, dell’anno della pandemia? In questi mesi in cui s’è detto di tutto, tutto e il contrario di tutto, abbiamo assistito ad uno sconvolgimento delle nostre certezze, all’apparire della grande paura della morte, una morte insidiosa quanto invisibile dovuta ad un virus. Le nostre sicurezze sono scomparse, probabilmente in modo ancora più evidente che di fronte alla paura degli attacchi terroristici. Non dimenticheremo facilmente le file dei camion militari che trasportavano le bare dei defunti pressi altri cimiteri, essendo al collasso quelli in cui erano avvenuti i decessi; non dimenticheremo facilmente i volti stanchi, spaventati, tesissimi di infermieri e medici di fronte ad un’emergenza mai vista; non dimenticheremo le restrizioni, i divieti ad uscire di casa, la necessità del distanziamento, delle file fuori i negozi come al tempo della guerra; non dimenticheremo le mascherine, il gel, i ripetuti dai mass media - quante volte al giorno – inviti a lavarsi le mani, ad indossare le mascherine; non dimenticheremo un fare scuola sconvolto dalla necessità di attuare una didattica a distanza. Non dimenticheremo tutto ciò. Rimarrà la certezza dello scoprirci più precari, dell’essere veramente in balia degli eventi, impotenti a combattere. Possiamo solo evitare, scansare o cercare di scansare il pericolo, non lo possiamo affrontare. Una pandemia che in Italia sembra stia piano piano scomparendo, mentre nel resto del mondo si mostra ancora in tutta la sua virulenza. Siamo stati tra i primissimi paesi ad essere travolti da questa tragedia e ne stiamo uscendo fuori. Grandi lodi vengono rivolte al governo su come ha affrontato questa situazione, ed in effetti furono presi – pur con le incertezze iniziali – drastici provvedimenti che hanno salvato delle vite umane. Gli italiani si sono subito adeguati, in modo encomiabile, tanto da suscitare meraviglia anche all’estero, mostrando senso civico, senso di responsabilità. La paura ha fatto il miracolo. Forse è vero quello che diceva qualcuno, che noi italiani osserviamo veramente solo un avviso che compariva una volta sulle cabine elettriche :”Chi tocca i fili muore”. Eh sì, perché se siamo capaci di mostrare senso civico in questa occasione drammatica, perché non lo mostriamo anche in altre occasioni? Ad esempio di fronte al fisco, eliminando quella piaga che si chiama evasione fiscale? Comunque sta di fatto che in questo modo si è evitata una catastrofe. Sì, ma a che prezzo? E’ stato facile chiudere le attività commerciali e industriali per evitare il peggio, ma ora siamo in una situazione forse anche più drammatica. Forse, e senza forse, si potevano lasciare aperte tante attività con le dovute cautele, rispettando le precauzioni, i divieti. Ora abbiamo creato il deserto lavorativo, la chiusura di tante attività che sono rimaste chiuse e senza aiuti per troppi mesi. Peggio. Alla riapertura abbiamo perso quote di mercato internazionale, mentre altri Paesi continuavano a produrre. Venivamo già da una situazione di difficoltà; ora stiamo precipitando. Gli aiuti dell’ Europa, si sa, inutile ricordarlo, arriveranno a “babbo morto”, a situazioni ormai irrecuperabili, fra mesi e a fronte di una dimostrata capacità italiana di saper spendere quei denari. Una capacità in cui certo non abbiamo mai brillato …Ma soprattutto il governo e le forze che lo formano hanno mostrato la loro inadeguatezza. Certo, non è facile affrontare una situazione mai vista, ma da un governo si richiederebbe proprio la capacità di saper affrontare soprattutto le situazioni di emergenza, non la normale amministrazione. Non dimentichiamo le inadempienze, i ritardi, per tutte le calamità che si abbattono periodicamente sul nostro Paese! E così abbiamo assistito al valzer delle ipotesi su come riaprire le scuole, ai provvedimenti ipotizzati, alle misure (intendo in centimetri…) da adottare in classe, alla riscoperta del plexiglas, sino all’ultima perla: i banchi a rotelle. La scuola italiana trasformata in una specie di luna park, dove le aule diventano spazi per l’autoscontro! Ma ve li immaginate gli studenti su questi seggioloni, come quelli che si usano per i bimbi piccoli per dare loro la pappa, seduti per cinque o sei ore al giorno? E il distanziamento? Proprio per il fatto di avere delle rotelle, e quindi soggetti ad essere facilmente spostabili, come si potrà mantenere il distanziamento? Sarà un ricercare la giusta distanza dopo ogni spostamento. Come si potrà fare scuola con una semplice ribaltina sulle gambe, sostenuta da un braccio metallico della poltroncina? C’è chi ha misurato lo spazio che occupa questo tipo di sedia e l’ha trovato superiore a quello di un semplice banco… ma c’è chi ha evidenziato come in meno di un mese nessuna azienda italiana sia capace di produrre tanti banchi. Ci rivolgeremo all’estero? Il pressapochismo con il quale – pur con tutte le possibili scusanti, possibili, comprensibili, ma non accettabili – ci si muova in diversi settori (la scuola è forse quello che appare più visibile) non può non destare preoccupazione. Spaventa l’atteggiamento del PD, che sembra sempre più al traino del M5stelle, dimentico della sua tradizione. Non spaventa, non meraviglia, invece, l’atteggiamento dei 5 Stelle: sono quelli della “decrescita felice”, in un Paese che è inserito in un’economia liberale e capitalista, piaccia o non piaccia. Sono coloro che sono giunti al governo con una volontà giacobina di distruggere non di cambiare; di fare piazza pulita non di risolvere le ingiustizie sociali. Perché è facile dire no a molte scelte strutturali; è facile dire di “abolire la povertà”; poi i fatti ti presentano il conto, amaro. Il nostro Paese ha imboccato la via della decadenza, non facciamoci illusioni; e non da ora. In Europa non hanno fiducia in noi. E come dare loro torto? Non siamo gli unici al mondo con delle criticità, ma noi siamo specialisti …E non parlo solo della burocrazia asfissiante, della corruzione, della malavita organizzata, ma anche della mancanza di una vera classe dirigente, di una classe dirigente che mostri in Europa autorevolezza. Forse ci meritiamo questi politici; forse all’orizzonte non ci sono più i De Gasperi, Nenni, Togliatti, Moro, Berlinguer, La Malfa; tutti coloro che in modi diversi e con idee diverse hanno costruito il Paese Italia. Ma non possiamo farcene una ragione. All’opposizione di centrodestra si richiede di riscoprire quel pathos civile, quel senso della comunità, dello Stato che guarda al di là del proprio particulare. Non possiamo, non dobbiamo, consentire che la decadenza civile e morale del nostro Paese sia la normalità.

Antonio F. Vinci

Siamo alla frutta? - Numero 60

E così chiudiamo anche questo 2018. E’ successo di tutto quest’anno; d’altra parte è sempre quello che diciamo alla fine di un anno. Ma in effetti l’aspettativa degli italiani è sempre più fosca, lo sguardo verso il futuro sempre più pessimista. E non siamo noi a dirlo, anche se ne avevamo il sentore già da tempo. Il sondaggio condotto da Gallup International su 55 paesi al mondo ha collocato l’Italia al terzo posto quanto a previsioni pessimistiche. Siamo dopo Giordania e Libano e seguiti, pensate un po’, dai Paesi africani, nonostante le enormi difficoltà di quel continente. Il Paese più fiducioso nelle Americhe è il Messico, mentre quello più fiducioso in assoluto è l’India. Anche il quadro dipinto dal Censis nel suo Rapporto annuale sulla situazione sociale dell’Italia non è da meno. Noi italiani ci siamo incattiviti: "Le radici sociali di un sovranismo psichico: dopo il rancore, la cattiveria. La delusione per lo sfiorire della ripresa e per l’atteso cambiamento miracoloso ha incattivito gli italiani. Ecco perché si sono mostrati pronti ad alzare l’asticella. Si sono resi disponibili a compiere un salto rischioso e dall’esito incerto, un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto da così vicino, se la scommessa era poi quella di spiccare il volo". E ci mancava anche il sovranismo psichico! D’altra parte la situazione è certificata anche da un crescente giudizio negativo a proposito dell’immigrazione, da una crescente sfiducia nel futuro.

Dopo le ultime elezioni abbiamo un governo giallo-verde, una specie di ircocervo, di difficile comprensione. Gli italiani hanno votato per i due partiti che formano questo strano governo, ma non per la loro coalizione. Non hanno votato per il contratto che poi è stato stipulato. Eppure le percentuali di gradimento dei due partiti, specialmente per la Lega, sono in costante aumento. Perché? Perché nonostante le incertezze, le gaffes, i passi indietro con l’UE, i ripensamenti, le contraddizioni, il popolo italiano continua a dare fiducia a Salvini e a Di Maio? Ma perché? Le opposizioni danno battaglia a suon di proclami e affermazioni che lasciano il tempo che trovano; il PD è sfasciato in modo, al momento, irreversibile; Forza Italia non sembra incontrare più il favore degli elettori e, anzi, a livello locale – come nella provincia di Varese - ci sono delle fughe verso altri lidi da parte di loro rappresentanti. La confusione è tanta, troppa. Quotidianamente assistiamo al gioco delle parti: la maggioranza comunica che non saranno aumentate le tasse, che saranno aumentate le pensioni, che l’Italia sta cambiando e che nulla è più come prima; le opposizioni affermano l’esatto contrario: le tasse aumenteranno, le pensioni verranno decurtate, stiamo precipitando nel baratro. Da una parte si afferma che la Legge di Bilancio è stata scritta a Bruxelles, stravolgendo quanto promesso prima delle elezioni; dall’altra parte si afferma che gli aggiustamenti chiesti dall’Europa non lederanno quelle promesse e che l’attuale governo sta percorrendo una strada diversa da quella percorsa sino ad ora dagli altri governi. Se assistiamo alle varie trasmissioni televisive di politica il fuoco di sbarramento contro il governo è continuo: si va dall’affermazione sulle loro incapacità o, perlomeno, di alcuni ministri, all’ironia sui proclami lanciati dal balcone (c’è sempre un balcone nella storia d’Italia…), alle incaute affermazioni su presunte dimissioni, stravolgimenti, ripensamenti. D’altra parte, diciamola tutta, non è che i rappresentanti del governo non offrano le occasioni… Nei primi tempi il Movimento 5 stelle disdegnava i giornalisti; ora la presenza sulla stampa – anche per motivi di carattere istituzionale, va detto – è costante, ma presta il fianco a letture, interpretazioni, ecc. ecc. E questo vale anche per Salvini, sino a giungere a toccare la sua vita privata. Ecco, Salvini. Uomo di grande e immediata comunicazione, si è presentato per mesi al Paese indossando le felpe con inciso il nome della città in cui faceva il comizio. Un modo, che nessuno aveva mai adoperato, di segnare la sua vicinanza, la sua appartenenza: vi ho nel cuore, vi porto con me, sono uno di voi. Lontano dall’aplomb solito dei politici, quasi sempre senza cravatta, quasi sempre senza giacca ma al massimo con un giubbotto, Salvini è riuscito ad essere più vicino alla gente che non Renzi quando indossava il suo giubbotto, il “chiodo”. Ora Salvini indossa le divise: quella della polizia, se va a visitare le Forze dell’Ordine; quello della Finanza in quella occasione; e così via. Non oso pensare se dovesse essere ricevuto dal Papa… Nulla è casuale, ovviamente. Come la sua comunicazione non verbale: non saluta a mano larga, men che meno – ci mancherebbe – a mano tesa, ma a mani giunte, quasi in segno di preghiera, come si usa in Oriente. E la sua comunicazione verbale? Non urla, non interrompe, aspetta il suo turno e risponde con il suo fare un po’ sornione, di quello che la sa lunga e non si scompone. E’ vero; ultimamente gli scappa qualche frase già nota come “Chi si ferma è perduto”, ma in fin dei conti è anche chi si fa ritrarre mentre mangia pane e nutella…

Di Maio, invece, è tutt’altro personaggio. Giovane, un po’ tranchant a volte, si è giocato un po’ di popolarità per quel “abbiamo eliminato la povertà” pronunciato dal balcone. Una frase ad effetto, ma che gli si è ritorta contro come un boomerang. Di Maio è la parte “destra” del Movimento 5 stelle, così come Fico è la parte “sinistra”. E questo non gioca molto a favore del Movimento. Ma Di Maio sta tenendo con forza i punti del programma elettorale. Non è facile. I soldi mancano, le difficoltà di ogni genere ci sono ma, a costo di vedere i sorci verdi il programma dovrà essere realizzato. E questo genera non poco timore. Perché, diciamolo francamente, tutto o quasi gioca a sfavore: le previsioni, i numeri, la pressione europea, il deficit, il PIL, ecc. ecc.

E allora? Allora, aspettiamo. Abbiamo atteso, sperato, pregato per anni; aspettiamo ancora un po’, alla prova dei fatti. Il governo dei due Dioscuri, Castore e Polluce, come qualcuno li definisce sembra più che altro la versione politica del film “I gemelli”, con Arnold Schwarzenegger e Danny De Vito: diversissimi, ma uniti. Capaci di imprevisti mutamenti di scena, di capovolgimenti di prospettiva, ma alla fine in grado di ottenere risultati insperati. Agli italiani non rimane che questo. Non ci sono speranze da coltivare, né illusioni. Siamo quelli che siamo: “il popolaccio italiano è il più cinico di tutti i popolacci” (G. Leopardi).

 

Antonio F. Vinci

I nani. - Numero 59

Alla vigilia della pausa estiva, ormai veramente prossima, esce questo numero del Barbarossaonline. Ne è passata di acqua sotto i ponti in questi pochi mesi, dopo la pubblicazione dell’ultimo numero! Il successo del Movimento 5 stelle e della Lega alle ultime elezioni ha sparigliato il gioco politico; unitamente alla débâcle della sinistra e al declino di Forza Italia. Una folla di “gufi” si attendeva il fallimento della formazione del governo, che invece – pur con un parto lungo e doloroso – c’è stata. E’ stata poi la volta di chi gufava, e gufa, sulla mancata tenuta dei grillini con i leghisti; sulla insanabile rivalità tra Di Maio e Salvini; sulla mancanza di dati certi, di numeri su cui discutere, a proposito delle riforme annunciate già in campagna elettorale. E in quest’ultimo caso, a dire il vero, una fondata ragione c’è. Intanto Salvini continua a bloccare l’ondata migratoria e per chi lo accusava di isolare l’Italia nel consesso internazionale c’è stata la risposta europea di sostanziale comprensione della situazione italiana e ammissione che bisognerà porvi rimedio. La cosiddetta “prova muscolare” non ha sortito quegli effetti negativi che si temeva. E così la Lega nei sondaggi veleggia verso percentuali di tutto interesse, inimmaginabili al tempo di Bossi. Salvini ha compiuto l’impresa, il “miracolo” di trasformare la Lega da movimento territoriale, fondamentalmente del Nord Italia, in movimento nazionale, espugnando anche roccaforti rosse da sempre. Ha incontrato lo stesso successo dei 5 stelle, ma da parte di un elettorato diverso. Gli analisti ormai hanno rovesciato come un guanto i dati elettorali e sappiamo ormai chi ha votato per Salvini e chi per Di Maio: il popolo degli scontenti, dei delusi dai vecchi partiti, dei precari, di chi ha paura per la propria sicurezza, di chi vuole arginare l’immigrazione. Eppure sono così diversi Salvini e Di Maio: il primo si presenta spesso senza cravatta, anche senza giacca, magari con la camicia fuori dai pantaloni, in un atteggiamento casual, immediato, da uomo pratico; l’altro perennemente in camicia bianca, cravatta e giacca che gli danno sempre un tono impeccabile. Eppure il primo si rivolge alla piccola e media borghesia, a quella industriale, che magari mette il doppiopetto; l’altro al popolo dei precari, di coloro che faticano a sbarcare il lunario, a chi spera nel reddito di cittadinanza per tirare a campare. Mi sarei aspettato, in una scenografia politica immaginaria, un Di Maio vestito in modo meno formale e un Salvini più “istituzionale”. E invece no. Ma non ha importanza.
Questo giornale, che è nato come giornale di Destra, a questo punto si dovrà porre ancora una volta la domanda che, come un mantra, ci poniamo da anni: dov’è la Destra? C’è ancora una Destra? Ed ora: Salvini rappresenta la Destra? E’ la nuova Destra? E Fratelli d’Italia? Da molti anni, sì anni, ormai andiamo dicendo che non c’è più una destra e una sinistra, ma ce lo continuiamo a chiedere, perché la risposta non ci convince. O non la vogliamo ammettere o accettare. Anche perché è più facile usare schemi vecchi ma di facile comunicazione. Indubbiamente la “destra” di oggi, se proprio vogliamo usare questa categoria, non è più quella di ieri. E forse proprio per questo Fratelli d’Italia, che alle ultime elezioni ha segnato un buon successo, pur tuttavia non decolla. Siamo stati per anni, tanti anni, vicini alle posizioni che oggi sono di Fratelli d’Italia e tra le sue fila annoveriamo ancora tanti amici con i quali abbiamo condiviso valori, ideali, battaglie politiche. Ma il tempo passa e le situazioni, come i valori e gli ideali, si presentano in modo diverso, si trasformano, parlano un altro linguaggio. Parlare oggi di Patria, di patrioti, probabilmente non raccoglie una grande platea, non si è più capiti. Lo vediamo a scuola, dove quando parli di “Patria” sembra che stia parlando un marziano. Piuttosto è più facilmente comprensibile e accettato parlare di identità. Un tema, questo dell’identità politica, culturale, religiosa, sempre più sentito a causa del fenomeno migratorio. Ma sull’identità, prima del Nord ed ora di tutto il Paese, la Lega ha seminato prima e forse meglio. Allora è la Lega la nuova Destra? Fermo restando che i termini, destra e sinistra, come detto, sono ormai logori, forse sì. Certo non basta un’affermazione, uno slogan, un riferimento per fare una corrente politica, ma aiuta… A sinistra, come noto, le cose non vanno meglio. La sinistra classica risulta sempre più divisa, con scissioni e frammentazioni ma anche con incomprensioni e divisioni al suo interno. La gente è sempre più confusa, comprende sempre meno il linguaggio della politica e, soprattutto, tutti i tecnicismi che vengono adoperati per spiegare il sistema elettorale come le scelte economiche, come tutte le quotidiane questioni sociali e civili. Una volta era stato coniato il termine “politichese” con il quale tutti ci mettevamo l’anima in pace per spiegare che il linguaggio politico è incomprensibile (chi può dimenticare le “convergenze parallele”?). Oggi non più, non cerchiamo neppure l’alibi del linguaggio tecnico: facciamo spallucce e ce ne disinteressiamo.
Allora? Non possiamo spostare le lancette dell’orologio, non possiamo tornare indietro. Dobbiamo, però, avere il coraggio di rivedere certe posizioni, certi atteggiamenti che si vanno sempre più affermando al giorno d’oggi. In nome di un nuovo modo di pensare, che sembra legittimare tutto, stiamo deviando a volte da principi irrinunciabili, non negoziabili come si usa dire. Il compito della nuova Destra, se proprio vogliamo continuare ad usare questa espressione, sarà quello di prendere atto del mutamento della situazione e, in nome di “antichi” ma eterni valori dare risposte, nuove ma non stravolgenti, per il terzo millennio.
L’emigrazione è un fenomeno epocale che investe tutto il mondo e che non si può trascurare. Chiudersi a riccio non è la risposta ma invece, come ormai si va predicando da tempo, aiutare quei popoli a restare a casa propria mettendoli in condizioni di vivere meglio. L’accoglienza, infatti, è un valore non solo cristiano ma dell’essere umano in quanto tale; non può scontrarsi però con un’apertura indiscriminata portatrice di danni maggiori del rimedio. Essere di destra, oggi, vorrà dire anche questo. E non vergogniamoci di dire che queste sono scelte dettate dal “buon senso”, senza essere ammantate da ideologismi.
C’è buon senso, ci deve essere buon senso, anche nell’ aiutare chi è in difficoltà, ma deve essere compatibile con le risorse, sempre più scarse, del Paese e evitando speculazioni.
C’è buon senso nel rivedere l’educazione dei nostri figli, dei giovani, cui è stata tolta la speranza di un futuro, ma anche non è stata data loro quell’educazione civica, quella volontà di diventare cittadini, di sentirsi comunità.
C’è buon senso nel riscoprire la nostra identità, la nostra storia, la nostra cultura, perché è la base su cui costruiamo il nostro futuro.
Diceva Bernardo di Chartres che “siamo nani sulle spalle di giganti”; la nostra cultura, cioè, si basa su quella classica, sulla tradizione. Se non la seguiamo, se la dimentichiamo, saremo solo dei nani, ma sulle spalle di nessuno.

Antonio F. Vinci

EDITORIALE - Numero 58

Ancora una volta rieccoci. Riprendiamo a scrivere su  Barbarossaonline con il solito impegno, anche perché quelle che il Presidente della Repubblica ha indetto per il 4 marzo sono elezioni importanti per il Paese, alle quali non potevamo non dare il nostro piccolo contributo critico. Non potevamo essere assenti, perché mai come in questo periodo l’Italia sta conoscendo una crisi profonda. E non parlo solo di quella economica, di quella che nei telegiornali e nei discorsi dei rappresentanti della maggioranza si dice essere ormai superata, ma che superata non è. E lo vediamo nella vita di tutti i giorni. Parlo di quella crisi, di quella frattura che una volta si diceva essere tra “paese legale e paese reale”. C’è qualcuno che se ne ricorda? Il paese reale, quel paese fatto dalla gente, di quella che lavora o che cerca lavoro, dell’operaio, dell’impiegato, dello studente, di chi non si sente più rappresentato – da anni ormai – dalla cosiddetta “classe dirigente”. Quel paese che si sente angariato dalle tasse, dai disservizi, dalla burocrazia, da quel malessere che ha tanti padri e che sta facendo di quest’Italia un Paese in declino, probabilmente senza rimedio. Dobbiamo accettare la realtà: siamo un Paese in declino. Non vogliamo ammetterlo, non lo dobbiamo ammettere, ma è così. Cosa ci resta da fare allora di fronte a questa situazione? Non sperare in mutamenti repentini, in salvifici interventi: non c’è più qualcuno inviato forse dalla Provvidenza…! Da qualunque parta provenga! Ancora una volta il popolo italiano deve mostrare il meglio di sé, come sempre ha fatto nei momenti più difficili. C’è da ricostruire un vissuto, un’appartenenza, una storia, una identità, Siamo un popolo che si adegua, si appecorona, senza nessun tentativo di salvaguardare le proprie tradizioni, che tifa sempre per lo straniero che vede migliore e diverso; ma siamo anche capaci di grandi imprese, di sforzi incomparabili, di “miracoli”. A questa Italia guardiamo e a questa Italia il Barbarossaonline guarda volendo dare il suo contributo, pur nella modestia delle sue forze.

Barbarossa

Perché la Lega - Numero 57

E ritorniamo a scrivere sul Barbarossaonline! Un silenzio durato anche troppo, dovuto a difficoltà oggettive. Ma ora ritorniamo. Come già altre volte, dopo altre interruzioni, riprendiamo  con la solita volontà di spendere una parola di riflessione in più. Il Barbarossaonline questo vuole essere: un luogo di riflessione, una pubblicazione di opinioni, un ritorno su fatti e notizie già noti o meno noti, con l’intento di non far scivolare nel dimenticatoio accadimenti e notizie travolti dalle infinite novità. Oggi tutto sembra perdere spessore; tutto viene ingoiato dalla folla di ciò che accade e che viene diffuso con sempre maggiore velocità. Ecco, noi vogliamo fermarci a riflettere su alcuni dei temi più scottanti, anche di carattere locale. Non abbiamo soluzioni preconfezionate né ci ergiamo a maestri o tuttologi. Vogliamo renderci conto della realtà che ci circonda senza uniformarci al pensiero unico; vogliamo esprimere le nostre idee magari dettate da semplice “buon senso”, senza per questo essere accusati superficialmente di populismo. Fedeli alla nostra linea editoriale, vogliamo esprimere una posizione di Destra, senza pretendere di esserne i custodi o gli interpreti.

Già ma, tanto per cambiare, cos’è la Destra? Quale è la Destra oggi? Ormai sono anni che ci interroghiamo su questa questione e, attendendo una risposta, la Destra … è scomparsa. Forse dire “scomparsa” è un  po’ troppo, ma ridimensionata sì. O almeno si è ridimensionata la Destra tradizionale, quella alla quale eravamo abituati. Ridimensionata perché, ovviamente, i tempi cambiano; cambiano le problematiche d’ordine generale, cambiano anche le persone e quelli che sostengono le idee, cambiano gli scenari interni e internazionali. D’altra parte parlare – anche in un momento  di crisi dell’  identità europea – di una Destra nazionalista ha senso? Come non ha più senso parlare di Sinistra. Ma sono temi che ormai risultano vecchi, affrontati già da molti anni. Categorie desuete ma dure a morire, perché comode per etichettare situazioni ed idee. E allora  guardiamoci attorno, guardiamo nello scenario italiano. Quanta gente, militanti, simpatizzanti, elettori di Destra, di quella Destra tradizionale di cui si diceva, si sono rivolti oggi alla Lega? E perché? Non si tratta semplicemente di gente che “sale sul carro del vincitore”, perché la Lega non ha ancora vinto, se non in alcune regioni. Probabilmente si tratta di gente che avverte l’inadeguatezza, oggi, della Destra politica come tradizionalmente si è presentata nel panorama  italiano. Una inadeguatezza che è per alcuni versi, anche se in modo minoritario,  il chiudersi in formazioni di nicchia, di testimonianza, senza alcuna reale possibilità di incidere nella realtà politica quotidiana. Per altri versi una Destra che dà  segni di logoramento dopo un periodo in cui sembrava poter rivestire un ruolo più importante nella politica italiana. La Lega, invece, è apparsa da subito come movimento legato alla figura di un leader, Umberto Bossi, e che ora con Salvini è riuscita a raggiungere percentuali ragguardevoli, facendo dal punto di vista del consenso elettorale esattamente il cammino contrario rispetto alla Destra politica tradizionale in questi ultimi anni. Salvini interpreta il malumore della gente, la paura della gente; lo fa anche Fratelli d’Italia, ma con risultati diversi. Salvini ha compiuto un’operazione importante: pur facendosi portavoce delle istanze del Nord, che appare sempre più la locomotiva d’Italia rispetto ad un Sud che fa sempre più fatica, vuole fare della Lega non più un movimento regionale ma un partito nazionale. Guardando alle prossime elezioni politiche, nell’intervista rilasciata a Paola di Caro al Corriere della sera del 24 luglio, Giorgia Meloni ha così sintetizzato : “Se si va ad una coalizione, più anime si rappresentano e meglio è. Accanto a FI che è il centro liberale, la Lega che porta avanti le istanze del Nord, Fdl che si batte per il patriottismo nazionale, si può aggiungere un centro moderato”. La gente guarda sempre più alla Lega perché si presenta come un movimento che fa della concretezza e della coerenza la sua bandiera. Salvini in TV non urla, ma fa ragionamenti : semplici, razionali e comprensibili da tutti. Appare sempre più come “uno di noi”, un cittadino stanco della situazione di degrado in cui versa il paese e la politica, senza paura d’essere tacciato di qualunquismo o di razzismo, ma anzi chiarendo con dati alla mano la situazione del Paese. Salvini ha il pregio di presentarsi come il classico “bravo ragazzo” che non offende gli interlocutori, non perde mai la pazienza (e non so come faccia …), non interrompe gli altri quando parlano ma attende pazientemente il suo turno. E’ un modo diverso di fare politica e di sostenere le proprie idee. Non indossa completi, camicia e cravatta, né tanto meno il “doppio petto”, ma jeans, camicia o una delle tante felpe che riproducono slogan o appartenenza. Ad un leader che si muove politicamente così il consenso non potrà mancare. A questo movimento guardiamo con interesse proprio noi che per mezzo secolo ci siamo identificati nella Destra. E’ in atto un’evoluzione nell’ambito della Lega: se saprà coniugare le istanze autonomistiche nell’ambito dell’unità nazionale, se saprà cogliere e far comprendere la ricchezza delle diversità regionali in un concerto nazionale, potremo dire che è nato un nuovo modo di concepire la Destra, che non è più la Destra come l’abbiamo sino ad ora intesa ma quella  che guarda alle autonomie regionali per costruire dalle ceneri di questo Paese un’Italia nuova e moderna. Un’Italia unita nella diversità.

Antonio F. Vinci

Chi è Barbarossa?

L'ombra di Federico I di Hohenstaufen, il Barbarossa, appunto, si aggira tra le nostre contrade , da quando a Legnano venne sconfitto dalle truppe dei Comuni alleatisi nella Lega lombarda. L'imperatore aveva cercato di difendere le sue terre da quei Comuni che volevano la libertà, aveva cercato di tenere saldo l'Impero, ma non poteva andare contro la storia. Aveva accarezzato il lungo sogno di restaurare il... Continua >>

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